Alfa Romeo Arese, lavoratori uccisi dall’amianto, ingiustizia è fatta: non si può stabilire il nesso di causalità
“Sul diritto alla giustizia per i 15 lavoratori dell’Alfa Romeo di Arese uccisi dall’amianto, respirato nel loro posto di lavoro, come tutte le consulenze e certificazioni, prodotte dall’Accusa Pubblica e Privata hanno dimostrato, è stata messa una pietra tombale e ingiustizia è fatta, per sempre!” E’ quanto ha dichiarato Fulvio Aurora, responsabile delle vertenze giudiziarie di Medicina Democratica e di AIEA, Associazione Italiana Esposti Amianto sulla sentenza emessa ieri a tarda sera dalla Corte di Cassazione, IV Sezione Penale, presieduta da Salvatore Dovere, che ha confermato la sentenza assolutoria della Corte d’Appello di Milano, Sezione V Penale, emessa il 24 giugno del 2019. Le due associazioni, rappresentate dall’avvocata Laura Mara, parti civili nel processo avevano fatto ricorso in Cassazione contro una sentenza ritenuta profondamente ingiusta.
La sentenza è analoga ad altre ed è assolutamente paradossale oltre che inconsistente sul piano scientifico: non si può stabilire il nesso di causalità e la fine della induzione, il momento X, in cui le fibre di amianto, penetrate nella pleura si trasformano e danno origine al mesotelioma e/o carcinoma, pertanto non è possibile attribuire responsabilità a nessun manager. Ma a ciò si aggiunge la sconcertante considerazione che i manager inquisiti “potevano non conoscere” la pericolosità dell’amianto, dimenticandosi che l’ignoranza delle leggi non è ammessa! Sembra davvero impossibile visto che nello stabilimento erano presenti 147.000 m2 di amianto solo nel reparto abbigliamento/montaggio, 23 tonnellate nella parte impiantistica, 34 tonnellate nel reparto verniciatura e 106 tonnellate di lastre di copertura fino alle azioni di smaltimento successive al 1992, anno di entrata in vigore della legge 257 che ha messo l’amianto al bando.
CANTARELLA Paolo, ex ad FIAT, FUSARO Piero, ex presidente Lancia Industriale, GARUZZO Giorgio, ex presidente FIAT, RAZELLI Giovanni Battista, questi i 4 dirigenti e manager, definitivamente assolti, mentre MORO Vincenzo è nel frattempo deceduto e la cui morte è stata comunicata ieri nel corso della lunghissima udienza: attivi complessivamente dal 1974 al 1996, erano tutti accusati di omicidio colposo per non aver provveduto ad attivare le necessarie tutele previste fin dal lontano 1943, data di entrata in vigore in Italia della Legge n. 455 sull‘asbestosi: “Una sentenza che turba e disorienta, anche alla luce di altre sentenze di Cassazione su processi analoghi, come quella del processo Montefibre 2, in cui la Suprema Corte, III sezione penale, ha rimandato il processo alla Corte d’Appello di Torino, annullando la precedente sentenza assolutoria per i manager ritenuti responsabili della morte di decine di lavoratori”, ha dichiarato Laura Mara.
“Continueremo su tutti i fronti la nostra battaglia per il riconoscimento delle responsabilità penali e civili di chi ha causato con i propri comportamenti la morte di lavoratori, per mancate tutele, prevenzione e attuazione delle leggi”! ha detto Marco Caldiroli, presidente nazionale di Medicina Democratica. “Siamo di fronte alla palese dimostrazione dell’esistenza di una sorta di giustizia “schizofrenica” e incomprensibile, che emette sentenze differenti e contraddittorie su situazioni analoghe a seconda della sezione in cui “capita” il processo, come emerge dalla sentenza “assolutoria”di ieri emessa dalla IV Sezione Penale della Cassazione, di segno opposto rispetto alla citata pronuncia emessa dalla Cassazione III Sezione Penale sul caso dei lavoratori deceduti presso lo stabilimento Montefibre di Verbania-Pallanza“. (MA)
Fonte e foto Medicina democratica