Se non hanno pane, mangino brioches…

Come non bastassero dieci lunghi anni di guerra con tutto ciò che il conflitto comporta, ecco che a tutti i patimenti che la povera gente subisce, ci si aggiunge anche il cambiamento climatico che, bontà sua, colpisce un po’ dove gli capita e senza distinzione di aree geografiche. Solo che qui picchia ancora più duro aggiungendosi alle calamità provocate dalla guerra.
Questo è stato un anno, tra inverno e primavera, le stagioni in cui le piogge che normalmente cadono copiose inzuppando il terreno, di precipitazioni se ne sono viste raramente e generalmente di poca intensità. Non solo in NES, ma anche nelle regioni più a nord, da dove arrivano i fiumi che vengono ingabbiati dalle dighe che formano le riserve d’acqua sia per l’uso alimentare, sia per l’irrigazione. Se si aggiunge poi che i rapporti con la Turchia, per l’appunto più a nord ed in grado di controllare il flusso dei corsi d’acqua, non si possono certo definire rosei, si capisce bene che la scarsa quantità disponibile inciderà in modo deciso sui potenziali raccolti. Anche dovesse cominciare a piovere ora, sarebbe troppo tardi e secondo le stime di alcuni studi, il raccolto del 2021 sarà peggiore anche di quello già disastroso del 2018.
Per una regione in cui il grano rappresenta uno dei fattori di sicurezza e di entrate più significative, si capisce che questa siccità sarà un vero disastro. I consigli che si leggono su alcuni rapporti relativi a questa disgrazia e che suggeriscono come poter ovviare alla mancanza dei raccolti lasciano piuttosto perplessi e vanno dall’indicazione di aumentare il numero delle greggi che si possono nutrire del grano che mai andrà a maturazione e dunque all’aumento del consumo di carne, al nutrirsi anche con il latte delle stesse pecore. Come rimedio, tenendo naturalmente conto che soluzioni pratiche non ce ne sono, appaiono abbastanza superficiali. Ma questo fa parte delle strategie del magico mondo della cooperazione internazionale.
E’ chiaro che in una situazione del genere, privare di questo prezioso elemento nutritivo di base anche chi potrebbe averne a sufficienza, diventa un’arma di grande importanza. Ecco dunque che ultimamente si bombardano non più (anche, chiaro) gli edifici o le truppe nemiche, ma da un po’ di tempo anche i campi coltivati e che stanno andando a maturazione, vengono regolarmente colpiti con granate incendiarie. In questo modo si priva l’avversario, che poi sarebbe la gente comune, del proprio sostentamento. Mal comune, mezzo gaudio, insomma.
Anche se poi non è sempre così. Ultimamente la Russia ha dichiarato che fornirà Damasco con un milione di tonnellate di grano. Ad occhio e croce e tenendo conto che qualcosa si riuscirà a tirare su anche quest’anno, il fabbisogno della popolazione sotto il controllo di Assad dovrebbe riuscire a sfamarsi o perlomeno a garantirsi il pane. E’ anche abbastanza palese che tutto quel grano servirà come arma di scambio tra le parti. Per dire, in NES, governato dalla Self Administration e dunque largamente autonomo, ci sono quasi tutti i principali giacimenti di gas e petrolio ma il raccolto del grano quest’anno sarà molto scarso. Recentemente il presidente USA Biden ha promesso di non rinnovare il contratto per lo sfruttamento di quei campi petroliferi alla compagnia americana che per ora quei diritti detiene. Non è ancora chiaro a chi in loco sarebbe affidata la gestione e lo sfruttamento dei pozzi e a chi in caso si venderebbe il greggio, ma di sicuro a Damasco quel petrolio farebbe molto comodo ed avendo una discrete quantità di grano da mettere a disposizione delle bocche affamate del Nord Est della Siria, magari un compromesso si riuscirà a trovare.
E’ già successo ultimamente che lo scambio cibo per petrolio abbia riaperto i traffici tra le parti controllate dal governo e quelle amministrate da AANES (Autonomous Administration of NES) e che simili ragioni abbiano portato alla riapertura dei vari check points che separano le aree cotto il controllo dell’una e dell’altra parte. Lo sfruttamento delle risorse petrolifere, poi, stanno anche facendo riaffiorare alcune dispute mai del tutto (anzi) sopite. I principali giacimenti, i più ricchi della Siria, sono all’interno del NES, nella zona desertica a sud di Deir ez Zor, area la cui popolazione nulla ha a che spartire con i kurdi di Rojava che però controllano sia le forze armate (SDF, Self Democratic Forces) che l’amministrazione della regione. Chiaro che i locali, sunniti e radicali che non hanno in eccessiva simpatia neppure gli alawiti di Assad, vedano nei kurdi (gruppo etnico di minoranza e che principalmente risiede al massimo a nord di Hasake) coloro che si appropriano indebitamente e razziano le risorse che sarebbero invece a “naturale” disposizione degli abitanti della regione.
Recentemente, in seguito alle proteste dei locali per l’aumento del prezzo dei prodotti petroliferi e dell’arruolamento forzato dei giovani arabi tra le fila dell’SDF che hanno portato a contrasti duri tra le parti, alcuni giovani (secondo fonti locali 7) sono stai uccisi dalle pallottole sparate dalla polizia (Asaysh) o dalle stesse SDF. Gli aumenti sono stati prontamente revocati, ma nel frattempo i morti, tutti appartenenti alle varie tribù locali, hanno lasciato una scia di sangue che difficilmente verrà ignorata. Molti dei leader (sheikhs) della zona che sono al momento in Turchia, sarebbero restii a rischiare eventuali scontri armati con le forze dell’ordine, ma la loro assenza dal territorio, li ha in qualche modo esautorati dal potere, mentre chi è rimasto aumenta la propria influenza sugli abitanti. Pare che ci siano già degli accordi tra i vari sheikhs di aspettare solo il momento più adatto per poter rivendicare anche con le armi la propria estraneità alle forme sia di comando militari che quelle amministrative che fanno principalmente riferimento ai kurdi.
Tra le atre cose, questa è anche la regione in cui l’assenza di acqua ha maggiormente colpito le coltivazioni di grano, rendendo la gente in condizioni di sopravvivenza sempre più difficile. Se poi ci mettiamo che nella zona l’ISIS di fatto non è mai sparito ed è sempre riuscito ad organizzare azioni di guerriglia nonchè attacchi continui a posti di blocco o veicoli dell’SDF o Asaysh, si fa presto ad immaginare l’aria che tira da quelle parti.
Insomma, non basta la guerra a creare casini e disagi, anche la natura ci mette del suo e così sarà probabilmente sempre più di frequente. Coraggio, anche se ce ne vuole davvero parecchio.

Docbrino