Revoca esportazione bombe in Arabia Saudita. Ricorso del produttore RWM Italia
Notizie di stampa hanno riportato alcune dichiarazioni dell’amministratore delegato di RWM Italia con l’annuncio di un ricorso relativamente alle decisioni del governo sulla revoca di licenze per l’export di bombe d’aereo e missili verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Il commento arriva dalla Rete Italiana per il Disarmo: “Pur non conoscendo nel dettaglio i termini di tale eventuale ed annunciato ricorso ci preme sottolineare l’inconsistenza delle motivazioni addotte per tale decisione che si possono desumere dalle già menzionate dichiarazioni. Relativamente al quadro normativo ci preme segnalare: La legge 185 del 1990 prevede una serie di criteri molto chiari, così come fanno le norme internazionali, per la concessione di autorizzazioni all’export e armamenti. L’esportazione di sistemi d’arma non è infatti considerata un “business” usuale ma deve allinearsi alla politica estera dell’Italia e ai già ricordati i criteri, tra i quali figurano come principali l’impossibilità di vendere armi verso paesi in stato di conflitto armato, paesi in cui siano state verificate gravi violazioni diritti umani, paesi che eccedono nella spesa militare. Se negli ultimi anni e in numerose occasioni tali criteri non sono stati rispettati de facto ciò non significa che si possano ignorare. Proprio perché i criteri si applicano in base a situazioni che cambiano nel tempo (la produzione e le forniture militari per propria natura si protraggono per periodi medio lunghi), la stessa Legge 185/90 prevede la possibilità di revoca di tali licenze come esplicitato nell’articolo 15 (comma 1 “Le autorizzazioni di cui all’articolo 9 e all’articolo 13 sono soggette a sospensione o revoca quando vengano a cessare le condizioni prescritte per il rilascio”). Il Governo e le autorità preposte hanno quindi tutto il diritto di decidere una revoca legandola non solo ad eventuali mutate situazioni derivanti dalle aziende, ma soprattutto relative alle tipologie di armamento e ai paesi destinatari. Fin dal 2019 è stato questo il quadro in cui si è inserita anche la sospensione delle licenze (vecchie e nuove) di bombe d’aereo e missili verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi, decisione contro la quale l’azienda non ha avuto nulla da eccepire. Le aziende che operano nel settore degli armamenti si mettono volontariamente e consapevolmente all’interno di norme chiare che delimitano il raggio d’azione di un settore economico che, come già ricordato, non può essere considerato standard. Devono quindi accettare il rischio d’impresa derivante da un mutamento delle condizioni dietro le quali vengono rilasciate le licenze. La stessa RWM ne è sempre stata consapevole, in particolare per le forniture verso i paesi coinvolti nel conflitto yemenita, come testimoniano anche i bilanci societari degli anni recenti. Riteniamo inoltre non solo inconsistente ma addirittura provocatoria e offensiva l’ulteriore motivazione addotta dall’AD di RWM per giustificare il cambio di valutazione rispetto alla sospensione operata nel 2019 che l’azienda non aveva contestato. Secondo le dichiarazioni riportate dalla stampa il provvedimento sarebbe ingiusto e punitivo perché “pur riconoscendo la complessità della situazione yemenita, il periodo 2019-2020 ha registrato molti passi concreti nella direzione di una stabilizzazione e pacificazione dell’area, contrariamente a quanto accaduto negli anni precedenti” trovando quindi “la decisione del governo contraria alla verità dei fatti”. Sono invece queste dichiarazioni ad essere vergognose e lontane dai fatti. Basta leggere a riguardo le notizie riportate dai media di tutto il mondo, le prese di posizione e le analisi delle organizzazioni non governative impegnate nell’aiuto umanitario in Yemen, i documenti ufficiali delle Agenzie delle Nazioni Unite. In tutti questi documenti si rende evidente come quella dello Yemen sia la maggiore crisi umanitaria del pianeta e che la stragrande maggioranza degli yemeniti si trovi oggi in condizioni di povertà, di carestia, di precarietà dal punto di vista sanitario oltreché di pericolo indotto da un sanguinoso conflitto che continua tuttora. A riguardo riportiamo in particolare l’analisi effettuata dall’organizzazione di yemenita per i diritti umani Mwatana, che nel suo rapporto annuale così descrive la situazione del proprio paese: Dal 1° gennaio al 31 dicembre 2020, Mwatana ha documentato nel proprio report annuale sulla situazione dei diritti umani nello Yemen circa 1020 incidenti di danni a civili e oggetti civili, in cui più di 900 civili sono stati uccisi e feriti. Gli incidenti documentati in tutto il Paese sono stati commessi da tutte le parti in guerra che hanno continuato il loro più ampio assalto ai diritti umani con civili uccisi, feriti, detenuti arbitrariamente, scomparsi e torturati. Le parti in guerra hanno anche ostacolato gli aiuti umanitari, reclutato e usato bambini soldato, occupato scuole e ospedali e attaccato operatori sanitari e umanitari. Nel 2020, il conflitto in corso nello Yemen ha causato la morte di centinaia di civili e lo sfollamento di decine di migliaia. Le infrastrutture civili vitali, compresi gli ospedali e le strutture di servizio, sono state danneggiate e distrutte, mentre una pandemia infuriava in un paese che assiste a quella che l’ONU descrive come la peggiore crisi umanitaria del mondo. C’è stata un’escalation dei combattimenti in alcune aree, in particolare nei governatorati di Al Jawf, Ma’rib, Al-Bayda, Abyan e Taiz, con la violenza che ha preteso un chiaro tributo alle popolazioni civili. Invitiamo dunque i dirigenti di RWM a documentarsi meglio rispetto alla situazione dello Yemen e al coinvolgimento del loro “cliente” Arabia Saudita in questa drammatica guerra. Forse rendendosi conto delle situazioni di emergenza estrema dei civili yemeniti potranno riflettere prima di giustificare e richiedere la ripresa dei loro affari armati con inesistenti miglioramenti della situazione del paese. Infine ancora una volta stigmatizziamo il solito tentativo di nascondersi dietro la situazione dei propri dipendenti e all’usuale “ricatto occupazionale” per cercare di ottenere approvazione relativamente a un’esportazione che a nostro parere viola tutti i principi normativi e anche morali. Il loro licenziamento o meno non dipende certo dalla revoca del contratto con l’Arabia Saudita (che era da anni ampiamente prevedibile)”.