Frammenti di oscenità

Come altro si potrebbero definire quelle immagini presenti nel bellissimo docufilm (The Lost Ghosts of Syria) presentato a Pordenone nei giorni scorsi e che rappresentano in modo lampante e crudo i (non) limiti della follia e della barbarie insiti dell’essere umano? Quelle foto che ci illustrano le torture subite da altri esseri umani, spesso colpevoli solo di aver esposto la propria opinione, a volte nemmeno quello perché le violenze subite da bambini non trovano nemmeno queste possibili “giustificazioni”. Cosa significa colpire in quel modo migliaia e migliaia di persone? L’unica ragione sta nel voler terrorizzare, nel lanciare il messaggio che nessuno può sentirsi sicuro. Che chi gestisce il potere non è disposto a cederlo ad alcun costo, che il valore della vita viene definito da chi comanda e a qualsiasi prezzo.

Ecco, quelle immagini relative ai primi periodi della “rivoluzione” siriana, in realtà una massiccia e giustificata serie di manifestazioni che rivendicavano giustizia, diritti, uguaglianza, cioè quello che qualsiasi persona dovrebbe avere garantito, sono relative alla violenta repressione che il governo di Bashir al Assad ha scatenato contro il suo stesso popolo. Si tratta di immagini a cui sono seguite, non nel film, quelle relative a ciò che è successo in Siria negli anni successivi e che ancora non riesce a concludersi. Mi riferisco alle immagini delle città distrutte dalla la guerra civile scatenata in seguito a quella repressione e che danno l’intera dimensione di ciò che è successo e continua in forma minore in questo disastrato Paese.

Troppi gli appetiti legati a quell’area da parte di diversi attori in competizione tra di loro che hanno immediatamente approfittato (alcuni di loro previsto e preparato) della situazione per cercare di imporre i propri interessi. Quella che in origine era solo una legittima ricerca di giustizia, è stata poi trasformata in una guerra fratricida che è ancora lontana dal trovare una soluzione e che continua a mietere le sue vittime.

Da una parte la Turchia con le sue mire di espansione e di potenza regionale, nonché di regolare i conti con i kurdi che reprime severamente e con cui combatte una guerra di logoramento che in una quarantina di anni ha provocato circa quarantamila morti; un migliaio in media per anno, mica bruscolini.. E che nel frattempo, in tre diverse fasi, ha invaso buona parte dei territori confinanti e che lascia amministrare quelle zone ai suoi alleati; un’accozzaglia di fanatici briganti che applicano la Sharia a seconda della loro personale e barbara interpretazione delle regole dell’Islam.

Dall’altra i russi, principali alleati di Damasco che hanno le loro basi sia aeree che navali nel Mediterraneo proprio a Latakia e Tartus, sulla costa siriana, e che da quelle parti cercano di crearsi spazi di influenza internazionali.

Gli Usa, che dopo aver reso l’Iraq ad uno spezzatino, cercano di fare la stessa cosa con la Siria tentando di incrinare i rapporti di Assad con l’Iran e con i russi, fingendo di difendere gli interessi dei kurdi siriani.

I Paesi del Golfo e l’Arabia Saudita che hanno foraggiato (in buona compagnia dei Turchi e indirettamente degli Usa; ricordiamo che i principali “califfi” sono tutti usciti dalle carceri Usa in Iraq) la nascita e l’espansione di Al Qaeda in quella regione nonché dell’Isis che di quell’organizzazione terrorista è una costola.

Israele che imperterrito continua a bombardare in Siria senza che qualcuno abbia qualcosa da ridire. Neppure i russi che a quanto pare vengono avvertiti in anticipo dei raid e danno ai bombardieri di Tel Aviv un tacito consenso. Naturalmente evitando di attivare i potenti sistemi antiaerei S300 dislocati in Siria.

L’Iran ovviamente, altro alleato di ferro di Assad, che attraverso le sue milizie e Hezbollah controlla una bella fetta del Paese.

All’interno di tutto ciò, la Siria soffre di una crisi economica e sociale che ha condannato alla povertà la maggioranza dei suoi abitanti. Quelli che non sono riusciti a scappare, molti dei quali peraltro sono tutt’ora ospiti dei campi profughi sparsi nei Paesi vicini, oppure sfollati in quelli interni che vivono persino peggio.

Di recente qualcosa si sta muovendo; alcuni dei Paesi arabi che fino a ieri, come accennato in precedenza, avevano fortemente cercato di defenestrare Assad, si stanno ora muovendo in senso contrario. Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi in particolare (ma anche Egitto a gran parte del mondo arabo) , hanno riallacciato rapporti diplomatici con la il governo siriano, di fatto sdoganando Assad riconoscendogli un ruolo di vincitore e di unico interlocutore. Alla prossima riunione della Lega Araba, da cui la Siria era stata estromessa in seguito alla repressione usata contro gli opositori, vedrà forse (il Qatar non è d’accordo) la riammissione della Siria all’interno di quell’organismo.

Tutto a posto, dunque? Beh, non proprio; la situazione siriana è a tutt’oggi ben complicata ed il Paese profondamente diviso. Il Nord Est gode di ampia autonomia ed è governato dal Syrian Democratic Council a guida kurda. Una bella fetta a nord di quel territorio è occupato dagli alleati della Turchia. Il sud di quella regione, Deir Ez Zor, è tutto fuori che tranquillo e oltre a dar rifugio alle cosiddette cellule dormienti dell’Isis che spesso e probabilmente volentieri attaccano check points e mezzi dell’SDF (“l’esercito” della AANES, Autonomous Administration of North East Syria) e che ultimamente fanno strage dei raccoglitori di tartufi che in questo periodo maturano nel deserto, è sede degli scambi di bombardamenti tra le milizie sciite legate all’Iran e le truppe Usa che da quelle parti controllano i campi petroliferi più produttivi.

Le aree invase dai turchi e governate dai tipacci di cui sopra, sono completamente al di fuori della portata sia dei governativi che dei kurdi e tendenzialmente secondo i piani di Erdogan e soci dovrebbe prima o poi accogliere i due milioni e mezzo di profughi che attualmente sono ospiti poco graditi all’interno della Turchia.

La sacca di Idlib è saldamente nelle mani di Tahrir Hayat al Shab (Ex Al Nusra – Al Qaeda); la zona desertica di Homs è preda dell’anarchia e rappresenta un ottimo rifugio per lIsis, un po’ come l’area “protetta” di Al Tanf al confine con Giordania e Iraq, mentre la regione a sud del Paese, quella di Dah’ra, è quotidiano teatro di attentati e omicidi che prendono di mira soprattutto ufficiali dei servizi di Damasco o del suo esercito. In particolare quelli che fino al 2018 combattevano contro il Syrian Arab Army e nel quale sono poi confluiti.

Dulcis in fundo, il confine con la Giordania è spesso interessato da scontri tra l’esercito e la polizia di frontiera di Amman e i trafficanti di captagon, la cosiddetta droga dell’Isis che dalla Siria viene esportato soprattutto nei Paesi del Golfo e in Arabia Saudita, il cui traffico frutta secondo le fonti circa due miliardi e mezzo di dollari. In una situazione di disastro economico, è ovvio che questo commercio susciti parecchi interessi e provochi le conseguenti lotte per il suo controllo.

Bene, in seguito a questo quadro, ciò che è certo è che qualcosa si sta muovendo e i recenti incontri tra sauditi e iraniani sponsorizzati dalle intense iniziative di Pechino nell’area, possono far sperare che una soluzione si possa trovare. Altrettanto certo è che trovare un equilibrio all’interno di un contesto così complicato, identificare una via di uscita da questo conflitto che dura ormai da dodici anni, appare decisamente difficile.

La Cina, che ultimamente ha palesemente manifestato interesse a rendersi attore di peso nelle dinamiche interne al Medio Oriente, potrebbe (condizionale d’obbligo) rappresentare soggetto determinante nel dare un nuovo ordine alla scena di quella regione; un’ipotesi che certo non farebbe piacere al suo maggiore avversario del pianeta e che fino ad oggi ha segnato le sorti di quella zona. Rimane da verificare come gli Usa reagiranno a questo nuovo protagonismo cinese; non è da escludere che per arginare Pechino, da Washington non decidano di creare ulteriore confusione, non tanto per rimanere i principali decisori del destino di quell’area, ma per rendere difficili i progetti e la necessità di stabilizzazione cinese di tutta la regione

Il nuovo capitolo è appena iniziato e il non troppo vicino finale chissà quali altre sorprese ci riserverà.

Docbrino