Hackeraggio sanità Regione Lazio: è cyber terrorismo altro che estorsione

Come sanno bene tutti gli investigatori, molti indizi fanno una prova. Per questo non appare credibile l’affannosa determinazione delle varie “autorità” della cosiddetta cybersecurity nell’affermare che l’attacco ai sistemi informatici della regione Lazio guarda caso relativi soprattutto alle vaccinazioni anti covid non sarebbe attacco mirato ma cybercrime opportunistico. Cioè un tentativo di estorsione di cui però, almeno stando alle dichiarazioni del Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti non vi è traccia. “Sono stati bloccati quasi tutti i file del Centro elaborazione dati e di prenotazione dei vaccini. Il sistema è spento, non è possibile riaccenderlo per evitare di propagare ulteriormente il virus. Gli attacchi sono ancora in corso”. Così in diretta tv Zingaretti. L’attacco subito dai sistemi informatici regionali è iniziato nella mattinata di domenica 1° agosto quanto probabilmente per via della giornata festiva i sistemi sono più vulnerabili forse perchè meno presidiati. Il dato è che la crisi generata non è ancora superata, anzi, ha spiegato il presidente “Nella notte tra domenica e lunedì si è verificato un altro tentativo di attacco ai server, che è stato sventato e non ha prodotto risultati”. Poi però spunta la parola più drammatica terrorismo, anche se cyber sempre di atto ostile e pericoloso si tratta soprattutto perchè mirato alla salute dei cittadini: “Stiamo difendendo in queste ore la nostra comunità da questi attacchi di stampo terroristico, ha aggiunto Zingaretti, il Lazio è vittima di un’offensiva criminosa, la più grave mai avvenuta sul nostro territorio nazionale” per poi confermare “che gli attacchi rilevati provengono dall’esterno del nostro Paese, si tratta di criminali. Non è pervenuto al momento alcuna richiesta di riscatto”. E mentre, se sull’ultima affermazione è pienamente credibile, dato che difficilmente gli hacker sono così sprovveduti da pensare di ottenere un riscatto da una amministrazione pubblica (se non con un complicato meccanismo legato ai servizi segreti come è avvenuto per il rilascio di qualche ostaggio dove però in gioco vi era direttamente la vita della persona), sulla provenienza “straniera” dell’attacco i dubbi ci permettiamo di sollevarli. La rete, soprattutto quel mare oscuro dove nuotano gli hacker, non conosce frontiere ed è semplicissimo depistare. In un paese che ancora oggi non è stato di individuare depistaggi “analogici” come quelli delle stragi, ci permettiamo di considerare le affermazioni dei vari guardiani della cyber-sicurezza risibili, come risibili sono le affermazioni degli stessi quando parlano di inviolabilità dei sistemi. Perchè minimizzino non è chiaro, forse si vuole evitare il panico, ma purtroppo qualsiasi studente del settore sa bene che in rete nulla è inviolabile. Resta quindi tesi più probabile che il movimento no vax sia più pericoloso di quanto si sta cercando di far passare. Non si tratta infatti solo della masnada di deficienti, complottisti e creduloni, che abbiamo visto nelle piazze (alcuni dei quali magari in buona fede ma non per questo meno colpevoli). In realtà si tratta di un movimento con ramificazioni politiche individuate ed individuabili, di collegamenti con gruppi pericolosi e con capacità offensive di cui il cyber attacco potrebbe essere solo la punta dell’iceberg. C’è quindi da ritenere che, pur tenendo nervi saldi ed evitando eccessivi interventi polizieschi, sarebbe il caso di non sottovalutare il fenomeno e di far capire, imponendo obblighi e non solo consigli, che con la salute degli altri non si può scherzare. La libertà tanto richiamata non può essere a senso unico. Intendiamoci, non si tratta di imporre i vaccini, se uno è convinto di non vaccinarsi dovrà essere liberissimo di farlo, ma deve essere consapevole che avrà delle limitazioni, non alla libertà, ma più semplicemente a svolgere alcune attività, ludiche, ma anche lavorative se, come nel caso degli operatori sanitari solo con il contatto si può mettere a repentaglio la salute degli altri. Potremmo fare il gettonatissimo esempio della patente di guida o del brevetto di volo, ma ci piace di più fare quello dell’obiezione di coscienza dal servizio militare. Molti, quando vi era la leva obbligatoria, decisero per coscienza di non volere “toccare” le armi, sapevano che vi sarebbero state conseguenze, perfino la galera e qualcuno vi finì. Altri “disertarono” scappando in terre lontane. I più convinti e politicamente consapevoli affrontarono il destino innestando un movimento di pensiero che alla fine porto a rendere praticabile l’obiezione di coscienza con servizio civile sostitutivo fino all’abolizione della leva obbligatoria. A nessuno, con il sale in zucca, venne però in mente di chiedere l’abolizione dell’esercito. O almeno non certo per legalizzare la propria renitenza alla leva.