Siria: La stabilità di un equilibrio precario
Si tratta ovviamente di un ossimoro; un equilibrio precario chiaramente non puo’ garantire stabilita’ e dunque, fino a che non si trova una posizione diversa, l’equilibrio rischiera’ di infrangersi in un qualsiasi momento.
Che la situazione in Siria non fosse stabile, appariva chiara e senza alcun dubbio. La presenza di troppi attori pronti a rivendicare le proprie necessita’, le loro esigenze, presunti diritti da scaricare sulle spalle della popolazione locale ovviamente, non hanno mai garantito nulla che potesse in qualche modo avvicinarsi ad una normalizzazione, per quanto potesse essere solo provvisoria. Una nazione squartata, come la carcassa di un vitello da cui ognuno vuole e pretende le parti migliori; sotto il controllo di poteri locali che se perdessero il loro protettore internazionale, non sarebbero in grado di sopravvivere.
Un fuoco che continuava ad ardere sotto le calde ceneri che si’, fino ad oggi, provocavano qualche fiammata, ma che oggi piu’ che mai riprendono forza da un insano vento che soffia e fa riardere le braci. E’ infatti da un po’ di giorni che gli scontri armati sono ripresi con un’attivita’ negli ultimi tempi inconsueta, virulenta come da anni ormai non succedeva. Probabilmente la situazione di stallo che si era creata non garantiva a nessuna delle parti, piu’ o meno belligeranti, una supremazia tale da poter assicurare un reale e stabile controllo delle aree sottomesse a questi vari soggetti.
Nella parte del NES (North East Syria) i combattimenti sono, si tratta di guerra a bassa intensita’, di posizionamento, fatta principalmente di scambi di mortaio ed episodi di guerriglia, concentrati tra Tel Tamer e Ain Issa che con tel AByad e Ras el Ain rappresentano i vertici della zona occupata dai turchi e controllata dai loro fanatici alleati che compongono in modo frammentario il SNA (Syrian National Army); insomma i cosiddetti ribelli per noi occidentali. A parte quella zona, c’e’ da notare una recrudescenza delle attivita’ principalmente dell’ISIS che approfitta dell’impossibilita’ del SDF (Syrian Democratic Forces) di controllare il centro sud della regione. Oppure i continui scambi “di cortesia” tra le milizie sciite (iraqene e iraniane principalmente) che si sono posizionate al confine tra Iraq e Syria ad occidente dellEufrate, e cio’ che rimane (in realta’ sempre quelli) delle truppe USA che dall’altra parte del fiume mantengono il controllo dei principali pozzi petroliferi della Siria. Una volta sono gli aerei USA che bombardano gli accampamenti sciiti e una volta sono i seguaci di Ali che sparano qualche razzo sulle posizioni USA e magari sparacchiandone alcuni anche sulle basi USA al di la’ del confine con l’Iraq.
Dal punto di vista politico, anche PYD (Partito di Unione Democratica), il partito di maggioranza e di governo in NES, che si ispira agli insegnamenti di Apo Ochalan, si trova sempre piu’ in difficolta’. Cio’ che gli “alleati” dei kurdi vorrebbero, e’ un governo che si dimentichi degli insegnamenti di Apo e che lasci tutto cio’ di buono che finora e in mezzo a mille difficolta’, il PYD (con il suo riferimento militare di YPG e YPJ) e’ riuscito a fare. L’ideale per l’occidente, sarebbe arrivare ad un sistema sulla falsariga di quello del KRI (Kurdistan Region in Iraq), di stampo iperliberista e con abbondanti alleanze politiche ed economiche con i turchi. E infatti sono sempre piu’ frequenti i litigi tra PYD e Kurdish National Council (ENKS), partito piu’ o meno fotocopia di quello che governa in KRI, con arresti di esponenti dell’ENKS, mentre ad Erbil (KRI) una delegazione del PYD e’ stata, in bocco, messa agli arresti e tuttora reclusa nelle locali carceri.
Cio’ che pero’ maggiormente preoccupa ora, e’ l’evoluzione che negli ultimi giorni, in realta’ qualche sentore gia’ si avvertiva da un paio di mesi, la situazione sta subendo ad ovest del grande fiume. Nella sacca di Idlib, tanto gli aerei russi e siriani (governativi) quanto le artiglierie di entrambe le parti hanno ripreso in grande stile le attivita’ con scadenza giornaliera. Parrebbe che quella specie di tregua, mai ufficiale ma in qualche modo in atto e che certo lasciava spazio a scambi reciproci, si sia improvvisamente rotta. Da quanto si puo’ vedere, parrebbe che russi e governativi si siano decisi a provare a porre sotto il loro controllo la parte piu a sud della sacca dove passa una della arterie stradali piu’ imoprtanti del paese; l’M4 che da Aleppo (dove arriva dall’est della Siria) giunge fino a Latakia e al Mediterraneo.
Andando piu’ a nord, pare che anche i movimenti di resistenza kurdi e siriacchi che si sono stabiliti a Tel Refaad nelle vicinanze di Afrin, abbiano intensificato i loro attacchi piu’ che altro con attentati e qualche razzo sparato dagli ATGM (Anti Tank Guided Missile) che tengono sotto pressione gli occupanti di quel cantone, gli stessi soggetti piu’ o meno di cui si parlava prima a proposito della zona occupata in NES. In quell’area, che va fino al confine con la Turchia e alla citta’ di Menbij contesa dai kurdi e dalla maggioranza araba legata al governo, anche l’aviazione governativa e russa e’ molto piu’ attiva e presente.
Un elemento che potrebbe rimettere ancora in discussione gli equilibri instabili di quella zona, e’ rappresentato dalle dichiarazioni di un alto ufficiale russo in merito alla difesa aerea che fino ad oggi Mosca ha garantito a Damasco, piu’ che altro solo a parole e di fatto permettendo agli aerei israeliani di bombardare a piacimento all’interno della Siria. Il contrammiraglio russo Kulit ha dichiarato che d’ora in avanti i tecnici russi dislocati in Siria attiveranno i sistemi di intercettamento missilistico che fino ad oggi non sono ancora stati messi in condizione di operare, in modo da abbattere i missili che l’aviazione di Tel Aviv usa contro postazioni del governo siriano o dei suoi alleati. Il fatto e’ che quel tipo di difesa non e’ tarato per l’abbattimento dei missile, quanto degli aerei da cui i missili vengono lanciati. E questo fa, e di parecchio, la differenza. Dove voglia arrivare questo messaggio, ancora non e’ chiaro, ma il fatto che un altissimo ufficiale delle forze russe se ne sia uscito con questo avvertimento, non fa certo sperare in alcunche di buono rispetto ad un ipotetico percorso di pace.
Lo stesso incremento delle attivita’ a sud di Idlib, come visto in precedenza, potrebbe essere un avvertimento chiaro nei confronti di Ankara, principale protettore dell’HTS (Hayat Tahrir al Sham), ovvero Al Qaeda, che tiene sotto controllo e scacco la regione.
Nondimeno, cio’ che proprio in quese ultime ore sta succedendo nel profondo sud del paese, e’ un ulteriore segnale del deterioramento del contesto siriano. Da ieri, nella zona di Daraa, ripresa dal governo nel 2018 e una delle principali culle di resistenza dei ribelli (sempre quelli di cui sopra, ma in un area in cui anche l’ISIS e’ ancora attivo), parte dei quali all’epoca erano stati “deportati volontariamente” ad Idlib, sono ricominciati violenti scontri tra governativi e, appunto, ribelli. Tutti i principali check point controllati da Damasco, sono stati conquistati dagli antigovernativi che ovviamente ora gestiscono anche le principali vie di comunicazione. La zona di cui stiamo parlando e’ quella al confine con la Girdania e con le alture del Golan occupate da Israele.
Nell’ultimo anno, qui, praticamente ogni giorno qualche soldato, ex ribelle passato (riconciliato…) tra le file di Damasco, rappresentante del governo locale o civile sospetato di collusione con i governativi e’ stato ucciso in vari attentati. Ora le azioni antigovernative hanno innalzato il tiro e si sono organizzate in modo esponenziale, lasciando spazio a sospetti che qualche nascosta manina sia dietro questa escalation delle attivita’ militari. Sicuramente segnali che non promettono nulla di buono e riportano la situazione indietro di qualche anno, spezzando quell minimo di equilibrio che ora appare in tutta la sua fragilita’. Come diceva Frank Zappa in una sua vecchia canzone; “the torture never stops”.
Docbrino