Votate e votate bene. Il non voto non è contemplabile, perché prima o poi le nefandezze della destra reazionaria raggiungono e bussano alla porta
Ho visto troppi inverni elettorali, e non solo in senso climatico, per non sapere che non vi è nulla di più opaco delle promesse elettorali. E anche se l’inverno governativo nel quale siamo dentro è fra i peggiori del dopoguerra, il peggio potrebbe ancora venire. Motivo? La superficialità disarmante con cui gli italiani vanno (o non vanno) al voto. Così oggi ci troviamo con oscillazioni impensabili solo un paio di decenni fa. Basti pensare alla performance nazionale di “Fratelli d’Italia” ottenuta con il suo ridicolo blocco navale. Ha preso per i fondelli quella parte degli italiani che hanno creduto ad una propaganda falsa quanto irrealizzabile e che ora vedono stragi in mare e arrivi di migliaia di migranti (30 mila in tre mesi) che più che clandestini sono disperati. Ma in tema di promesse elettorali non rispettate potremmo fare decine di esempi e, aìnoi, non solo a destra. Per non parlare delle camaleontiche azioni del M5s, passato da “vi apriremo come scatolette di tonno” ad essere rotti ad ogni compromesso, prima per stare al governo, e oggi per inseguire, annusando opportunisticamente l’aria del sentir popolare, qualche percentuale di voto in più. Per evitare prevedibili critiche di terzietà diciamo che non è che a sinistra sia andata meglio, da sempre alle prese con il suo peccato originale, la scissione facile ad ogni contraddizione interna, per non parlare del fatto che c’è grande ritrosia nel riconoscere gli errori fatti, provocando nella propria base quel senso di rigetto che spinge o alla radicalizzazione delle posizioni o alla fuga. Insomma la conseguenza della consapevolezza della mendacità delle promesse elettorali è il motore che spinge ormai un crescendo inquietante al non voto. In sostanza chi non crede alle promesse della politica non vota o, se vota, lo fa per il meno peggio. Temiamo che anche alle regionali Fvg del 2 e 3 aprile ormai prossimo la situazione potrebbe confermare questo brutto trend, perchè vedere l’iper attivismo di certi personaggi rimasti nell’ombra per 5 anni e, oggi, alla ricerca dei riflettori pensando di turlupinare l’elettore, spingerebbe alla fuga dalle urne. Ma chi ha a cuore la democrazia, perché non dimentica le fatiche e il sangue versato per ottenerla, deve tuttavia resistere e considerare che, a queste elezioni che ci attendono, il risultato da considerare non sarà tanto o meglio non solo, la percentuale di un partito o l’altro o di una coalizione o l’altra, ma piuttosto la percentuale di chi andrà a votare e chi no. Quello sarà il primo parametro da valutare, perché anche se chi vince governa ugualmente come se effettivamente rappresentasse la maggioranza del popolo e non la maggioranza della minoranza che si è recata alle urne, la debolezza della democrazia diventa drammaticamente sempre più palpabile e pericolosa. Quanto è avvenuto in Israele solo pochi giorni fa dovrebbe essere un campanello d’allarme formidabile. Anche in quel paese infatti, con i soliti artefici di norme elettorali premianti, qualcuno ha fatto man bassa di seggi, e quindi di “potere” ben oltre l’effettivo peso in termini di voti e soprattutto rappresentatività nel paese. Risultato è che una minoranza ultra-ortodossa è in grado di ricattare la coalizione e con essa il paese e sta cercando di piegare alla teocrazia l’unica democrazia del medio oriente, innestando una crisi di tale portata da far temere la guerra civile. Ma situazione israeliana a parte e tornando alle norme elettorali nostrane, è stato chiaro il tentativo di influire, in nome della governabilità sul voto. Così a livello nazionale abbiamo sproporzionati premi di maggioranza che rendono scarsamente efficace il ruolo delle opposizioni e innesca rischi relativi a pasticciate riforme costituzionali di natura identitaria, mentre a livello locale si è pensato di garantire il governo della cosa pubblica con il voto “personale” al leader di turno, svilendo il ruolo dei consigli, regionali o comunali che siano. Così abbiamo casi dove, come già successo in Fvg, l’autoproclamato “governatore” ha firmato la cessione dei dati sanitari dei cittadini ad una casa farmaceutica privata senza sentire il bisogno di discuterne in aula se non quando è stato costretto da una interrogazione. Allora si può ben capire come anche il voto del 2 e 3 aprile prossimo sia fondamentale per bloccare queste derive autoritarie. La vulgata invece ci racconta che qualunque delle due coalizioni, centrodestra o centrosinistra, vincesse non cambierebbe granché; hanno obiettivi, interessi e programmi simili, dicono e sulla base di questa considerazione c’è chi prevede masse spaparanzate sul divano di casa anziché in fila ai seggi. Speriamo proprio non sia così, perché anche in Fvg la posta è alta. In realtà poi le differenze fra i contendenti ci sono, eccome ci sono. Sul piano dei diritti innanzitutto, ma anche sulle politiche economiche e su quelle sanitarie che, dopo la tragedia del Covid e l’altrettanta nociva pandemia “Riccardi”, avrebbero bisogno di una radicale svolta. Invertire la rotta che oggi privilegia il privato sul pubblico. In sostanza per evitare che permanga “l’inverno”, al pessimismo dell’intelligenza sarebbe da contrapporre l’ottimismo della volontà. La lezione la tracciava Antonio Gramsci. Utilizziamo quindi il pensiero gramsciano per stimolare il nostro residuo ottimismo, pur sapendo che le urne possono essere molto severe ma che dopo l’inverno è fattuale che prima o poi arrivi la primavera. Guardando quindi il bicchiere mezzo pieno, diciamo che anche le lezioni fortemente negative possono aiutarci a capire meglio chi siamo e che cosa possiamo e dobbiamo fare nel prossimo futuro. Ritirarsi a vita privata non è contemplabile, perché prima o poi le nefandezze ti raggiungono e ti bussano alla porta.
Fabio Folisi