Analisi street poetica

“Un muro e due finestre” di M.e.P.

Uno dei tanti volti della Street Poetry

 Un muro e due finestre

La poesia anatomizzata: M.e.P. , Un muro e due finestre, 2016, Cesena presso manifestazione “We Reading”

Quest’opera di “Street poetry” è stata realizzata dal M.e.P., il Movimento per l’emancipazione della poesia, un collettivo di poeti e artisti che hanno scelto di rimanere anonimi e celare il loro volto con lo scopo di mettere in primo piano solamente l’arte poetica. L’opera è apparsa nel contesto di un evento organizzato da “We Reading” con la collaborazione e la partecipazione del M.e.P., che ha avuto luogo lo scorso 2 ottobre a Cesena, presso la Rocca Malatestiana. Si è trattato di un incontro durato ben dodici ore, fatto di letture, installazioni e soprattutto di poesia, che il M.e.P. si è premurato di disseminare un po’ ovunque.Questa “installazione poetica” ha un impatto visivo molto forte e cattura subito l’attenzione: consta di sei versi scritti su dei semplici fogli bianchi e poi attaccati ad un muro di mattoni.  Appare molto interessante la scelta di collocare i primi cinque versi nello spazio tra quelle due finestre: sembrano due occhi, due aperture sul mondo esterno dove le parole verranno lette dalle persone, ma anche sul mondo interno, quello interiore ed intimo del poeta. Sta poi a noi decidere se gli occhi sono quelli dell’artista o quelli del lettore – o forse addirittura di entrambi. Va notato che su uno dei due “occhi-finestra” è riportata la firma del M.e.P.: si può ipotizzare che in questo modo ci abbiano voluto far sapere che uno degli occhi è il loro – quello dell’artista che osserva il fruitore nell’atto di guardare la sua creazione. I primi cinque versi sono composti da parole isolate («tento/di andare/a capo/al verso/giusto»), mentre invece l’ultimo (composto da sette parole) è stato scritto tutto attaccato, probabilmente a voler simboleggiare la matassa ingarbugliata e confusa di poesia/prosa/impulso.
Il M.e.P. ci suggerisce che questi tre elementi sono un tutt’uno: è assai arduo, a volte, per un artista che voglia comunicare ed esternare le sue emozioni, scegliere un genere letterario piuttosto che un altro. Lo scrittore segue il suo impulso, che è sconfinato e assolutamente eterogeneo, informe, intricato. L’impulso qua citato non è altro che l’arte, che incalza, spinge e scalpita: vuole uscire allo scoperto, essere rappresentata e soprattutto vista e fruita dalla gente, da tutti. L’arte viene sentita ed accolta da noi uomini, che dobbiamo dunque darle forma “umana”: dobbiamo renderla riconoscibile e comprensibile, tentando per esempio di fare poesia, e nell’arte poetica si va «a capo/al verso/giusto». Ma quale verso è “giusto”, ovvero necessita che lo scrittore vada a capo? Chi stabilisce questa regola?
Il M.e.p., con quest’ultimo verso in cui le parole sono attaccate l’una all’altra, sceglie forse di non decidere. O meglio: lascia che a decidere sia il lettore stesso, il fruitore del loro piece of art, che con i suoi stessi occhi (occhi che possono essere rappresentati dalle due finestre di questo muro in mattoni) vede queste parole, questi versi, e non può fare a meno di leggerli, poiché, come il M.e.P. stesso afferma nel suo manifesto:

«Cerchiamo, laddove possibile, di far perno su quella proprietà intrinseca della parola scritta per la quale risulta impossibile per chiunque getti su di essa lo sguardo non leggerla, in quanto la parola si fa leggere e decodificare nel momento stesso in cui viene vista.»

L’opera mi ha catturata immediatamente e ha suscitato in me emozioni dolci-amare: vi si legge dentro lo sforzo, più precisamente il tentativo, di incasellare e dare forma all’impeto artistico ed emozionale. Subito dopo si indovina la difficoltà dello scrittore nel rapportarsi con le forme metriche e stilistiche “canoniche”: quando è opportuno andare a capo, in una poesia? La risposta a questa domanda appare superflua, non ci interessa: ne sanno qualcosa Ungaretti, gli ermetici e prima ancora di loro i futuristi. Spesso l’espressione artistica scritta è “prosa poetica” o “poesia prosastica”, ossia può avere una configurazione fluida, scorrevole ed avente più continuità come la prosa; oppure può aver bisogno di esplodere sulla carta sotto forma di parola isolata o di versi più o meno musicali, più o meno concatenati tra loro, in rima o non in rima, a destra o a sinistra del margine del foglio.
Nella sua lirica del 1916, Commiato, Ungaretti dava una sua personale (e forse inconsapevole) definizione di poesia: «la limpida meraviglia/di un delirante fermento». Ciò ben si comprende nell’ultimo verso di questa poesia di strada: «ma spesso confondo poesia, prosa e impulso.» Il poeta brancola nel buio e si aggira malsicuro – ma sicuro di voler dire ciò che sente – nei profondi meandri della sua vena artistica, tentando di tirarne fuori qualcosa – qualcosa che possa creare un ponte fra lui e gli altri, un legame fra chi scrive e chi legge, ricordando sempre che non esisterebbe il poeta senza il lettore.  Il M.e.P. pare essere perfettamente conscio di questo e lo tiene bene a mente: ecco perché questo movimento (come tanti altri movimenti e artisti italiani di Street poetry) cerca canali di diffusione alternativi come questo muro, che qui diventa uno dei tanti volti della poesia.

Di Francesca Plesnizer

Ringraziamo per questa prima analisi di Street Poetry, Francesca Plesnizer, ex studentessa laureata presso l’Università di Trieste.

Le seguenti analisi faranno parte di uno spazio aperto nel quale  dare la possibilità a studenti di materie umanistiche, lettori e critici, di poter scavare oltre, nei significati, nelle singole caratteristiche e stili della street poetry, in una forma di analisi poetica e semiotica. Per chi volesse ulteriori informazioni su questa rubrica on-line e/o pubblicare qualche analisi può contattarci: poeti.della.sera@gmail.com (Associazione culturale Poeti della Sera)