Suggestioni dalla Siria: Before the rain (prima della pioggia)

C’è un clima di attesa, di incertezza, di un non so che da queste parti in questo periodo. Un po’ come quando d’estate si alza il vento che ingrossa le nubi e pare che da un momento all’altro scenda il diluvio. Beh, piovesse davvero, magari la pioggia porterebbe un po’ di sollievo e ridurrebbe almeno un attimo questa calura che davvero mette a dura prova persino uscire di casa. Sfortunatamente non è del temporale che si è in attesa, ma piuttosto di capire se le promesse e le minacce che regolarmente arrivano da oltre il muro che da casa si vede chiaramente e separa la Turchia dalla Siria, possano diventare realtà e sconvolgere per l’ennesima volta questa martoriata regione. Del doman non v’è certezza, e dunque tutto sommato e nonostante tutto, qui la vita continua a scorrere piuttosto normalmente. C’è anche da dire che se dalle parole si passerà ai fatti, con ogni probabilità succederà non nel nord est, ma bensì nel nord ovest della Siria, in particolare nelle limitate zone ancora sotto controllo kurdo.  E’ lì infatti che si stanno concentrando le forze armate delle parti in conflitto e si organizzano esercitazioni per far capire a chi sta dall’altra parte, che si è pronti ad ogni evenienza e a reagire con forza. E soprattutto che dalla parte siriana, almeno in questo si è uniti. Non solo a Menbij e Tal Refaat, appunto nella zona occidentale, ma anche ad Ayn Issa e Tel Tamer, al confine con le ultime aree occupate dai turchi nel 2019, le truppe dell’SDF si stanno posizionando pronte a rintuzzare un’eventuale azione turca. In caso di tale evenienza, stavolta non sarà altrettanto facile come durante l’ultima incursione. Assieme ai kurdi ora ci saranno anche le truppe governative di Damasco che nell’ultimo periodo si sono schierate lungo le linee del potenziale conflitto, ma pure, anche se queste più concentrate in pochi luoghi per loro strategici, le milizie sciite. Il capo delle forze armate kurde, Mazloom Abdi, ha detto chiaramente che il suo esercito e quello governativo sono pronti a ricevere e respingere un eventuale attacco. Due elicotteri russi che sono in quotidiano sorvolo sul confine, oggi sono passati ripetutamente sopra Menbij. Sembrano notizie relativamente importanti, ma al contrario si tratta di fatti piuttosto impattanti. Se finalmente, anche se ufficialmente solo in questi casi di emergenza, i kurdi e i governativi hanno ufficialmente deciso di collaborare, significa in un futuro ancora da definire e non si sa quanto lontano, esiste la possibilità che le due principali parti in cui la Siria è attualmente divisa, trovino una soluzione che porti alla loro riunificazione. In sostanza, pare che sia da una parte che dall’altra, ci si renda conto che probabilmente la soluzione più percorribile, sia quella di un’intesa reciproca che passi con ogni probabilità attraverso una larga autonomia della regione a nord est (forse non tutta in quanto i kurdi sono una minoranza che vive principalmente a ridosso del confine), ma che consenta l’unità dello Stato siriano. Forse le lunghe e interminabili file di camion cisterna, centinaia ogni volta, che da Rumelain (profondo nord est della regione e seconda zona di produzione petrolifera della Siria) vanno verso Homs, Latakia, Damasco, Aleppo e tutte le principali città controllate dal governo siriano significano che in qualche modo i rapporti tra kurdi e Assad di necessità fanno virtù; gli Usa invece controllano i pozzi della zona di Deir ez Zor, quelli più importanti e da dove ufficialmente (il contrabbando è altra cosa) non una sola goccia di petrolio attraversa l’Eufrate. Evidentemente qualcosa in movimento ci deve essere. Certo rimangono enormi problemi da risolvere, ma questo potrebbe rappresentare un passo se non decisivo, davvero importante. La questione assume un aspetto ancora più profondo se si pensa che questo, alla fine, sia sempre stato il vero obiettivo sia di Damasco, che ovviamente dei russi loro alleati. Non è detto che lo sia anche dell’Iran, ma la dimensione delle dichiarazioni di Abdi e i movimenti di cui sopra, forse non andrebbero sottovalutati. Se un vero riavvicinamento tra Damasco ed il NES davvero dovesse accadere, si tratterebbe dell’ennesimo smacco che gli Usa si prendono sulla scena internazionale. Non solo non sarebbero riusciti in uno di quelli che l’ex Consigliere sulla Sicurezza Nazionale, nonché ex ambasciatore Usa all’ONU Bolton ha candidamente rivendicato come interventi diretti della CIA nella ricerca del cambiamento di governo in vari Paesi del globo. Operazioni sempre passate attraverso immensi bagni di sangue, destabilizzazione di intere aree del mondo e finite sempre in un grosso bordello. L’Afghanistan prima di tutto, ma anche l’Iraq, la Libia e via dicendo. Lasciamo stare per una questione di pura pietà lo Yemen che pare non esistere sulle carte geografiche dell’occidente e che, se si continua così, sparirà anche fisicamente. Significherà anche che la Russia, ovviamente in grosse difficoltà nella politica internazionale in seguito all’invasione dell’Ucraina, avrà conseguito un’importante vittoria e sarà in grado di nuovo di tornare al tavolo delle trattative da una posizione di maggiore forza. Purtroppo vorrà anche dire che, pur di non rimediare l’ennesima pessima figura e incassare una nuova sconfitta sugli scenari di questo pianeta, gli Usa cercheranno di procrastinare il più a lungo possibile il termine della guerra in Ucraina, continuando a rifiutare ogni ipotesi di tregua o di trattativa che possa far finire quel massacro. Significherà anche probabilmente che nel tentativo di rimanere unica superpotenza mondiale , cosa ormai smentita dai fatti, cercherà in tutti I modi di trovare altre soluzioni. Che non potranno che passare attraverso nuovi conflitti i cui limiti saranno sempre più azzardati ed il rischio nucleare non più un ostacolo insuperabile.
Sarà forse per questo che negli ultimi giorni “Sleepy Joe” Biden si inchina davanti sia al suo principale alleato, nonché cane da guardia in Medio Oriente, Israele, ma anche a quel fondamentale rappresentante dei diritti umani di Mohammad Bin Salman, di fatto supportando l’idea che in fin dei conti accendere la miccia di un potenziale conflitto con l’Iran, potrebbe avere un qualche tornaconto. Rimanendo negli Usa, universalmente e da sempre riconosciuti come i rappresentanti della maggiore democrazia mondiale, soprattutto quella da esportazione, viene da chiedersi cosa pensare, per esempio, della Corte Suprema che decide sulle leggi che si applicano ai suoi cittadini e, soprattutto, alle loro cittadine. O se forse la democrazia passi attraverso la liberalizzazione delle armi che causano puntualmente stragi di civili.
Il caldo di questa stagione è insopportabile, ma intanto, chissà che non piova..