‘Ndrangheta: maxi inchiesta della direzione distrettuali antimafia di Milano sugli appalti ferroviari RFI. 15 arresti eccellenti e sequestri per milioni
A 30 anni da mani pulite un nuovo caso di di gravissimo malaffare potrebbe scuotere il paese. I Nuclei di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Milano e Varese, in collaborazione con le Fiamme gialle di Verona, hanno eseguito 15 arresti (11 in carcere, 4 ai domiciliari) nell’ambito di un’inchiesta del pm della Dda milanese Bruna Albertini, relativa a presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta nei subappalti per lavori sulla rete ferroviaria (la società Rfi risulta per ora parte offesa). In sostanza stando alle indagini, numerose imprese intestate a prestanome e riconducibili alla cosca della ‘ndrangheta dei Nicoscia-Arena di Isola di Capo Rizzuto avrebbero ottenuto in subappalto lavori che Rfi appaltava a ‘colossi’ del settore, come Generale Costruzioni Ferroviarie spa (Gcf) del Gruppo Rossi e il gruppo Ventura. Coinvolte anche Gefer srl, Armafer spa, Globalfer spa, Salcef spa, Fersalento srl, Euroferroviaria spa”. Oltre alle ordinanze di custodia sono stati sequestrati oltre 6,5 milioni di euro.
I lavori di manutenzione della rete ferroviaria finiti al centro delle indagini riguardano diverse regioni, in prevalenza Lombardia, Veneto, Abruzzo, Lazio, Campania, Calabria e Sicilia. In una nota il M5s del Fvg afferma che una delle aziende recentemente ha eseguito lavori anche in Friuli Venezia Giulia, ad esempio a Sagrado e Trieste per il tram di Opicina. Nell’ordinanza cautelare è contestata l’associazione per delinquere finalizzata a reati tributari e bancarotta. Ad alcuni indagati viene anche contestata l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, perché con un sistema di incassi ‘in nero’, società riconducibili ai clan, attive tra il Varesotto e Isola Capo Rizzuto (Crotone), avrebbero sostenuto affiliati detenuti e le loro famiglie. Oltre 200 i finanzieri impegnati nell’operazione. Secondo la pm titolare delle indagini spesso nei cantieri lavoravano operai senza competenze né abilitazioni ed erano pesantemente sfruttati. Ricostruita dagli investigatori una vasta rete di connivenze, infatti stando alle indagini, sono numerose le imprese intestate a prestanome e riconducibili alla cosca della ‘ndrangheta dei Nicoscia-Arena che avrebbero ottenuto in subappalto lavori che Rete Ferroviaria Italiana spa appaltava a ‘colossi’ del settore. I rapporti tra le società che si aggiudicavano gli appalti e quelle riferibili alle cosche, che prendevano i subappalti, venivano “schermati”, secondo il castello accusatorio, attraverso contratti di fornitura di manodopera specializzata, il cosiddetto “distacco di personale” previsto dalla Legge Biagi. E ciò per eludere la normativa antimafia e le limitazioni in materia di subappalto previste per le imprese aggiudicatarie di commesse pubbliche.
Fra gli indagati anche la presidente del cda del Gruppo Ventura Maria Antonietta Ventura, che si occupa di costruzioni ferroviarie, e che era stata candidata da centrosinistra e Cinque Stelle alla presidenza della Regione Calabria, ma poi la scorsa estate si era ritirata dalla corsa. A quanto si è saputo, Ventura, a capo della società coinvolta nell’inchiesta assieme al Gruppo Rossi, è indagata per l’ipotesi di associazione per delinquere, ma a suo carico il gip non ha riconosciuto la misura cautelare che era stata richiesta dai pm. Tra gli indagati ci sono anche Alessandro e Edoardo Rossi, rispettivamente direttore e presidente di Gcf del Gruppo Rossi. La Dda, a quanto si è appreso, aveva chiesto in totale 35 arresti, tra cui quello di Ventura, ma il giudice ne ha accolti solo 15. Alla base delle investigazioni ancora una volta le intercettazioni: “Adesso vai a prelevare…mi porti 2.000 euro al mese… a me…che abbiamo i nostri carcerati da mantenere”. È questo il tono delle intercettazioni che si leggono nell’ordinanza del gip di Milano. Dialoghi in cui parlano, in particolare, i fratelli Aloisio, finiti in carcere, che si presentano come imprenditori, ma sono “contigui alla ‘ndrangheta”, scrive il giudice, e si inseriscono “in modo spregiudicato in contesti imprenditoriali di rilevante spessore, riuscendo in breve tempo a diventare partner delle maggiori imprese operanti nel settore dell’armamento e della manutenzione di reti ferroviarie”. Dalle cosche mutuano “i metodi violenti per la risoluzione di controversie che possono insorgere sui loro cantieri o con gli operai che vi lavorano”. Così respingono un tentativo di estorsione, minacciano “un fornitore che sollecita il pagamento delle sue prestazioni” e puniscono “un operaio che aveva appiccato l’incendio in un magazzino per protesta contro la mancata apertura di una pratica infortunistica”. Episodi a cui i due fratelli, parlando nel giugno 2019, fanno riferimento con frasi come “volevano la mazzetta? (…) te la do io la mazzetta, nel cuore te la infilo”. Tante le intercettazioni di minacce e intimidazioni nelle oltre 380 pagine dell’ordinanza. In sostanza secondo l’antimafia di Milano ci sarebbe stato “un piano ‘di spartizione’ in ‘aree di competenza’ dell’intero territorio nazionale” da parte di alcune imprese, anche colossi del settore, che prendevano gli appalti da Rfi. Ed in prospettiva dei fondi per la rotaia del Pnrr la “torta” sarebbe diventata enorme. Nelle imputazioni dei pm, infatti, si parla di “gruppi imprenditoriali” che “gestiscono in regime di sostanziale monopolio l’aggiudicazione delle commesse per i lavori di armamento e manutenzione della rete ferroviaria italiana direttamente da R.F.I. spa, a mezzo delle loro società (appaltanti) le già sopracitate C.C.F. Costruzioni Generali spa, Gefer srl, Armafer spa, Globalfer spa, Salcef spa, Francesco Ventura Costruzioni Ferroviarie spa, Fersalento srl, Euroferroviaria spa”. Al centro dell’inchiesta della Gdf, in particolare, i gruppi Rossi e Ventura e gli inquirenti nell’imputazione per associazione per delinquere con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa citano anche un’intercettazione emblematica nelle quale si sente: “Ventura ha tutta la Calabria, Morelli ha tutta la Campania ed Esposito ha tutta la Sicilia, Rossi ha tutto il Nord Italia”. In sostanza le società che prendevano gli appalti da Rfi, scrive sempre la Dda, si rapportavano, col sistema del “distacco della manodopera e nolo a freddo dei mezzi”, col “gruppo Aloisio-Giardino” al centro dell’inchiesta e “con le numerosissime società a loro riconducibili ma fittiziamente intestate a prestanome”. Questi ultimi hanno “solidi ed attuali collegamenti con le storiche famiglie di ‘Ndrangheta” di Crotone “alle quali sono ‘legati’ da indissolubili vincoli di parentela ed alle quali assicurano il costante e continuo approvvigionamento dei mezzi di sussistenza soprattutto allorché i loro capi trascorrono in detenzione carceraria”. E fanno anche “accrescere” il loro “potere” attraverso il “reclutamento dalla ‘Calabria Saudita’”, come si legge in un’intercettazione, “della pressoché totale ‘forza lavoro’ necessaria ad eseguire i lavori di cui alle commesse”. Così in un’intercettazione Alfonso Giardino dice a Maurizio Aloisio:” Gli Aloisio e i Giardino danno da lavorare ed in questo modo … anziché essere contenti …ci invidiano e se ci potessero mangiare ci mangerebbero … ci ucciderebbero Mauriziè …ci ammazzerebbero”.
Nelle ordinanze il gip spiega che gli “operai distaccati dalle imprese di primo livello sui cantieri ferroviari, sovente senza alcuna competenza professionale e previa falsificazione della documentazione attestante le necessarie abilitazioni, vengono fatti lavorare in condizioni di sfruttamento”. “Il meccanismo ricostruito dagli inquirenti scrive il gip, condiviso da questo giudice solo in parte” venuto a galla con l’indagine della Gdf. Inchiesta che ha “accertato che alcune società riconducibili agli Aloisio e ai Giardino lavorano da anni stabilmente nel settore della manutenzione della rete ferroviaria” fornendo “manodopera alle grandi società vincitrici delle gare di appalto”. Un sistema che sfrutta gli “strumenti giuridici astrattamente leciti, che, secondo la prospettazione degli inquirenti, vengono utilizzati per aggirare i divieti in materia di subappalto, per pagare meno imposte, per garantire alle imprese coinvolte il procacciamento di fondi extracontabili, consentendo al contempo alla criminalità organizzata di infiltrarsi in uno dei settori strategici del Paese”, ossia “il funzionamento delle rete ferroviaria”. Le società riconducibili alla ‘ndrangheta si fanno pagare dalle vincitrici degli appalti per il “distacco” dei loro lavoratori in quelle imprese, che intanto iscrivono quei costi e ne traggono benefici fiscali. Coi soldi incassati, invece, le aziende in odor di ‘ndrangheta, stando alla ricostruzione, pagano gli operai che lavorano nei cantieri, ma “in parte” anche “fatture per operazioni inesistenti ricevute da altre società”, scrive il gip. Si creano così fondi “restituiti ‘in nero’ alle società” appaltatrici. E ancora “il provento delle attività di fatturazione per operazioni inesistenti viene in parte utilizzato” per il “mantenimento economico dei detenuti e delle loro famiglie” per dare “lavoro ai disoccupati in un’area particolarmente depressa del Paese e così rafforzando il prestigio della cosca”. Allo stesso tempo, gli operai “vengono fatti lavorare in condizioni di sfruttamento” e “senza poter avanzare alcuna rivendicazione, pena la perdita del posto di lavoro o subire violenze e minacce”.
La nota del procuratore
In un comunicato, il procuratore facente funzione di Milano, Riccardo Targetti, scrive che alcuni “componenti” dell’associazione per delinquere, che avrebbe messo le mani sui lavori di “armamento e manutenzione della rete ferroviaria italiana”, hanno “agevolato la ‘ndrina, facente capo alla ‘locale’ di Isola Capo Rizzuto, contribuendo al mantenimento finanziario dei detenuti e dei loro familiari” e “procurando falsi contratti di assunzione per far ottenere benefici premiali a soggetti colpiti da provvedimenti giudiziari”. Le indagini, spiega il procuratore, hanno ricostruito “una rete di società fittiziamente intestate a prestanome, i quali sono risultati fiduciari dei principali indagati” destinatari dell’ordinanza, “tutti soggetti in rapporto di contiguità-parentela con la famiglia ‘ndranghetista Arena-Nicoscia”. I 6,5 milioni di euro sequestrati, con ‘sigilli’ su beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie, riguardano “i profitti derivanti dai reati frode fiscale” e dalla “omessa presentazione delle prescritte dichiarazioni di imposta e dalla compensazioni di debiti erariali con falsi crediti Iva”.