SIULP (sindacato di polizia): “Trieste città militarizzata ma i risultati inesistenti”

“Valichi presidiati da ormai un anno e mezzo, con un abnorme dispendio di risorse umane ed economiche, piazze del centro città blindate in cui stazionano stabilmente mezzi antisommossa, zone rosse. Non stiamo descrivendo una provincia dell’America latina in mano ai Narcos e nemmeno una città sudafricana controllata da spietate bande armate. Parliamo di Trieste: una delle città in
vetta, fino a qualche anno fa, alle classifiche di vivibilità, con un tessuto economico tra i più opulenti del Paese e un appeal turistico in piena crescita. Tuttavia, benché l’incidenza criminale sia lungi dall’avvicinarsi alle realtà sopra descritte, non si può sottacere un decadimento della sicurezza (reale e percepita) accentuatasi particolarmente negli ultimi mesi.”
Così, in una nota, Francesco Marino, Segretario Generale Provinciale del SIULP, il sindacato maggioritario del comparto Sicurezza, Difesa e Soccorso Pubblico, esprime la sua preoccupazione per la crescente situazione di insicurezza a Trieste, una città che, fino a qualche anno fa, si trovava tra le più vivibili d’Italia e che ora sta affrontando un serio decadimento della sicurezza, tanto reale
quanto percepita. “Vogliamo parlare della genealogia del fenomeno? Il dibattito rischierebbe di risultare prolisso, partendo dalla perdita di controllo di certi aspetti sociali, che sono evidentemente stati approcciati in maniera errata, finendo per considerare l’approccio allarmistico ed emergenziale, privo di strategia, con cui si è preteso di affrontare il fenomeno migratorio. Ma limitiamoci ad analizzare ciò che da poliziotti ci compete: a fronte del titanico schieramento di forze statiche descritto in presenza, a Trieste sono in servizio, per quanto attiene alla Polizia di Stato, due o tre equipaggi di volante per fascia oraria, vale a dire quattro o al massimo sei uomini che devono intervenire su chiamata degli utenti e rappresentare la deterrenza in una città di 200.000 abitanti, che si estende in lunghezza in un territorio vasto e morfologicamente complesso. Questo è lo stato dell’arte. Qualcuno ha preteso che una telecamera potesse sostituire un poliziotto, oggi si pretende che dei dispositivi statici sparsi in determinati angoli della città possano dissolvere gli episodi di violenza che improvvisamente sembrano espandersi vorticosamente. L’impatto mediatico della proclamazione di una zona rossa è sicuramente altisonante, così come lo è stato l’annuncio della chiusura confini, ma la reale funzionalità in termini di concretezza risolutiva la lasciamo trarre alla percezione del cittadino, che va oltre l’asettica produzione di dati statistici plasmati dalla politica in base alla tesi che si intende supportare. Noi restiamo dell’idea che la prevenzione e repressione dei reati, così come il controllo dell’immigrazione, debba passare attraverso l’incremento della forza specialistica sul territorio che sia in grado di acquisirne conoscenza, operare con dinamicità e rispondere nell’immediatezza alle esigenze dell’utenza. Questo approccio tradizionale si è sempre rivelato efficace e ha reso la polizia italiana un modello nel panorama della sicurezza internazionale. La scelta di automatizzare la sicurezza e preferire i presidi stanziali, spesso effettuati da personale inviato temporaneamente da altre regioni, al pattugliamento capillare del territorio attraverso gli equipaggi di volante contribuirà alla progressiva perdita di controllo di porzioni della città, sempre meno sorvegliate, e alla progressiva demarcazione di un solco tra il tessuto sociale e le forze dell’ordine. Al concetto di interdizione, che ha in sé limiti oggettivi, preferiremmo città in cui i cittadini possano muoversi liberamente sotto l’occhio vigile di poliziotti che riconoscono le minacce e sanno affrontarle con l’approccio di chi bada a prevenire prima ancora che a reprimere.”