L’oleodotto della discordia

Non mi pare abbia avuto molto rilievo sui quotidiani regionali la notizia della retata anti terroristica in Germania nei confronti di militanti dell’organizzazione Letze Generation (“ultima generazione”, quelli che in Italia si attaccano alle opere d’arte o buttano colorante nero al carbone nelle fontane) sospettati della preparazione di attentati clamorosi in “difesa del clima”. Uno di questi avrebbe dovuto riguardare l’Oleodotto Transalpino che trasporta il petrolio greggio dal porto di Trieste ad Ingolstadt fornendo praticamente quanto serve all’Austria e circa il 50% alla Germania. La notizia è peraltro stata data da Rai 3 FVG accompagnata dalla informazione relativa al prossimo potenziamento dello stesso oleodotto per poter rifornire anche la Repubblica Ceca. Come noto, in Friuli la SIOT, società proprietaria dell’oleodotto e del terminal portuale, è di questi tempi contestata per il progetto (quasi approvato) di realizzazione di quattro centrali a gas produttrici di energia elettrica e calore utili a potenziare il trasporto di greggio e a fluidificarlo nel viaggio verso nord: S. Dorligo, Sagrado, Cavazzo e Paluzza sono i comuni interessati che con comitati ed associazioni ambientaliste si oppongono ai progetti anche con ricorsi al TAR. Da tempo continuo a farmi una domanda. L’obiettivo della de-carbonizzazione che l’Europa si è data per il 2050, e che l’improvvido assessore Scocimarro (per inciso non classificabile né “ambientalista da salotto”, né da “green radical chic”, categorie che aborre) ha ritenuto di anticipare al 2045, significa che non useremo più il petrolio e il gas metano? La cosa sembrerebbe logica, e, se così è, le infrastrutture di trasporto di tali vettori energetici che attualmente attraversano la Regione non serviranno più. Perlomeno nella loro funzione attuale. Per la verità il gasdotto di Tarvisio, grazie alla guerra e al nemico russo sembra destinato alla scomparsa: nel 2022 il flusso di metano si è ridotto da 30 a 10 milioni di m3 e le prospettive future sembrano affermare “mai più con la Russia”. Il metano non mancherà comunque. Ma, come detto, l’oleodotto della SIOT sembra suonare tutta un’altra musica. Il porto di Trieste continuerà a ricevere più di 40 milioni di tonnellate di greggio l’anno, di cui 4 dovrebbero essere destinati alla Cechia. Mancano 20 anni alla de-carbonizzazione ma non ho sentito una voce su cosa succederà a questa infrastruttura: e immagino che la cosa non si possa rimandare al 1 gennaio 2050 senza una ben complessa gestione di una fase transitoria. Per inciso ricordo che uno degli obiettivi fondamentali delle clamorose azioni dei giovinastri della “last generation” è la lotta contro i contributi pubblici che, in varia forma, ancora sostengono le fonti fossili a tutto detrimento delle più economiche rinnovabili. Centinaia di miliardi di euro (o dollari) continuano a viaggiare in questa direzione drogando il mercato. La cosa è nota anche agli incalliti liberisti come spiega Riccardo Illy nella sua intervista all’Espresso del 21 maggio scorso. Il PNRR non doveva servire alla transizione energetica? Fedriga si lamenta ogni giorno di essere trattato da serie B nella distribuzione del malloppo. Salvo che, facendo un po’ di conti sui 2 miliardi finora assegnati, compresi i 14 milioni per l’Acegas e il suo idrogeno, alla transizione energetica non mi pare vada molto di più del 10%. Forse c’è bisogno di capire un po’ meglio dove vogliamo andare. E non basta deprecare chi imbratta i monumenti a fini comunicativi per lavare una coscienza sporca.

Giorgio Cavallo