Un tranquillo week end di routine
E’ venerdì e, come si sa, da queste parti è giornata dedicata alla moschea e alla tranquillità in famiglia. Buona parte dei negozi sono chiusi o aperti solo per qualche ora. Dunque, uno si arrangia e si adegua. Un mio caro amico mi ha invitato a pranzo e, ovviamente, certi inviti non si rifiutano. Appuntamento alle 12.30 da me e via a casa sua a Derbasie. Una cittadina come tante da queste parti che confina con la Turchia e in cui nel passato, prima del 2011, c’era un valico di frontiera che permetteva ai suoi abitanti di attraversare da una parte all’altra e magari visitare i famigliari che il confine tiene divisi. Come altri posti del genere, Qamishlo e Nusaybin per fare un esempio tra i più eclatanti, dove le famiglie sono state divise quando si è deciso che una linea avrebbe stabilito che da un lato era Siria e dall’altro Turchia. Fine del discorso.
Una demarcazione ora ancora più esplicita, da quando il muro di jersey di cemento armato alti tre metri e mezzo/quattro, la cui sommità è ornata dai soliti giri di filo spinato taglienti, sta lì a sconsigliare chi ne avesse idea, di cercare di scalarlo e tentare di entrare in territorio turco. La strada che conduce a Derbasie corre praticamente lungo la linea del muro, ogni tanto allentandosene quando un’ansa del muro rientra e avvicinandosi di nuovo quando Il muro curva in senso contrario. Pare un serpente che si snoda lunghissimo ed intermezzato da torrette di guardia e casermette dalla parte turca poco distanziate le une dalle altre. Anche quelle per chiarire il concetto che quella divisione è inviolabile.
Dalla parte meridionale, quella siriana qui prevalentemente kurda, si apre l’estesa pianura che solo qualche rara ed isolata collinetta, veramente solo un mucchio di terra, riesce a rompere l’orizzonte che sembra non avere fine; dalla parte settentrionale, la stessa pianura si interrompe lasciando spazio alle prime montagne che addentrandosi nell’Anatolia, aumenteranno anche di dimensione. La pianura siriana, di questi tempi, viene preparata per garantire il pane per l’annata successive; i mezzi sono all’opera sollevando nuvoloni di polvere dietro al loro passaggio. Questo sarebbe il periodo in cui le piogge dovrebbero cominciare a bagnare la terra inzuppandola per bene in modo che le sementi possano attecchire e radicarsi a sufficienza per resistere alle calure degli ultimi mesi che precedono il raccolto; già da ora quelle pianure dovrebbero cominciare a virare verso il verde dei germogli, ma per ora, come negli ultimi anni, non si vede nulla.
Di tanto in tanto, lungo la strada, si vedono delle minuscole casermette, giusto qualche costruzione spesso mal messa all’interno delle quali sventola la bandiera siriana, segno che i pochi militari che le abitano sono quelli di Damasco, quelli del “rejm”, come si dice da queste parti. Una specie di avvertimento ai turchi che significa che le loro pretese di ulteriore occupazione di ciò che rimane di Rojava, quella è terra siriana e che anche Damasco la difenderebbe nel caso di un’ennesima operazione militare. Quotidianamente gli elicotteri russi sorvolano il confine cercando di mandare un messaggio simile; certo non che difenderebbero con le armi eventuali sconfinamenti, ma che in ogni caso Mosca non rimarrebbe insensibile. Ad un certo punto e inaspettatamente, si materializza un grande portone di ferro che si inserisce nel muro; non si capisce bene a cosa serva, forse a permettere che in caso di necessità lo si possa aprire per permettere ai mezzi militari turchi di entrare senza sforzi, chissà.
Ultimo check point presso l’entrata della cittadina e poi, via a pranzo. Dal terzo piano della palazzina in cui i miei amici abitano, si domina sia la pianura che la cittadina; la strada da un lato porta verso Hasake, dall’altro teoricamente porterebbe in Turchia, ma il valico è ora chiuso e sbarrato. Pare comunque che se uno non è arabo ed ha due lire in tasca, qui ci sia la possibilità che le guardie di confine chiudano un occhio e lascino passare. Dicevamo se non è arabo, perché’ questo “privilegio” è riservato ai kurdi; più se ne vanno e meno ne rimangono. Queste almeno sono le voci che girano, ma parecchia della gente che conosco mi conferma che quasi tutti, loro compresi, hanno uno o due figli che stanno tentando la fortuna (pensate un po’ che fortuna di sti tempi) e cercano di raggiungere l’Europa; la meta piu’ ambita rimane la Germania dove ovviamente ci sono maggiori agganci con la comunità’ kurda. Su questi “viaggi della speranza” varrà la pena di tornare con maggiore calma e qualche notizia in più, ma certo è che la gente è disposta a svenarsi pur di credere almeno in una possibilità di vita decente.
Se da una parte c’è il muro, dall’altra si stanno accumulando alti mucchi di terra a mo’ di sbarramento e linea difensiva. Nell’ultimo periodo, a ridosso del confine, si costruiscono “muri di sacchi di sabbia” che non si capisce veramente cosa o chi dovrebbero difendere, vista la loro frammentarietà e inconsistenza. Nel frattempo, l’intera zona di confine, ma anche all’interno delle cittadine, freme la costruzione di tunnel, la cui realizzazione va ormai avanti da tre anni e che ha ridotto il sottosuolo ad un’interminabile rete sotterranea, almeno così si presume dai tantissimi cantieri che continuano a scavare alacremente e a posare i rinforzi in cemento che devono sorreggere le strutture. Una rete la cui utilità appare perlomeno dubbia, ma la cui costruzione assorbe parecchie delle poche risorse che l’autogoverno del NES ha a disposizione.
In ogni caso, ora si mangia; come capita sempre, la padrona di casa fa la sua trionfale entrata, le portate sono generose e vassoi con le verdure e le pietanze e i piattini con le varie salsette, invadono la tovaglia stesa sul pavimento della sala. Siamo in quattro, ma il cibo sarebbe sufficiente per dieci; non manca neppure la birra che tra i giovani, ma nemmeno poi solo tra di loro, viene tranquillamente consumata da queste parti.
Ovviamente si parla del presente, di cosa succede, ma soprattutto del futuro, visto che i miei amici hanno una bimba di poco più di un anno e sul cui domani pende un enorme punto di domanda, un’enorme spada di Damocle. Come si fa a pensare ad una vita normale dove di normale ormai non c’è più niente? E allora si fantastica, ma neppure troppo, sulle alternative, su come fare ad andarsene e dove. A parte il prezzo da pagare in termini puramente economici, ma poi che si fa? Pare ci sia una possibilità; sembra che si possa entrare legalmente in Slovacchia dove verrebbe rilasciato un documento dii residenza che permetterebbe anche di viaggiare all’interno dell’area Shengen, ma ci vogliono 20.000 dollari e poi il biglietto aereo e poi ancora il doversi mantenere almeno fino a quando non si riesce a raggiungere parenti o amici. Poi ancora trovare un lavoro, un lavoro che permetta di vivere e spesso restituire la somma necessaria spesa per pagarsi il viaggio; insomma, un rompicapo.
Nel frattempo, arriva il caffè, regolarmente senza zucchero e sorseggiato con la dovuta calma; poi in terrazza per una fumatina con la sisha o narghile come diciamo noi. Tra uno sbuffo e l’altro si continua a chiacchierare cercando di capire quale potrebbe essere una via di uscita possibile. Intanto densi nuvoloni grigi si intravedono avvicinarsi dalla Turchia e sembrano annunciare la desiderata pioggia; il Cielo viene squarciato addirittura da un paio di lampi e la speranza si fa concreta. Poi, in un attimo, si alza il vento che si porta via assieme agli sbuffi del fumo della sisha anche l’illusione che le nuvole si trasformino in pioggia. E probabilmente anche progetti e sogni.