Verso i porti di sbarco vessatori, su rotte disumane, il governo colpisce le ONG e nasconde i naufraghi
1. La chiusura della kermesse di Atreju è stata caratterizzata da un ulteriore violento attacco di Giorgia Meloni ai soccorsi umanitari, con un ministro dell’interno che è arrivato a sostenere che persino la missione Mare Nostrum della Marina militare, dopo le stragi di Lampedusa, ed a sud di Malta, del 3 e dell’11 ottobre 2013, avrebbe alimentato l’immigrazione irregolare. Questo attacco si è pure tradotto nelle norme dell’ultimo Decreto legge 145/2024, convertiro nella legge 187/2024, che tende a penalizzare ulteriormente i soccorsi umanitari, estendendo agli aerei del soccorso civile regole inapplicabili dall’ENAC, per limitarne il raggio di azione, e accelerando le procedure che possono portare alla confisca delle navi e degli aereomobili delle odiate ONG. Perchè di vero e proprio odio si deve parlare se si ascoltano le parole usate contro i soccorsi civili dalla maggioranza di governo e dai suoi esponenti di spicco, davanti al fallimento del modello Albania. Senza neppure un cenno alle vittime, se non per attaccare ancora le ONG, ritenute responsabili persino dei naufragi. Finora, nel 2024, risultano accertati oltre 1600 tra morti e dispersi. Negli ultimi giorni, sulla base delle segnalazioni di Alarme Phone, sembra che almeno 150/160 persone siano scomparse nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. Alla fine di agosto 2024 la stima (minima) dei rifugiati e migranti morti o dispersi nel Mediterraneo ha raggiunto le 1.342 unità, di cui 1.053 nel Mediterraneo centrale. Oggi il rischio di perdere la vita sulla rotta è pari a 1 caso ogni 40 arrivi (era stato di 1 ogni 63 nel 2023). Dunque non è del tutto vero che le misure adottate dal governo abbiano ridotto le vittime delle traversate, pure nel quadro generale di complessivo calo degli arrivi.
2. Quasi tutti i mezzi di informazione italiani hanno ignorato la più recente sequenza di naufragi e di soccorsi in extremis nel Mediterraneo centrale. Mentre i mezzi più piccoli del soccorso civile hanno potuto sbarcare i naufraghi a Lampedusa, anche se già si sta tentando di colpirli assegnando il porto di sbarco più lontano di Porto Empedocle, si è completata la strategia innescata dal Decreto legge Piantedosi del 2 gennaio 2023 (legge 15/2023) per fare fuori le navi umanitarie più grandi, costrette a raggiungere porti vessatori, perchè sempre più lontani, con a bordo qualche decina di persone, pur avendo la possibilità di soccorrerne centinaia. In queste condizioni, dopo una serie di fermi amministrativi e di porti vessatori, MSF ha anunciato il ritiro della Geo Barents dal Mediterraneo centrale, una “resa al governo Meloni”, per i giornali di destra. Mentre la Ocean Viking di SOS Mediterraneè che nello Ionio meridionale aveva effettuato un secondo soccorso assai complesso, in concorso e sotto coordinamento con la Guardia costiera italiana, riceveva l’indicazione di raggiungere il porto di sbarco di Ravenna. Una scelta della destinazione che, considerate le condizioni dei naufraghi e la durata del tragitto, ha deliberatamente esposto persone già duramente provate, ad un vero e proprio trattamento disumano, con particolare riguardo ai più vulnerabili, ai feriti ed ai minori.
Le circostanze dei soccorsi, prima a sud di Lampedusa, poi il secondo, nello Ionio meridionale, e le condizioni dei naufraghi, tra cui donne e bambini ancora a bordo di Ocean Viking, in giorni ormai invernali, caratterizzati da temperature rigide e mare agitato, fanno dunque definire non solo la destinazione assegnata di Ravenna come un porto “vessatorio”, ma la stessa rotta che la nave dovrà percorrere in almeno tre giorni di navigazione, come una “rotta disumana”, per le sofferenze alle quali andranno incontro i naufraghi. Che non hanno certo intrapreso la traversata per la presenza, ormai sporadica, di qualche nave delle ONG in acque internazionali a sud di Lampedusa, peraltro distante dalla rotta “turca”, ma che era una scelta obbligata al limite, ed oltre, della disperazione, a causa delle condizioni di crescente violenza e di abusi sistematici alle quali sono esposte tutte le persone migranti in transito non solo in Libia e in Tunisia, ma anche in altri paesi definiti come “sicuri”.
3. Adesso sembra che riprendano ad arrivare anche pescherecci partiti dalla Turchia, una rotta di fuga che impone lunghi gioni di navigazione che nei mesi invernali possono risultare letali per il rischio di ipotermia. Evidentemente gli eventi che si stanno verificando nel vicino oriente ed il ruolo che la Turchia sta giocando in Siria e in Libia, con movimenti forzati di migliaia di profughi, hanno riaperto una rotta che si riteneva chiusa. Mentre si segnalano partenze anche su un’altra rotta che si riteneva chiusa, quella dalla Cirenaica del generale Haftar, sempre più sotto l’influenza russa, dopo il rovesciamento di Assad in Siria. Ma di tutto questo in Italia non si deve parlare e tutto l’orrore dei naufragi, vere e proprie sparizioni forzate, viene coperto dalla propaganda contro i trafficanti. Che poi fanno fortuna proprio sul probizionismo delle migrazioni e sulla mancanza di canali legali di ingresso per i potenziali richiedenti asilo, costretti a pagare i trafficanti e sempre più esposti al rischio della vita.
Secondo quanto pubblicato da Sergio Scandura, corrispondente per il Mediterraneo di Radio Radicale, nella giornata di sabato 14 dicembre, 129 Naufraghi: di cui 43 le donne, una incinta, 43 i bambini, incluso un bimbo di mese, a bordo di un piccolo peschereccio di acciaio lungo circa 15 metri, partito dalla Turchia,venivano salvate a 76 miglia nautiche dalle coste calabresi. in condizioni di mare avverso, con una operazione di soccorso congiunta della ONG Ocean Viking e della Guardia Costiera italiana.
Come riferisce Il Quotidiano, I naufraghi hanno dichiarato al team di soccorso di essere partiti dalla Turchia 6 giorni prima. Il più giovane sopravvissuto è un bambino di un mese, che viaggiava con la mamma. 2 donne in ipotermia hanno avuto un collasso quando sono arrivate sulla nave, dove sono state trasportate in barella.
Nonostante le condizioni dei Naufraghi, e la presenza di numerosi minori, si assisteva ad una ennesima decisione vessatoria del ministro Piantedosi che, per non farli sbarcare in un porto vicino, a Roccella Ionica o a Crotone, e per allontanare per il maggior tempo possibile la Ocean Viking dall’area dei soccorsi, ribadiva l’assegnazione di Ravenna come porto di sbarco (POS).
4. Nelle stesse ore la ONG ResQ People ha operato un soccorso di 63 persone tra la Tunisia e Lampedusa, 50 pakistani, bangladesi, egiziani, partiti da Zuwara (Libia) e soccorsi da motovedette Frontex. In un primo tempo sembravano destinati a sbarcare a Lampedusa, ma poi il Viminale ha ordinato che la nave, che si trovava già a sole 7 miglia dall’isola, dovesse raggiungere il POS (Porto di sbarco) di Porto Empedocle. Una ennesima decisione vessatoria assunta dal Viminale sulla pelle dei naufraghi, considerando le piccole dimensioni della nave soccorritrice e le rigide condizioni meteo, ormai con caratteristiche invernali. Tra Lampedusa a Porto Emedocle in queste condizioni di meteo perturbato, per la piccola imbarcazione di soccorso di ResqPeople e per i naufraghi a bordo ci sono almeno 24 ore di ulteriori sofferenze. Non solo, ma come comunicato dalla stessa organizzazione, dopo il salvataggio dei primi 63 naufraghi, nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale, “la ResQ People non è riuscita ad intervenire su una seconda barca in difficoltà. Le autorità tunisine hanno impedito l’ingresso nelle acque territoriali. L’ultimo contatto con le 47 persone che chiedevano aiuto è di ieri sera (sabato) intorno alle 23.30, quando hanno comunicato che una persona aveva perso la vita cadendo in acqua. Dopo il silenzio”.
5. I politici attualmente al governo stanno operando nei confronti dei soccorsi in mare come se si trattasse di una questione meramente politica e propagandistica, senza tenere in alcuna considerazioni le norme di diritto internazionale, ed il Regolamento europeo Frontex n.656/2014 che le richiama. Come è puntualmente confermato dalle decisioni dei Tribunali, da ultimo il Tribunale di Vibo Valentia, che sospendono o annullano i provvedimenti di fermo amministrativo adottati su indirizzo del Viminale. Il Tribunale di Brindisi, per questi stessi profili, ha persino sottoposto alla Corte costituzionale la questione di legittimità del Decreto Piantedosi (legge n.15 del 2023).
Nel mese di giugno del 2023 il Tribunale amministrativo del Lazio aveva deciso su due ricorsi proposti contro l’assegnazione di porti di sbarco “vessatori”, a notevole distanza dall’area nella quale venivano operati i soccorsi da parte di una organizzazione non governativa, legittimando le decisioni del Viminale. Le affermazioni incidentali del TAR Lazio sulla competenza (libica) nei soccorsi in acque internazionali rientranti nella cd. “zona SAR libica” e sulla pretesa competenza primaria dello Stato di bandiera ad indicare il porto di sbarco sicuro, appaiono in netto contrasto con i principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione nella sentenza Rackete n.6626/2020 in materia di soccorsi in mare ed assegnazione di un porto di sbarco. Una materia che ancora oggi è al centro del processo penale nei confronti di Matteo Salvini davanti al Tribunale di Palermo. nel quale il prossimo 20 dicembre si dovrebbe arrivare alla sentenza di primo grado.
Secondo Francesca De Vittor, docente di Diritto internazionale all’Università Cattolica di Milano,,“L’assegnazione di porti di sbarco ingiustificatamente lontani contraddice l’idea di cooperazione in buona fede tra gli Stati stabilita dalle Convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare”. Secondo l’art.31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, (Regola generale per l’interpretazione) “Un trattato deve essere interpretato in buona fede in base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto ed alla luce dei suo oggetto e del suo scopo”. Le attività di ricerca e salvataggio (SAR) non rientrano nella “gestione del fenomeno migratorio via mare”, trattandosi di atti dovuti e non di scelte discrezionali o “politiche”, al di fuori dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza imposti anche dalla legislazione nazionale in materia di motivazione dei provvedimenti amministrativi.
In ogni caso non può assumere rilievo la bandiera della nave soccorritrice, come certa propaganda di governo vorrebbe sostenere. Secondo la Raccomandazione della Commissione europea adottata il 23 settembre 2020 (Raccomandazione (UE) 2020/1365 della Commissione del 23 settembre 2020 sulla cooperazione tra gli Stati membri riguardo alle operazioni condotte da navi possedute o gestite da soggetti privati a fini di attività di ricerca e soccorso) lo Stato di bandiera ha una responsabilità relativa al controllo dei requisiti ai fini della registrazione delle navi, ma in alcun modo questa responsabilità comporta l’assegnazione dell’obbligo di indicare un porto di sbarco sicuro (come si può ricavare, seppure indirettamente, dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso Sea Watch, C-14/21 del 1° agosto 2022).
6. In base alla Risoluzione MSC.167(78) del 2004, che fissa le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare:
6.3 Una nave non dovrebbe essere soggetta a indebiti ritardi, oneri finanziari o altre difficoltà correlate dopo aver prestato assistenza a persone in mare; pertanto gli Stati costieri dovrebbero dare il cambio alla nave non appena possibile.
6.8 I governi e l’RCC responsabile dovrebbero compiere ogni sforzo per ridurre al minimo il tempo in cui i sopravvissuti rimangono a bordo della nave che presta assistenza 6.13 Una nave che presta assistenza non dovrebbe essere considerata un luogo sicuro basandosi unicamente sul fatto che i sopravvissuti non sono più in pericolo immediato a bordo della nave. Una nave che presta assistenza potrebbe non disporre di strutture e attrezzature adeguate per sostenere altre persone a bordo senza mettere in pericolo la propria incolumità o prendersi cura adeguatamente dei sopravvissuti. Anche se la nave è capace di ospitare in modo sicuro i sopravvissuti e può fungere da luogo temporaneo di sicurezza, dovrebbe essere sollevato da questa responsabilità al più presto in quanto è possibile prendere accordi alternativi. 6.15 Le Convenzioni, come modificate, indicano che la consegna in un luogo sicuro dovrebbe tener conto delle circostanze particolari del caso. Tali circostanze possono includere fattori quali la situazione a bordo della nave che presta assistenza, le condizioni sulla scena, le esigenze mediche e la disponibilità di mezzi di trasporto o di altre unità di soccorso. Ogni caso è unico e la selezione di un luogo sicuro potrebbe dover tenere conto di una serie di fattori importanti.
6.20 Qualsiasi operazione e procedura come lo screening e la valutazione dello stato delle persone soccorse che vanno oltre il fornire assistenza alle persone in difficoltà non dovrebbe essere autorizzata a ostacolare la fornitura di tale assistenza o ritardare indebitamente lo sbarco di superstiti della nave o delle navi che prestano assistenza.
7. Secondo l’art. 9 del Regolamento 656/2014/UE, ” Gli Stati membri osservano l’obbligo di prestare assistenza a qualunque natante o persona in pericolo in mare e durante un’operazione marittima assicurano che le rispettive unità partecipanti si attengano a tale obbligo, conforme mente al diritto internazionale e nel rispetto dei diritti fondamentali, indipendentemente dalla cittadinanza o dalla situazione giuridica dell’interessato o dalle circostanze in cui si trova”. Nello stesso Regolamento, l’art.10 prevede che “nel caso di situazioni di ricerca e soccorso di cui all’articolo 9 e fatta salva la responsabilità del centro di coordinamento del soccorso, lo Stato membro ospitante e gli Stati membri partecipanti cooperano con il centro di coordinamento del soccorso competente per individuare un luogo sicuro e, una volta che il centro di coordinamento del soccorso competente abbia determinato tale luogo sicuro, assicurano che lo sbarco delle persone soccorse avvenga in modo rapido ed efficace”. Non si può certo sostenere che l’assegnazione di porti vessatori, che comportano anche tre giorni di navigazioni in condizioni di mare agitato, come nel caso di Ravenna, in Adriatico, o di Marina di Carrara, nel Tirreno, possano tradursi nello sbarco “in modo rapido ed efficace” imposto dal Regolamento europeo n.656/2014, come tale, in base all’art.117 della Costituzione, vincolante tanto per il legislatore nazionale, quanto per le autorità politiche, amministrative e militari coinvolte nella asssegnazione dei porti di sbarco dopo operazioni di soccorso.
I giudici civili, penali ed aministrativi sono comunque tenuti nell’applicazione della legge al rispetto del principio gerarchico delle fonti normative (artt.101 e 117 Cost), tenendo conto, con riferimento alle attivita di contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement), e di ricerca e salvataggio (SAR) in mare, dell’articolo 1158 del Codice della navigazione che riguarda l’ipotesi di omissione di soccorso. I provvedimenti amministrativi, come i fermi che sono adottati nei confronti di navi civili di soccorso non possono contenere motivazioni discriminatorie, apparenti, contraddittorie o che implichino una qualsiasi violazione delle norme cogenti di diritto intternazionale o eurounitario, come i Regolamenti europei. Le finalità di “difesa dei confini”, o di “gestione dei flussi migratori” non possono comportare la disapplicazione delle norme internazionali o euro-unionali sui soccorsi in mare. Se non lo stabiliranno i giudici nazionali, sulle violazioni che ne derivano potrebbero intervenire anche i tribunali internazionali e la Corte di giustizia dell’Unione europea.
di Fulvio Vassallo