Mimmo Lucano, sentenza ribaltata in appello cadono tutte le accuse gravi: In primo grado era stato condannato a 13 anni
In primo grado era stato condannato a 13 anni. La Corte d’Appello ha fatto cadere tutte le accuse più gravi contro Mimmo Lucano, così alla fine di quello che lui ha definito un incubo resta una condanna a un anno e sei mesi, con pena sospesa, per falso relativo a una delibera del 2017. Che sembra più che altro funzionale ad evitare la figuraccia ai giudici del primo grado. In appello il Tribunale di Reggio Calabria ha di fatto smontato l’intero castello di accuse che aveva portato in primo grado l’ex sindaco di Riace a subire una condanna di 13 anni e due mesi, e a una campagna culminata con la fine dell’esperienza degli Sprar, il sistema accoglienza diffusa di cui il suo borgo calabrese era diventato un modello. Lucano era finito nel registro degli indagati nel 2018, nella cosiddetta inchiesta Xenia, con l’accusa di associazione a delinquere, concussione, truffa aggravata e abuso d’ufficio proprio per la gestione dello Sprar di Riace: la sentenza era stata perfino più dura della richiesta dell’accusa, che si fermava a sette anni e 11 mesi di carcere. Secondo l’accusa, Lucano avrebbe organizzato nel tempo matrimoni di comodo tra cittadini italiani e stranieri per aggirare la normativa sulla cittadinanza, avrebbe affidato i servizi di raccolta rifiuti a due cooperative del paese senza passare dall’apposito bando obbligatorio, e avrebbe firmato delibere non conformi agli standard di abitabilità nonostante l’ex sindaco avesse firmato per la loro idoneità, in quello che sarebbe reato di truffa. La Corte d’Appello, dopo 7 ore di camera di Consiglio, ha fatto cadere praticamente tutte le accuse più gravi, assolvendo anche tutti gli altri 17 imputati per analoghi reati. L’unico capo d’accusa rimasto in piedi, per quanto riguarda Lucano, è la determina n. 57 del 2017, relativa al contributo della Prefettura di Reggio Calabria per l’attività di accoglienza cittadini immigrati richiedenti o titolari di protezione: nella determina, propedeutica all’erogazione dei finanziamenti relativi al rimborso dei costi di gestione dei progetti CAS e SPRAR, Lucano “attestava falsamente di aver effettuato i controlli sui rendiconti di spesa, certificandoli ed asseverandoli” una accusa risibile se paragonata alle false nefandezze di cui era stato accusato . “La giustizia è arrivata – esulta Mario Oliverio, presidente delle Regione Calabria ai tempi della Riace di Lucano – Non abbiamo mai avuto dubbi: Mimmo Lucano è una persona onesta, un uomo che ha dedicato il fiore della sua gioventù all’accoglienza degli ultimi. Il modello Riace è un valore alto ed insopprimibile, un valore della Civiltà europea, una risposta intelligente, umana e razionale all’immigrazione”. Ivan Scalfarotto, senatore di Italia Viva, commenta laconico: “Bene, si dirà. Mica tanto: come noto, “il processo è già una pena”. “È la fine di un incubo che in questi anni mi ha abbattuto tanto, umiliato, offeso. È la fine di incubo che per anni, ingiustamente, mi ha reso agli occhi delle gente come un delinquente. Lucano è stato attaccato, denigrato e accusato, anche a livello politico e non solo, quindi, giudiziario, per distruggere il ‘modello Riace’, la straordinaria opportunità creata per accogliere centinaia di persone che avevano bisogno e per ridare vita e ripopolare i centri della Calabria. A questo punto spero che pure la Rai si ricreda e mandi in onda la famosa fiction girata con Fiorello a Riace”, ha detto Lucano dopo la sentenza d’appello.