Più concreto l’incubo nucleare, ma in realtà in Friuli e Lombardia si convive con l’atomica da decenni anche se “ufficialmente a nostra insaputa”

I cittadini del Friuli Venezia Giulia, così come quelli della Lombardia, sanno di convivere con un arsenale nucleare? Non tutti e soprattutto non ufficialmente anche se già da decenni IAL ANA (International Association of Lawyers Against Nuclear Arms) l’associazione internazionale di legali che operano per l’eliminazione delle armi nucleari e il rafforzamento del diritto internazionale umanitario, con status consultivo presso le Nazioni Unite strappò il velo di silenzio sul pericolo atomico che gli italiani corrono ogni giorno a causa degli ordigni nucleari custoditi nelle basi di Aviano (Pordenone) e Ghedi (Brescia). Pericolo relativo  anche al fatto di essere chiaramente obiettivi strategici  per n eventuale “nemico” nucleare.  Da pochi giorni è in libreria il volume “Parere giuridico sulla presenza di armi nucleari in Italia” redatto dagli avvocati Joachim Lau e Claudio Giangiacomo, di IALANA Italia, indiscutibilmente tra i più competenti in materia.  “Abbasso la guerra” e altre ventuno associazioni pacifiste territoriali e nazionali si sono rivolte agli avvocati Lau e Giangiacomo per chiedere uno studio sui possibili rimedi giuridici ben prima che l’invasione russa dell’Ucraina e il profilarsi di uno scontro tra superpotenze rendesse la minaccia di distruzione atomica un argomento sempre più concreto, nominato e persino banalizzato. Ma se le minacce reciproche delle superpotenze hanno riportato alla luce le fosche dottrine della deterrenza, la presenza del nucleare statunitense in Italia resta un tabù, circondato dal segreto di Stato. In realtà è un segreto di Pulcinella perchè, che gli ordigni nucleari sono presenti in Italia, è una realtà inoppugnabile anche se difficilmente riscontrabile in atti proprio perchè la loro presenza è sostanzialmente illegale. Per questo motivo, il Parere giuridico sulla presenza di armi nucleari in Italia assume oggi una potenzialità straordinaria: mostrare l’insipienza e le convenienze di un potere istituzionale che negli anni non ha tenuto in alcun conto la sicurezza dei cittadini, nascondendo e minimizzando la presenza a 85 chilometri da Milano, nel caso di Ghedi e a 95 chilometri da Venezia, nel caso di Aviano, del più grande arsenale atomico europeo dispiegato dagli USA. Due luoghi dove le attuali bombe nucleari B61-3 e B61-4 sono destinate a essere sostituite entro qualche mese dalle più sofisticate B61-12, dotate di quattro opzioni di potenza, fino a un massimo di 50 chilotoni ciascuna, vale a dire una potenza superiore a tre bombe di Hiroshima. Lo studio motiva l’illegalità della presenza su territorio italiano di almeno quaranta ordigni nucleari, in violazione del Trattato di Non Proliferazione ratificato dal nostro Paese nel 1975 e di altre norme nazionali e internazionali e non nasconde la paradossale difficoltà di ottenere una condanna in via giudiziaria e un conseguente ordine di rimozione. Quello che si sa è che tra Italia e Stati Uniti esiste un accordo segreto per la difesa nucleare, accordo che sarebbe stato rinnovato dopo il 2001 e forse “aggiornato” più recentemente. Il nome in codice sarebbe Stone Ax (Ascia di Pietra). L’accordo sarebbe stato sottoscritto dopo l’11 settembre 2001 dal governo Berlusconi. Ma quello del 2001 non sarebbe stato il primo accordo e non certo l’ultimo, probabilmente fin dagli anni 50 gli Usa imposero all’Italia repubblicana che aveva perso la guerra, bombe e segretezza. Per anni quindi la negazione dell’esistenza degli ordigni atomici è stato l’imperativo categorico anche difronte all’evidenza. Poi nel  settembre 1991, dopo il crollo del muro di Berlino, con il presidente George Bush padre che aveva annunciato il ritiro di tutte le testate nucleari montate su missili o su mezzi navali presenti anche in Italia iniziarono a circolare ufficialmente i numeri. In Europa erano rimaste 1400 bombe atomiche in dotazione all’aviazione poi in dieci anni il numero venne ridotto di circa due terzi fino appunto al 2001 quando venne siglato il nuovo accordo Stone Ax, il tutto in barba al fatto che fin dai primi anni Settanta l’Italia aveva ratificato il trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Un documento che oltre ad impegnare i firmatari a interrompere la corsa agli armamenti, fissava alcuni precisi paletti. In particolare, ognuno dei paesi militarmente non nucleari, come il nostro, si impegnava «a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi». Fatta la legge trovato l’inganno, così gli ordigni sono Usa ma potrebbero diventare tricolori al bisogno se Nato ordinasse.  La scelta di “ospitare” ordigni nucleari, oltre a problemi di natura relativa alla sovranità nazionale e alla collocazione geopolitica dell’Italia pone anche problemi di sicurezza. Poco spazio sulla stampa ha trovato la notizia di uno studio internazionale austro-statunitense che ha simulato le conseguenze di una catastrofe nucleare nella base aerea di Aviano. Un’esplosione nucleare, anche di tipo “accidentale” (eventualità già ammessa come possibile in uno studio del 1997 commissionato dalla stessa US Air Force che evidenziava il rischio di esplosione nucleare nel caso in cui un fulmine avesse colpito il deposito di un ordigno nella fase di smantellamento, ossia quando la testata viene smontata dal resto della bomba) provocherebbe almeno 234mila morti.  La ricostruzione-choc è emersa come detto dalla ricerca congiunta austro-statunitense, i cui risultati sono stati presentati a Vienna nel 2014 nella conferenza “The Humanitarian impact of nuclear weapons” promosso dall’ufficio affari esteri del governo austriaco. Con la simulazione elaborata dal Natural Resources Defenze Council di Washington e della Zentralstalt fur metereologie und geodynamic di Vienna si puntava a prevedere gli effetti di una catastrofe nucleare che dovesse verificarsi in una delle basi militari nel Vecchio Continente. La scelta è caduta sulla base di Aviano per la sua vicinanza con l’Austria. Se la popolazione fosse debitamente avvertita e protetta, spiegano gli scienziati, si avrebbero 82mila vittime: 26mila morti per l’esplosione e 56mila feriti provocati dalle conseguenze delle radiazioni. Se invece gli abitanti non fossero protetti in alcun modo, (come è la realtà) il conto dei morti salirebbe ulteriormente: si prevederebbero 234.500 morti, per la maggior parte feriti dai micidiali effetti della nube tossica che si verrebbe a creare. Nell’esplosione atomica di Hiroshima perirono 90mila persone, mentre per l’incidente nucleare di Chernobyl l’Onu calcola circa 4000 morti.  L’idea di chiedere la denuclearizzazione non è quindi sbagliata e le azioni possibili sono numerose e vanno sostenute da una larga consapevolezza. Inutile nascondere che la questione è “strategicamente” delicata alla luce delle minacce di Putin, se infatti si rendono concrete le ipotesi di Aviano e Ghedi possibili obiettivi militari, rendono attuale il concetto di deterrenza. Comunque secondo un recente sondaggio condotto da YouGov, (prima però delle vicende Ucraine) il 74% dei cittadini è a favore della rimozione delle armi atomiche statunitensi dislocate in Italia. La speranza è che questo studio serva a promuovere non solo un’azione legale, ma anche un capillare lavoro di conoscenza che ci renda cittadini e cittadine consapevoli, capaci di riaffermare la centralità dei territori e l’inviolabilità delle vite che li abitano. Ma in questo quadro e con i venti di guerra che arrivano sempre più impietosi da est c’è almeno qualche tiepida buona notizia sul piano istituzionale. Di recente infatti, la Commissione Esteri della Camera ha approvato, con il solo voto contrario di Fratelli d’Italia, una risoluzione in cui chiede al governo di realizzare atti concreti di avvicinamento al Trattato di Proibizione delle armi nucleari (TPNW). Il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) è il primo trattato internazionale che dichiara illegali le armi nucleari. Esso colma l’assenza di un esplicito divieto legale sulle armi nucleari, vietandone ogni aspetto dalla produzione allo stoccaggio, all’uso e alla minaccia d’uso. È stato adottato il 7 luglio 2017 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e il 22 gennaio 2021 è entrato in vigore. Ma in realtà dovrà essere ratificato da ogni singolo Stato e questo, ovviamente, ne limita l’efficacia. Comunque rappresenta il risultato dello sforzo congiunto della società civile che continua a promuoverlo per accrescerne il consenso pubblico e affinché sempre più Stati lo ratifichino. Il trattato in sostanza è il primo strumento giuridico internazionale che dichiara illegali le armi nucleari, estendendo quanto già sancito per le altre armi di distruzione di massa. Ne prevede la progressiva totale eliminazione, rafforzando gli obiettivi della non proliferazione nucleare. Proibisce alle nazioni di sviluppare, testare, produrre, trasferire, possedere, immagazzinare, usare o minacciare di usare armi nucleari o permettere che armi nucleari siano di stanza sul loro territorio. Per ora è stato ratificato da 61 Paesi, esclusi tutti gli alleati Nato, Italia compresa. La risoluzione approvata dalla Commissione Esteri della Camera riporta che l’Italia, pur considerando gli impegni internazionali e gli aspetti di sicurezza, “ha sempre ribadito che l’obiettivo di un mondo senza armi nucleari è uno dei cardini della propria politica estera”. Esprime la consapevolezza che: “Le armi nucleari costituiscono ancora oggi una grave minaccia per l’umanità ed è quindi fondamentale continuare gli sforzi per la loro riduzione con l’obiettivo di una definitiva eliminazione”. La Commissione conferma inoltre che le conseguenze umanitarie e ambientali catastrofiche di un conflitto nucleare sarebbero irreversibili e “appaiono inconciliabili con il diritto internazionale”. Per questo motivo la Comunità Internazionale è stata indotta a considerare prioritari gli obiettivi della non proliferazione e del disarmo nucleare. Con la risoluzione della Commissione il Parlamento impegna il governo a “continuare gli sforzi verso l’obiettivo di un mondo libero dalle armi nucleari, rafforzando il protagonismo della diplomazia italiana in tal senso ed articolando proposte concrete e condivise”. Lo sollecita a realizzare «possibili azioni di avvicinamento ai contenuti del Trattato TPNW, in particolare per quanto riguarda azioni di “Assistenza alle vittime e risanamento ambientale”. Lo invita a considerare, in consultazione con gli Alleati, l’ipotesi di partecipare come ‘Paese osservatore’ alla prima riunione degli Stati Parti del Trattato di proibizione delle armi nucleare, che si svolgerà a Vienna nel prossimo mese di giugno 2022″. Insomma non una rivoluzione ma almeno un piccolo passo che almeno nuota controcorrente ma nella direzione giusta.