Presentato oggi dalle voci dei protagonisti il progetto Ponte a NordEst che culmina domani – 17 febbraio – con il concerto al Politeama Rossetti

Un unicum nel panorama jazz: Stefano Bollani con Rava, Fresu, Sepe, Salis, Tavolazzi e Gatto (con i giovani Frida, Mancuso e Mascetta) insieme sullo stesso palco per la prima volta, con le musiche composte in residenza per GO! 2025

Il progetto

Ponte a NordEst è un progetto Euritmica inserito tra le attività strategiche del calendario di GO!2025 e sostenuto dall’Assessorato alla Cultura della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.

Il progetto, sotto la direzione artistica di Giancarlo Velliscig, per la prima volta unisce i massimi esponenti che la scena jazz italiana ha espresso – e continua a esprimere – da oltre cinquant’anni: le grandi stelle del jazz si sono riunite in una residenza artistica tenuta a Gorizia dal 13 al 16 febbraio 2025 in occasione della prima Capitale culturale transfrontaliera d’Europa, per un lavoro congiunto e specifico mai realizzato fino ad ora: Stefano Bollani – leader del progetto è affiancato da Enrico Rava, Paolo Fresu, Daniele Sepe, Antonello Salis, Ares Tavolazzi e Roberto Gatto; con loro tre giovani di grande talento: Frida, Matteo Mancuso e Christian Mascetta.

Il progetto è pronto per essere raccontato in musica nel concerto di lunedì 17 febbraio alle ore 20.45 – da tempo sold out – al Politeama Rossetti: un unicum, sicuramente sorprendente, nella storia del jazz che mai ha visto condividere il palcoscenico da così tante firme nazionali di livello assoluto.

Nella conferenza stampa di oggi – 16 febbraio – a Gorizia Stefano Bollani e Roberto Gatto hanno raccontato il loro percorso a Gorizia, condotti da Giancarlo Velliscig.

 

Le parole dei protagonisti
Bollani – sempre sostenuto dalla consueta ironia – racconta che il vissuto dell’assenza dei confini sta, per quest’esperienza, nella scelta della provenienza delle musiche. Ci saranno tracce da Svizzera, Argentina, Norvegia, Turchia, Francia, Inghilterra e molte parti del mondo: un repertorio poco conosciuto ai più e in ogni caso inedito, che “pesca” tra la musica etnica, quella classica e non solo di varie nazioni e popoli.

Il ponte non è solo geografico, ma anche temporale: perché questi brani – racconta Bollani – parlano del passato, ma vogliono aprirsi al futuro, contaminandosi. Sono irriconoscibili, eppure rispecchiano un’identità, intrecciata con le altre.

Anche il ponte generazionale è importante: nella Bollani All Stars ci sono Frida, figlia di Stefano, che ha 21 anni ed Enrico Rava che ne ha 85.

Durante il concerto, spiegano, saranno 10 i musicisti, che si divideranno in diversi gruppi, in modo nuovo e anche in questo caso inedito.

Anche Roberto Gatto esprime grande piacere nell’aver ritrovato vecchi amici – con i quali non suonava da molti anni: bello dal lato umano e da quello musicale, perché con molti (Stefano per primo) si erano persi.
La scommessa di mettere insieme questo gruppo sarà, per Gatto, una bella scoperta: una restituzione unica che racconta cosa vuol dire lavorare insieme, anche condividere le proprie passioni (giocare a scacchi, cucinare, si fa tutto quando si condividono le prove).

Guardano tutti avanti, durante il dialogo, sperando che da quest’avventura ne nascano di nuove: e il focus va sul concetto della comunicazione del mondo del jazz, del suo essere ancora “per pochi” e si riflette su quale potrebbe essere il futuro di questa musica vista così distante, eppure nata dalla sofferenza, dall’emarginazione e per questo – paradossalmente – molto vicina all’umano.

Secondo Bollani la diffusione ultimamente è limitata un po’ per mancanza di programmazione, un po’ per diffidenza: in verità, siccome il jazz nasce dal disagio, avrebbe molto spazio nel mondo d’oggi – spiega. Ma il discorso cade sulla mancanza di quotidianità: ci sono le superstar oppure i piccolissimi artisti, mentre manca la “classe media” dei musicisti che si esibiscono ovunque e spesso, mantenendo abitudine e livello.
Entrambi i musicisti ospiti ritengono che un’eccessiva burocratizzazione (i “bandi” in primis) siano a volte un limite, perché finiscono per condizionare le scelte. Il Conservatorio per certi versi ha tolto spontaneità – secondo Bollani; mentre per Gatto può essere molto fruttuoso, ma come sempre dipende da chi è l’insegnante e dal suo spirito.

Suonare il jazz – spiegano entrambi – è impegnativo: per questo anche in Italia non ci sono tantissimi artisti che vi si dedicano: bisogna saper abbracciare l’imprevisto, ascoltare gli altri, essere pronti e non aver tutto preparato. Il jazz è quella musica che sposta la direzione i due battiti di bacchetta o due accordi, e non sa dove va a finire.
Insomma – spiega Bollani – è di una difficoltà estrema, ma è l’idea di una società reale, nella quale ognuno può decidere se distruggere tutto, o portare gli altri in una direzione comune o viceversa assecondarne un’altra. Nessuno sa ciò che fanno gli altri, e tutti, per questo devono stare in ascolto. Una sorta di società ideale.

Entrambi mettono l’accento su come oggi il concetto di jazz abbia meno spontaneità: una volta – racconta Gatto – con Massimo Urbani, ci trovavamo a una cabina telefonica e cercavamo un posto dove suonare. E conoscevamo e amavamo tutta la musica, dal jazz, al prog alla classica al popolare. Oggi è tutto più settorializzato e meno fluido.

 

Rispetto a Gorizia entrambi ne hanno percepito calma e serenità, nonostante il pesante percorso storico: è comunque un luogo dove l’idea di comunanza, di condivisione è e deve essere centralissimo. Questo, hanno sicuramente percepito in questi pochi giorni di residenza.

Oggi a Gorizia presentazione del progetto Ponte a NordEst / Bollani All Stars Band, presso il Centro culturale Lojze Bratuž