Prove di “campo largo” nel labirinto a sinistra. Interessante discussione e opportunità, ma con i soliti problemi
“Articolo uno del Friuli Venezia Giulia è a disposizione per ogni iniziativa che punti ad allargare il campo delle forze della sinistra regionale e delle formazioni progressiste. La volontà del Pd regionale ad aprire questa fase di discussione e di organizzazione è molto importante. Infatti, crediamo indispensabile lavorare da subito perché si dia vita a questa operazione alla scopo, prima di tutto, di costruire un largo schieramento per tentare di battere nel 2023 la destra centro regionale. A nostro avviso, ciò va fatto anche nelle singole competizioni locali in programma in primavera e nel prossimo anno. L’esperienza di Trieste insegna che dividere le forze anche al primo turno non aiuta la sinistra e il centro sinistra. A Monfalcone è stata giustamente perseguita un’altra strada che ha unito non diviso lo schieramento progressista. Lavoro, giustizia sociale, beni pubblici quali sanità e istruzione, partecipazione dal basso, ambiente, diventino, declinati in sede locale e regionale, i valori e i punti programmatici della battaglia contro la destra regionale. Lo spazio c’è, ma è necessario anteporre l’interesse del collettivo alle aspirazioni personali comunque mascherate.” Così oggi il segretario regionale di Articolo Uno, Mauro Cedarmas. Insomma proseguono le grandi manovre nella sinistra. Ma non sarà un percorso facile sia localmente che soprattutto al livello nazionale. Basta ricostruire gli eventi delle ultime settimane, al netto delle nuove questioni che si sono poste intorno all’elezione del Mattarella Bis, per capire come il processo del “campo largo” è irto di ostacoli e resistenze e che da largo, il campo, diventi “morto” il passo potrebbe essere breve soprattutto nelle tante dinamiche locali. Come è noto a livello nazionale le danze le aveva riaperte, ad inizio anno con una sortita delle sue, Massimo D’Alema che con la sua dichiarazione il “Pd guarito dalla malattia renziana” aveva provocato un vespaio di polemiche. Infatti pur dicendo sostanzialmente una verità, almeno relativamente al fatto che il Pd sarebbe ridiventato politicamente agibile per un ritorno degli scissionisti di Articolo uno, ha dimenticato che, se non altro a livello parlamentare, parte dei renziani sono rimasti dentro il Pd magari più per convenienza che per convinzione. Quindi le resistenze ad un ruolo attivo degli ex di Articolo Uno, se l’operazione fosse gestita maldestramente, farebbe fibrillare il Pd con rischio collasso se non infarto. Per questo la sparata dalemiana ha suscitato una profonda irritazione perfino in Letta, che pure su Renzi neanche tanto nascostamente la pensa esattamente come d’Alema. Deve aver faticato il segretario a placare le ire degli ex renziani. Basti pensare alla dichiarazione della capogruppo alla camera Debora Serracchiani secondo cui: “Quando si chiede di ritornare nella casa che si è abbandonata, si dovrebbe bussare con discrezione e chiedere ‘permesso’, non giudicare dall’alto chi ha continuato a lavorare dentro il Pd”. “Non chiudiamo porte, ma non accettiamo veti.”. A Serracchiani aveva risposto il parlamentare di Articolo 1 e capogruppo capogruppo di LeU alla Camera Federico Fornaro: Mi spiace aveva detto Fornaro – dover rilevare come questa impostazione sia agli antipodi dello spirito con cui Letta ha promosso le Agorà con il dichiarato obiettivo di aprire le porte del Pd e suscitare un dibattito per la costruzione di un’offerta politica alternativa e competitiva a quella della destra sovranista”. Secondo il capogruppo di LeU discutere sul Pd renziano “rischia di essere un esercizio sterile mentre oggi abbiamo il dovere, tutti, nessuno escluso, di interrogarci se i contenitori e i contenuti degli attuali soggetti del centrosinistra siano adeguati alla fase complessa che stiamo vivendo oppure no”. “La mia risposta è no e credo che questa sarebbe anche la risposta della collega Serracchiani, con cui condividiamo quotidianamente una non facile azione parlamentare”, conclude Fornaro che invita tutti a lavorare insieme “per ricostruire una soggettività progressista capace di essere attrattiva e di rappresentare quella domanda così diffusa di maggiore eguaglianza e giustizia sociale”. Comunque sopita la polemica, assorbita anche dalla vicenda “Quirinale” che ha catalizzato le attenzioni politiche e mediatiche, a dare nuova accelerazione è stato pochi giorni fa Pierluigi Bersani in una intervista a “La Stampa” nella quale ha deciso di mettere alcuni puntini sulle “I”: “Rientro nel Partito democratico anche domani mattina a patto che si dia il profilo di una moderna sinistra di combattimento”. L’ex segretario Pd di fatto “rottamato” da Renzi nel 2015, che allora è sempre bene ricordarlo era segretario del Pd, pensa anche lui che un suo ritorno nella “Ditta” sia fattibile. Pronto a rientrare nella stagione più aperturista che guarda ad un campo largo che dovrebbe riunire sotto le insegne del Pd le anime sparse della sinistra-sinistra. Operazione più facile da dirsi che da farsi, perchè se da un lato per gli ex Pd di Articolo 1 le divisioni erano proprio legate al renzismo, inteso come concezione del partito e della società, ben diversa dovrebbe essere l’attrattività verso altre forze più esterne della diaspora a sinistra, frammentata in mille rivoli. Non solo ognuna di quelle forze ha storie diverse con spinte ideologiche e priorità diverse, ma vi sono soprattutto persone che, più o meno a ragione, sono incattivite dalla storia della sinistra del post PCI. Insomma più che sui programmi gli inciampi potrebbero essere fra personalismi, infarciti di veti incrociati e impaludati nella richiesta di mantenere rendite di posizioni in realtà poco accettabili. Questo soprattutto a livello periferico dove è più difficile far sbiadire la lavagna degli “sgarri” del passato anche in nome di una battaglia contro avversari comuni.