Udine: nuovo capitolo del tormentone Hospice. Ennesimo trasferimento, dall’ospedale alla Quiete. Un milioncino di spesa solo per gli spazi

Il fatto che l’Azienda sanitaria Friuli centrale abbia deciso di trasferire l’hospice dall’area ospedaliera Santa Maria della Misericordia, alla Quiete non ci meraviglia. E’ l’epilogo di una vicenda che avevamo già ricostruito oltre un anno fa mandando su tutte le furie la direzione aziendale. Oggi i nostri timori vengono confermati dalla realtà , nessuna “profezia”, ma la conoscenza dei fatti seguiti negli anni e che oggi trovano il loro “naturale” epilogo nella volontà politica di esternalizzare il servizio perchè la Quiete è una ASP acronimo di Azienda Pubblica di Servizi alla Persona che ha personalità giuridica di diritto pubblico ma ha autonomia statutaria, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica ed opera, si legge nella presentazione della Regione Fvg (https://www.laquieteudine.it/it/chi-siamo-46164/lorganizzazione-47081) con criteri imprenditoriali. L’azienda, si legge ancora non ha fini di lucro opera secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto del pareggio di bilancio ed è a gestione politicamente imposta che la rende, a nostro vedere, perfino peggio di una azienda privata che almeno, sulla carta, non gode di coperture partitiche. Detto questo ed in attesa di capire meglio come verrà gestito il delicatissimo servizio . Per ora quello che si sa è quanto contenuto nella delibera che prevede che la ASP La Quiete metta a disposizione spazi e servizi e per questo riceve dall’Asufc 55 euro al giorno per posto letto attivato che passano da 8 a 15. Matematica ci dice che complessivamente può arrivare a incassare 825 euro al giorno che malcontati fanno poco meno di un milione di euro (nel triennio) solo per gli affitti degli spazi . Viene infatti specificato della delibera  che la titolarità dell’hospice rimane all’Asufc che continuerà a garantire l’assistenza medica, specialistica, psicologica, infermieristica, riabilitativa, farmaceutica e gli operatori socio-assistenziali. L’Asp, invece, mette a disposizione i locali dove allestire i 15 posti letto, la sala per il culto, gli uffici e i servizi di pulizia, ristorazione, lavanderia e manutenzione. La convenzione ha validità triennale a partire da oggi. Alla base della scelta c’è anche la cronica carenza di personale che sta creando non pochi problemi all’Asufc e che però, contraddizione poco sembra entrarci se fosse realtà che Asufc “continuerà a garantire l’assistenza medica, specialistica, psicologica, infermieristica, riabilitativa, farmaceutica e gli operatori socio-assistenziali”, a meno che tutto questo non venga svolto per “corrispondenza”. Temiamo invece che vi saranno trasferte. La decisione del Cda di Asufc non è stata all’unanimità contro si è espressa sta la consigliera Raffaella Cavallo, figlia di Francesco Cavallo, pediatra, fondatore del Comitato provinciale di Bioetica e padre del Centro cure palliative nel reparto ospedaliero di Oncologia. Cavallo si è astenuta perché è convinta che «la richiesta dell’Azienda sanitaria di ospitare l’hospice negli spazi della Quiete, stride con la visione in cui sia il sistema sanitario a farsi carico di offrire un servizio, in uno spazio adeguato, per il malato e i suoi congiunti. Ancora una volta rilevo quella paradossale modalità da parte dell’Asufc di non farsi carico di una scelta di civiltà che avrebbe richiesto l’individuazione di una collocazione adatta all’hospice. La decisione viene demandata alla Quiete che non può che accettare in virtù della cultura che mette al centro la persona». Insomma la consigliera avrebbe preferito veder allestire l’hospice in un luogo diverso da una casa di riposo. Ed allora torniamo a ribadire quanto come FriuliSera avevamo scritto il 19 aprile del 2021 sotto il titolo: “Hospice di Udine, torna il delirio, L’allarme di personale e famiglie potrebbe essere il viatico atteso da qualcuno per tornare all’esternalizzazione del servizio”.

Questi alcuni stralci di quanto scrivevamo: Ogni tanto nel capoluogo friulano tornano fuori fantasmi del passato, così è per l’hospice. I posti di “fine vita” che ogni città civile dovrebbe offrire come presidio di umanità. Un tormentone lungo lustri che, se non si trattasse del racconto di una delle situazioni più delicate e dolorose della sanità, quella del dolore infinto della fine di una vita, potrebbe sembrare farsesca. Ma in realtà è il business a essere il reale motore in passato come probabilmente oggi. Partiamo quindi da questo 2021 e dalle voci sempre più insistenti che raccontano di una nuova possibile esternizzazione del servizio. Per sponsorizzare l’ipotesi sembra ci sia qualcuno che non si fa scrupolo a spingere verso una gestione approssimativa o meglio, a lasciare che la situazione vada alla deriva…… Strategia perniciosa volontaria? Difficile averne certezza nel caso specifico ma del resto la tecnica manageriale consolidata in tutti i settori racconta che basta lasciare che una gestione diventi poco efficiente ed il gioco è fatto, si ha mano libera per proporre anche l’improponibile. Cosa semplice essendo l’hospice per sua natura una realtà sanitaria delicatissima, non tanto dal punto di vista strettamente medico, perchè nell’hospice non si salvano vite, ma dal punto di vista psicologico e del rispetto della persona e dei suoi affetti…… La tesi è che l’hospice sia visto come una rogna da alcuni e una lucrosa opportunità da altri. Ricordiamone allora la storia tormentata partendo dal 2009 quando è nato, collocato in una casa di riposo dell’hinterland udinese (Martignacco) tramite una convenzione che è costata all’ASL 1,5 milioni di euro di affitto per anno (vuoto per pieno) per 15 posti letto, ma in realtà con un tasso medio di occupazione del 70% che rendeva il business appetibile.
Il passato
Ma scaviamo nella nostra memoria storica (consapevoli che incorreremo in qualche imprecisione) ed esemplifichiamo la narrazione di una vicenda lunga oltre vent’anni, dicendo in via preliminare che quella storia è foriera di irregolarità e sprechi sui quali non c’è stata alcuna inchiesta e neppure un reale giudizio politico. Ovviamente questo non vuol dire che fosse tutto regolare, ma che la sonnacchiosa Procura di Udine si è guardata bene da mettere il dito in quello che poteva trasformarsi in un vespaio, mentre i partiti non amano spartirsi responsabilità quando queste sono comuni.
La Storia
La storia inizia quindi nel secolo scorso, poco più di vent’anni fa, a seguito dell’approvazione della Legge 39 del 1999 voluta dall’allora ministro alla sanità Rosi Bindi, che prevedeva l’adozione di un programma nazionale per la realizzazione in ciascuna regione e provincia autonoma di un Hospice per il fine vita. Allora la Fondazione Morpurgo Hofmann assieme all’Azienda Sanitaria Udinese, espressero la volontà di realizzarne uno a Udine, nella ex clinica Santi di via Monte Grappa (ora demolita) al tempo proprietà della Fondazione stessa. Quello che serviva, erano 15 posti letto. Nulla di più. Ma, in breve, la smania di grandezza “pubblica” sedusse gli animi e si pensò a una struttura più ambiziosa, che ospitasse 15 posti per il fine vita e 58 per la Residenza Sanitaria Assistenziale (Rsa).

Ecco che nel 2000, dopo il concorso “Hospice chiavi in mano”, fu approvato un primo progetto, quello degli architetti Sello e D’Odorico; opera che, nel 2003, forse per capriccio dell’Azienda Sanitaria, subì delle varianti: due piani per la Rsa e uno solo uno per il fine vita. Allora la spesa per l’opera si quantificò in 14 milioni. Il soldi erano troppi e si mendicò perfino qualche finanziamento privato. Nei forzieri della Fondazione, infatti, c’erano soltanto i 2 milioni erogati da Roma con un decreto ministeriale, ma con l’obbligo di utilizzarli entro tre anni. Nel maggio del 2005 si fece avanti una sconosciuta associazione romana, “Anni Verdi”, saltata fuori dal cilindro dell’allora presidente della Fondazione, Gianluigi Gigli, ma che presto si defilò. Nel frattempo l’azienda sanitaria Medio Friuli venne autorizzata a stipulare un mutuo fino a 7 milioni con la Regione, per non meno di 15 anni. Soldi virtuali, in ogni caso, perché, a quanto risulta, il mutuo non fu mai acceso. Il tempo passò infruttuosamente attraverso scontri e resistenze; all’interno della Fondazione, infatti, per usare un eufemismo, la concordia non regnava sovrana. Ecco che nel 2007, dopo un’inevitabile scissione all’interno della Morpurgo, nacque la “Fondazione Onlus Hospice Rsa Morpurgo Hofmann, Azienda Sanitaria Medio Friuli”. A questo punto un accordo prevedeva che la vecchia Fondazione lasciasse in eredità alla “figlia” il terreno di via Monte Grappa, oltre al progetto realizzativo e a un conferimento di liquidità, pari al 36% del valore complessivo della donazione. L’Aas Medio Friuli, invece, avrebbe contribuito per il 63% del totale con il mutuo “triestino”.

A questo punto, Gigli fece saltar fuori dal cilindro un nuovo coniglio: l’Ater. A novembre del 2007, infatti, senza dare spiegazioni, il presidente della Fondazione liquidò gli architetti Sello &co e consegnò all’Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale l’incarico di un nuovo progetto, sempre alla Santi. Disegno che, a ben guardare, secondo le malelingue sembrava scopiazzato dal precedente. Nel 2010 entrò nella Fondazione, con gran clamore, anche il Comune di Udine con un conferimento carico di potenziale: l’ex caserma Piave, con la soluzione ad una serie di problematiche urbanistiche riscontrate in via Monte Grappa. L’offerta si presentò allettante perché a suon di progetti e perdite di tempo, la Fondazione nel frattempo si trovò con le tasche bucate. Il regalo del Comune, inoltre, consentiva la vendita (che a ben guardare sembrò una svendita) della clinica Santi, nella speranza di raggranellare un ulteriore gruzzolo.
Ecco allora che per la Piave si concepì un nuovo progettone, sempre firmato Ater. Ma l’opera risultò proibitiva, anche per via di spese aggiuntive per la bonifica del suolo. Ancora nulla di fatto, con un ritardo di 9 anni sulla fiducia e il finanziamento di Roma. Finanziamento che, ricordiamo, fu assegnato a un progetto ancora inesistente. Fin dal primo momento, dunque, fu chiaro che non aveva mai trovato soluzione immediata il vero problema: quello di fornire un servizio adeguato ai malati. Per questo, come spesso accade anche per altri servizi, si decise di ricorrere, con regolare gara d’appalto, ai privati. Si presero così in locazione 15 posti letto alla Zaffiro di Martignacco, (poi trasferiti al Gervasutta e ridotti a 8) con un conseguente e aggiuntivo dispendio da parte dell’Azienda Sanitaria. Ma almeno, si disse allora, si aveva il servizio dal momento che il “pubblico”, per proprie inefficienze, non era stato in grado di pensare ai malati. Sì perché alla fine della fiera, in questa triste vicenda il vero spreco di denaro, almeno allora, non fu nei fondi spesi per l’assistenza privata, ma nell’incapacità della struttura sanitaria pubblica di rendersi efficiente e concorrenziale o, come nel nostro caso, nella pretesa di dotarsi di velleitarie strutture faraoniche che, alla fine, rischiano di non farsi, o di restare cattedrali nel deserto perché non ci sono più soldi sufficienti, facendo allora sì raddoppiare le spese e determinando sprechi milionari.

Detto fatto, e passano ancora gli anni. Siamo nel febbraio 2014 la Regione torna sui suoi passi e la disponibilità di concedere un mutuo per l’hospice va in fumo. L’ufficialità arriva nel 2015 quando con la manovra di Bilancio approvata dalla Regione nel dicembre di quell’anno, viene abrogata ufficialmente la norma 2006 che concedeva all’Azienda Sanitaria il prestito immobiliare. La situazione è sempre più critica, perché i soldi a disposizione sono insufficienti anche per realizzare 15 posti per i malati terminali. E’ il tracollo. La Regione, rivolgendosi all’allora presidente della Fondazione Onlus, Colle, argomentò più o meno così: “noi non ti concediamo mutui, arrangiati come puoi, fermo restando che ti restano i due milioni concessi dallo Stato”. Ma cosa fare con soli due milioni? O meglio, due milioni più un milione e rotti guadagnato dalla vendita della Santi? Alla Piave, che necessita di bonifica, praticamente con quei soldi non si può realizzare neanche un chiosco per le bibite. A questo punto il presidente Colle abdicò. Al suo posto venne eletta Manuela Quaranta Špacapan, un’elezione che, per come la vediamo noi, servì al solo scopo di salvare le apparenze. Insomma: il miraggio Hospice, per ragioni politiche in odor di elezioni 2018, doveva rimanere ancora in piedi. Ma qualcuno sottovalutò l’integrità del neo presidente. Il clima, in Fondazione, si fece subito teso. Il primo, e forse l’unico incarico urgente assegnato alla Quaranta Špacapan, fu quello di redigere il nuovo statuto della Fondazione, e questo in ottemperanza alla legge del 2012 sulla spending review che prevede una riduzione dei membri del consiglio. “Ma che senso ha redigere un nuovo statuto, se non esiste più neanche una reale missione della Fondazione?” questo dev’essere stato il quesito etico che si è posta la neo presidente. La risposta arrivata da Trieste sul futuro della sua istituzione fu disarmante e suonò più o meno così: “fate un Hospice a 15 letti con quello che avete. Perché da noi, lo ribadiamo, non arriverà un soldo”. Risposta pilatesca quindi. Dopo vari tira e molla la Regione decide comunque di investire l’Azienda Sanitaria del gravoso compito: fare l’Hospice con i soldi statali. Di conseguenza, l’Azienda esce dalla Fondazione Onlus che, privata definitivamente della sua funzione vitale, obbliga il presidente Quaranta Špacapan ha presentare le sue dimissioni dichiarando. «Me ne vado sollevata finalmente è chiaro chi dovrà pensare ai malati. Mi auguro che l’Azienda 4 “Friuli Centrale” faccia propria in toto la responsabilità di dare una risposta concreta e rapida a chi, nella condizione di fragilità globale imposta dalla malattia, ha diritto ora, e non in un tempo futuro incerto, a preservare la propria dignità di uomo all’ultimo attimo di vita terrena». Auspicio quello della Špacapan che ora, nel 2021 potrebbe venir meno. Infatti anche se nel 2013 l’hospice veniva trasferito nell’ospedale pubblico di riabilitazione Gervasutta in Udine città con 12 posti letto la tormentata storia sembra essere ben lungi da avere conclusione.
L’epilogo
Nel 2019 avviene ulteriore trasferimento nell’ospedale civile Santa Maria della Misericordia di Udine con 8 posti letto con una pomposa inaugurazione da parte dell’attuale assessore alla Salute Riccardo Riccardi che oggi sembra voler emulare i fasti del passato che ricordiamolo, furono assolutamente bipartisan. Ma ovviamente lui che virtualmente ha ancora il quadro di Formigoni nel suo ufficio, vede probabilmente una sola soluzione, quando un servizio funziona male, diamolo ai privati, perchè “privato” e bello. E poi tutto sommato offrire al mercato 8 posti fine vita potrebbe tornare ad essere un affare per qualche amico”.
Così anche se la scelta di oggi è privatizzare a metà, dato che La Quiete è privata nei metodi ma con proprietà pubblica, il passo è stato fatto e chissà cosa ci riserverà il futuro delle politiche Riccardiane.