Un 25 aprile di speranza per reagire all’oscurantismo, altro che fischi a Fontanini

C’ero anch’io ieri mattina in piazza Libertà a Udine. Ho sentito anch’io alcune bordate di fischi all’indirizzo del Sindaco di Udine Pietro Fontanini. Al di là del discorso istituzionale che in realtà ha svolto con la diligenza di un remigino della democrazia, non poteva non aspettarsi una certa ostilità dalla piazza. Non poteva nascondere di essere stato eletto grazie al voto determinante di 250 fascistelli dichiarati e di non essersi smarcato con decisione da chi alla festa della sua “vittoria” aveva fatto il saluto romano. Ma in realtà in piazza Libertà, contrariamente a quello che stanno veicolando i media locali in cerca della polemica a tutti i costi, c’è stato molto altro che qualche fischio. Ci sono state le parole degli oratori, gli interventi degli studenti, del rappresentante sindacale Ferdinando Ceschia, l’orazione ufficiale affidata al professor Giampaolo Borghello. C’era poi il colore dei gonfaloni e quello sincero, ma qualche volta sconclusionato nello scritto di qualche striscione. Soprattutto c’era tanta gente e quanto si percepiva nella piazza può riaccendere davvero la speranza che questo periodo buio, di cui Fontanini non è neppure il peggio, possa rapidamente passare. Delle tante cose dette oggi nelle piazze italiane infatti ci sono frasi che svettano e non solo perchè a pronunciarle è stato il presiedente delle Repubblica Sergio Mattarella da Vittorio Veneto: “La storia insegna che quando i popoli barattano la propria libertà in cambio di promesse di ordine e di tutela, gli avvenimenti prendono sempre una piega tragica e distruttiva”, e poi “festeggiare il 25 aprile significa celebrare il ritorno dell’Italia alla libertà e alla democrazia, dopo vent’anni di dittatura, di privazione delle libertà fondamentali, di oppressione e di persecuzioni. Significa ricordare la fine di una guerra ingiusta, tragicamente combattuta a fianco di Hitler. Una guerra scatenata per affermare tirannide, volontà di dominio, superiorità della razza, sterminio sistematico”.
Dovrebbero bastare queste parole per dare un significato preciso all’oggi, ma anche alle ragioni del passato, ma c’è di più. C’è la consapevolezza che i seminatori di odio sono saliti al potere e che in nome della sicurezza, dell’ordine stanno erodendo come tarli malefici il tessuto della nostra democrazia. C’è poi l’altra metà di chi è al potere, portatori di un cambiamento di facciata, uno qualsiasi, magari quello Gattopardesco del «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi», perchè l’importante è comandare. Il potere per il potere, poco importa se si collabora alla distruzione del tessuto democratico della società italiana.
Oggi purtroppo una mal interpretata volontà popolare, visto che ne Lega ne M5S potrebbero governare da soli, ha consegnato loro l’imperdibile occasione dell’occupazione di ogni luogo di direzione ed esercizio del potere, altro che cambiamento, l’occupazione delle poltrone è loro imperativo categorico. Un governo del “quando ci ricapita” che li terrà incollati alle poltrone. L’unico rischio è l’ingordigia di Salvini che in pochi mesi ha eroso decine di punti percentuali ai pentastellati e che oggi, anche per effetto dell’aria elettorale che si respira, si stanno rendendo conto di essere stati presi per i fondelli dal loro alleato di governo. Non è bastato il “contratto”, tutti sanno che non esiste contratto blindato, se il socio d’affari è in malafede o peggio un mascalzone. Così oggi la Repubblica italiana è invasa, come lo fosse da un esercito straniero e usurpatore che sta saccheggiando al Paese la sua anima democratica. Non parliamo solo dei vari decreti “sicurezza” o “porti chiusi” o circolari dalla dubbia costituzionalità. C’è di peggio, si sta cercando di lobotizzare i cervelli estirpando pezzi di democrazia e libertà, sostituendola con promesse vacue e la costruzione di un modello di società basato su percezioni di paura, barando su dati e realtà, e promuovendo la guerra fra poveri: dalla caccia allo straniero, a quella ai rom, che stranieri spesso non sono.
Ma nel giorno del 25 aprile ci si può sentire rassicurati, quasi coccolati, avendo la percezione che esistono degli anticorpi alle derive totalitarie. Ma in realtà la nostra democrazia resta in pericolo, perchè un giorno su 365 è davvero poco, perchè negli altri giorni è difficile, guardandosi intorno, riconoscersi nella società in cui oggi si vive. Basta scorrere i social o i commenti dei “cattivisti” di professione nei blog e nei commenti ai giornali web, per avere la plastica percezione di una realtà che forse esisteva anche prima, ma che è stata sdoganata da questo governo palesandosi nelle sue peggiori manifestazioni. Basti penare allo striscione inneggiante a Mussolini esposto ieri a piazzale Loreto a Milano. Guardando poi ai risultati elettorali delle ultime tornate, ma soprattutto ai sondaggi delle prossime, l’idea che la maggioranza “elettorale” degli italiani siano un popolo di pavidi, di scrocconi, di arrampicatori sociali, corrotti, opportunisti, voltagabbana e delinquenti rischia di diventare realtà. Del resto le più potenti mafie del mondo sono made in Italy, altro che i nigeriani, e questo vorrà pur dire qualcosa. Eppure nessuno toglie dalla testa che in questo popolo, nel quale serpeggia l’immarcescibile e non certo vinto serpente mafioso, c’è anche molta brava gente. Ma guai nel tornare all’idea del totale “Italiani brava gente”. Quella favoletta auto-assolutoria nata proprio alla fine del fascismo che ha fatto il paio con l’amnistia generalizzata. Quella amnistia, che pur se comprensibile, se contestualizzata con la fase dell’immediato dopoguerra, ha nei fatti provocato dissesti che ci portiamo ancora dietro. In realtà l’Italia, nonostante i 74 “25 aprile” commemorati non ha fatto davvero i conti con il fascismo.

La pacificazione in molti casi ha provocato ingiustizie enormi, sacrificando le richieste di chi aveva combattuto e che si è visto mortificare vedendo il “nemico” saldamente abbarbicato nei posti di potere. In Germania la resa dei conti fu invece compiuta fino in fondo, non tanto con esecuzioni sommarie, ma soprattutto nella testa dei tedeschi messi dinnanzi alle atrocità commesse. A nessuno oggi portasse il cognome Hitler, verrebbe in mente di usare quel blasone, simbolo di morte ed infamia, per candidarsi, manco all’assemblea di condominio. Avrebbero chiesto di cambiare cognome. In Italia no, c’è chi di quel cognome si fa vanto, lo usa elettoralmente e non solo per captare i voti di qualche nostalgico ottuagenario, ma per far leva nell’ignoranza di giovinastri senza arte ne parte, manipolati e strumentalizzati dai fautori della violenza come metodo di vita. Gentaglia che oggi grida “Salvini è uno di noi”. Così ecco le nuove guerre di religione, quelle ai gay, si è passati dalla guerra ai terroni, a prima gli Italiani. E oggi non ci si fa scrupolo perfino nel rispolverare razzismo e antisemitismo, che erano fattori tipici e distintivi del fascismo e del nazismo.
Insomma c’è davvero il rischio di assistere a qualcosa di mostruoso, vedere la gente annegare nel Mediterraneo con la maggioranza degli italiani che plaude. Sembrava cosa inverosimile solo pochi anni fa, ma invece oggi è un fatto. Il dubbio che la maggioranza del popolo italiano torni ad essere affascinato da segmenti sempre più consistenti di “sentimento” fascista si fa quindi sempre probabile come il rischio che il giudizio della storia pesi in futuro di nuovo sul nostro paese. Non parliamo ovviamente del ritorno del “duce” anche se c’è chi si atteggia a tale, ma ad un nuovo tipo di fascismo paradossalmente più subdolo ma altrettanto pericoloso. Una responsabilità che ricaderà su tutti e non basterà più la favoletta di “Italiani brava gente” per auto-assolversi. Bisognerà dire che vi sono nomi e cognomi ed essere sinceri nell’indicare che c’è un movimento politico che si rifà al ventennio mussoliniano e che usa provocatoriamente le stesse parole d’ordine che non avremmo mai più voluto sentire. Non siamo più di fronte a un folclore, alle doppiette della Val Brembana o alle fantasie geografiche sulla padania, siamo dinnanzi all’uso spregiudicato della democrazia che svilisce il Parlamento e si fa beffe della Costituzione. Altrettanta responsabilità c’è in chi ha scambiato volontà legittima di cambiamento per uso personalistico del potere, abiurando ai propri principi fondativi “stellati” per palese paura di perdere la poltrona.
Diciamolo, ce n’è sarebbe abbastanza per precipitare nello sconforto e nella disperazione totale. Ma poi bisogna avere la consapevolezza che in un momento di forte frustrazione l’unica consolazione è la speranza di creare un domani migliore. Chi è malato spera di guarire, chi soffre per amore spera di veder tornare a se la persona amata…. Insomma dove c’è disperazione c’è anche speranza. E proprio della natura umana non rassegnarsi, ma continuare a credere in un miglioramento nonostante le avversità del presente, il progresso si è basato su questo. Del resto i momenti di crisi sono emblematici: quando si sta per toccare il fondo, perfino una volta caduti, ci rialza e si ricomincia a camminare. Torna alla mente una delle frasi più famose del Che, Ernesto Guevara, che di resistenza se ne intendeva: “Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso”. Ed allora è probabilmente il momento per ogni sincero democratico di rialzare gli occhi e dare vita ad un nuovo Cln, lasciando perdere divisioni, perchè il nemico è potente e non è solo alle porte, si è già accomodato a casa nostra.