Tra grano e grane

Che la Siria fosse in una situazione “particolare”, non era certo un segreto, che i problemi non mancassero, pure. La guerra non ha fatto mancare alcun tipo di difficoltà, dalle città rase al suolo, alla nascita ed espansione dell’Isis, alle invasioni turche, alla separazione dello Stato in diverse aree controllate da soggetti differenti, alla fuga di buona parte della popolazione e via dicendo; diciamolo pure, un bel casino.
Tra le varie grane che la gente ha dovuto sopportare, ci sono gli ultimi anni di siccità che ha profondamente colpito tutta l’area. Buona parte delle coltivazioni, principalmente di grano, hanno sofferto della scarsità di precipitazioni che nella stagione opportuna, i mesi invernali, avrebbero dovuto garantire acqua a sufficienza per far crescere il cereale. Naturalmente nelle zone che non possono godere dei sistemi di irrigazione. Non è che anche dove l’acqua è parzialmente disponibile le cose vadano poi granché meglio; per far funzionare le pompe è necessario il carburante, ma c’è un problema. Il prezzo dei combustibili è diventato quasi inaccessibile, almeno per l’economia locale; un litro di diesel costa circa 0.7 Euro (per avere un metro di paragone, lo stipendio di un insegnate è ari a circa 20 USD al mese) una cifra davvero pesante per le tasche dei contadini e non solo. Inoltre ci sarebbe da considerare il costo sia delle sementi che dei fertilizzanti e pesticidi. Ancora, il prezzo di vendita finale alle agenzie statali è contingentato e il margine di guadagno per gli agricoltori diventa irrisorio.
Fosse tutto qui… purtroppo ci sono zone che sarebbero a vocazione agricola, che non sono accessibili in quanto o occupate dai miliziani del Syrian National Army (SNA alleati della Turchia da cui sono “appoggiati”), o limitrofe a quelle aree e comunque non avvicinabili in quanto a portata di tiro delle loro armi. Ci sono migliaia di ettari di terreno che da anni sono lasciati incolti e dunque infruttuosi. Non si tratta solo del grano ovviamente, ma anche un’altra risorsa che prima della guerra rappresentava un indotto economico di rilievo soprattutto nel nord ovest del Paese; l’olio di oliva ha subito un inevitabile crollo di produzione a causa degli stessi motivi di cui sopra oppure viene dirottato in Turchia. Molte migliaia gli ulivi, anche secolari, sono stati abbattuti dai fanatici integralisti che formano il SNA e che sono finiti come combustibile per riscaldamento durante i freddi mesi invernali. La gente che abitava quelle terre ora è costretta a vivere spesso solo con ciò che passano le agenzie internazionali (e posso assicurare che non si tratta di molto) e cucinare con gli oli vegetali generalmente di bassa qualità.
Dopo parecchi anni (dal 2018), però, questa stagione ha rappresentato un’eccezione e le piogge stagionali sono state sia abbondanti che tempestive. Soprattutto nel Nord Est Siriano (NES), il raccolto è stato di molto superiore rispetto al recente passato e paradossalmente in molte zone gli spazi all’interno dei silos dove i cereali si stoccano, si sono presto riempiti mentre parte delle granaglie non sono riuscite a trovare una giusta collocazione, né ad Hasake, né a Raqqa e solo parzialmente a Deir Ez Zor. Durante il periodo del sedicente califfato dell’Isis, parte di quei silos sono stati bombardati e sono totalmente o parzialmente fuori uso. Naturalmente il recente raccolto è ben lontani dalle cifre pre guerra, quando la Siria produceva circa 4 milioni e mezzo di grano ed era in grado di esportarne una discreta parte, ma certo è che un forte incremento di produzione c’è stato. Sicuramente sarebbe andata anche meglio se gli aumenti, come si diceva, non avessero interessato anche i prezzi di diesel, sementi e fertilizzanti. Anche quest’anno dunque il “gap” deve essere comato dalle importazioni di cereali dalla Russia incidendo ovviamente sulle già magre disponibilità delle casse siriane.

Russia che come noto è il principale alleato di Bashar al Assad e del suo regime e che ora è alle prese non solo con gli enormi sforzi bellici causati dalla sciagurata e criminale invasione dell’Ucraina, ma anche con le conseguenze dell’ammutinamento della Wagner, compagnia di mercenari ben presente in Siria. Secondo notizie fornite dai media locali, sia l’esercito russo che la polizia militare siriana hanno proceduto all’arresto di parte di queste milizie e non si capisce ancora bene se questa operazione sia mirata a forzare il loro inserimento all’interno dell’esercito regolare russo, oppure che altro destino venga deciso per questi soggetti.
Nel frattempo, sono aumentate le scaramucce tra russi e statunitensi e gli incidenti potenzialmente più gravi sono per ora stati per poco evitati. Un tempo a vederli ci si divertiva pure, erano mitici gli inseguimenti dei blindati Usa che cercavano di fermare quelli russi che li bypassavano, ricordavano molto i film di Ridolini. Ora la sfida si è fatta più pesante; i bombardieri di Mosca impediscono con manovre spericolate e definite dagli Usa “non professionali” il regolare svolgimento delle attività dei droni che ufficialmente sono lì a combattere l’Isis ma che in realtà sono molto più interessati a rilevare le mosse dell’esercito siriano, ma soprattutto quelli delle milizie sciite filo iraniane armate e gestite generalmente dalle Guardie Rivoluzionarie di Teheran. Senza rinunciare a bombardarle di tanto in tanto, come imperterrito e nel generale silenzio, Israele continua metodicamente e impunemente a fare. Certo è che la guerra in Ucraina e la posizione della Nato non aiutano a dirimere questioni come quella siriana già di per sé intricata e i messaggi che l’aviazione russa manda attraverso l’impedimento del “regolare” funzionamento dei droni Usa, sono piuttosto chiari. I fatti relativi alla Wagner e all’evoluzione dei rapporti dell’agenzia con Mosca, poi, rischiano di aggiungere ulteriore benzina su un incendio che di essere ulteriormente alimentato non avrebbe certo necessità. Di scuro l’invio di cluster bombs, peraltro già usate sia da russi che da ucraini, non aiuterà la ricerca di un percorso di pace che a nessuno, a parte papa Francesco, sembra interessare. Né in Ucraina, né in Siria e nemmeno altrove.
Nel frattempo contadini e popolazione stremata potranno attendere, magari sperando almeno che anche il raccolto del prossimo anno, sia pari a quello appena immagazzinato. Di questi tempi e in quelle situazioni sarebbe già parecchio.

DocBrino