AAA nuova classe dirigente cercasi
In Friuli non ci sono più le élites politiche, economiche, culturali e sociali di una volta. La mancanza di una qualche classe dirigente di peso e qualità è ormai certificata anche dal direttore del MV Omar Monestier. Nel frattempo a fare invidia c’è anche Trieste che corre. Che fare?
Innanzitutto va valutata la situazione e vanno capiti gli avvenimenti e gli appuntamenti che si susseguono.
Una considerazione di partenza. Sul piano della rappresentanza politica si sta esaurendo lo stock di democristiani eredità della prima Repubblica. Gente capace di interloquire con tutti ed anche di esprimere tolleranza verso i competitori. Ideali per qualsiasi amministrazione locale dove è oggi il sindaco a contare per tutti e capaci di addomesticare qualsiasi referente finanziario, Governo o Regione che fossero.
Non so se Marco Damilano (L’Espresso del 24 ottobre 2021) si riferisse, nell’affrontare lo stesso tema a livello italiano, ai “capi” del tempo che fu quando dice “per formare una classe dirigente serve una formazione che fa emergere una generazione politica; un gruppo che parla la stessa lingua, condivide esperienze simili e un orizzonte di valori comuni”.
Con la attuale Regione F-VG, di fatto interlocutore unico verso il sistema degli enti locali, animata da un clientelismo ottuso e irrazionale incapace di distinguere la consistenza di proposte di “amici e nemici”, se ne vedono delle belle. Anche da “piccole” cose. Mentre a Grado il nuovo sindaco (di centro destra ma non digiuno di amministrazione) rilancia la iniziativa delle Terme in continuità con scelte precedenti, a Forni di Sopra i fedeli di Fedriga, oltre a trovare sponda per inattuali ingrandimenti di demani sciabili, vogliono storicizzare il “regime locale” con una nuova sede municipale dal costo di circa 6 milioni di euro.
L’occasione principale che abbiamo di fronte è naturalmente quella del PNRR dove tutto sta svolgendosi senza che vi sia una comprensione di quanto realmente possono incidere le comunità locali e le loro istituzioni in scelte utili e radicate. Sul MV del 28 ottobre c’è una notizia preoccupante: un intervento di “rigenerazione urbana” a Udine (S. Domenico) da 25 milioni di euro finanziato per buona parte dallo Stato viene ridotto a 16,4 milioni di euro poiché viene fatto rientrare dal governo nel PNRR e quindi deve essere finito nel 2026. Di fatto una prova da cui è chiaro che lo stesso PNRR viene usato impropriamente come bancomat dal governo su progettualità ordinaria e non certo aggiuntiva.
Nel frattempo discutiamo in generale sul futuro del digitale e dell’energia, molte speranze ed elaborazioni si concentrano su come ridare centralità alla montagna e alle aree rurali, ma siamo totalmente all’oscuro di quali meccanismi di intervento potranno venire attuali. L’occasione di un vero protagonismo del territorio e dei comuni mi pare si allontani.
I grandi operatori economici e finanziari non vivono di questi dubbi. Vale per quelli regionali e per quelli esterni che hanno interessi qui da noi. I settori della cosiddetta riconversione ecologica e della innovazione produttiva sono ben frequentati e i progetti sull’idrogeno, per l’utilizzo del gas nella transizione e magari quello del nucleare, sulle grandi infrastrutture di trasporto, e così via, trovano concorrenti ben posizionati. Sta qui probabilmente la polpa del PNRR e le fibrillazioni delle rappresentanze in parte lo spiegano.
L’annuncio della candidatura di Benedetti in Confindustria Udine, il ruolo della stessa associazione a livello regionale e la proposta di un fronte comune del Nordest quasi a voler limitare il potere di trattativa del presidente Bonomi, fanno parte di intrecci di relazioni in cui probabilmente l’oggetto del contendere è proprio il malloppo del PNRR. Magari anche con risvolti positivi per il territorio. Pensiamo al ruolo che la Danieli potrà conquistare di fronte al tema centrale della decarbonizzazione della siderurgia.
In giro per l’Italia si parla soprattutto della mancanza di tecnici in grado di istruire, anche per gli enti locali, le pratiche del PNRR. Ma qui in Friuli c’è per sovrappiù la mancanza di una “competente” classe politica nei quadri istituzionali di comando che riconosca le potenzialità del territorio, anche in settori non direttamente legati ai grandi interessi. L’economia e la finanza dei “big” faranno sicuramente gocciolare qualche effetto benefico ma unicamente a partire da visioni settoriali e logiche segmentate.
Va rilevato un qualche sforzo degli ambienti universitari, i cui cantieri magari qualche indicazione in linea con il proprio compito istituzionale di Università del Friuli riescono a dare, ma una certa sudditanza rispetto alla politica ed al potere economico rischia di farne un puro spazio per la comunicazione giornalistica di routine.
A parte le spese direttamente gestite dal Governo, e al sequestro da parte dei fedeli di Draghi delle partite decisive, pare che gran parte degli interventi di ripresa e resilienza che ci attendono nei prossimi cinque anni (oltre a quelli già partiti) saranno definiti con “bandi” gestiti e amministrati anche dal potere politico locale. Spetta a questo equilibrare gli apporti e gli interessi che provengono dal sociale, dall’economia e dalla conoscenza. Ed a costruire una visione del futuro da perseguire. C’è di che preoccuparsi.
Teoricamente sarebbero le elezioni a definire il meglio che la politica può dare, ma, vista la situazione attuale e il livello di competenza che serve nell’immediato, non sarebbe il caso di procedere con bandi ben definiti anche per questi soggetti?
Giorgio Cavallo