Identità e futuro

Forse solo in Friuli si può discutere del ruolo dell’identità rispetto al futuro del territorio poiché sembrava un dato acquisito da tutti che conoscere e valorizzare le proprie radici sia indispensabile per affrontare le sfide che ci pone il futuro. A quanto pare non è così, ma in merito ha risposto molto bene l’ottimo Walter Tomada e c’è però un elemento che dovrebbe invitare tutti a considerare la realtà di questa fase prelettorale, sia per Udine che per la Regione: vi è la necessità di adeguare il proprio sentire particolare alla situazione data, al di là delle odierne analisi sul concetto di friulanità su cui si disserta da decenni.  Andiamo alle prossime elezioni comunali e regionali sullo sfondo di due recenti pubblicazioni che hanno indagato sul Friuli, una sulla sua storia e identità e un’altra che invece è il frutto di numerose interviste e di considerazioni sul fatto che ora, a quasi cinquant’anni dal terremoto e dalla ricostruzione individuata un po’ come il momento fondativo dell’attuale Friuli, la fase contemporanea sembra rappresentare una cesura rispetto a quel tempo. E’ cambiata la Chiesa che era stata uno dei puntelli fondamentali della rinascita sociale e materiale friulana, è cambiato il mondo imprenditoriale che aveva saputo dare corpo e sostanza all’idea che andassero ricostruite prima le fabbriche, è cambiata la politica. E il Friuli, pur conscio della sua identità ne soffre, con la crisi della sanità pubblica un tempo fiore all’occhiello friulano, con una ripresa dell’emigrazione dei propri giovani, con la difficoltà a misurarsi con i flussi migratori, con incomprensioni sul tema della gestione del territorio. E si potrebbe continuare. Non secondario è il modo di rappresentarsi del Friuli poiché il suo policentrismo, con le sue diverse anime, dalla montagna carnica alle lagune costiere, fatica a presentarsi come un unicum territoriale e politico, con una conseguente debolezza che si ripercuote poi sulle risorse economiche e di prospettiva per l’intero territorio. Con grandissima probabilità questa difficoltà a presentarsi come unica entità – il Friuli – sia pur policentrica, deriva anche dalla presenza nel nome della regione dell’invenzione “Venezia Giulia”, nome notoriamente coniato dal nazionalismo italiano ottocentesco in funzione espansionistica e usato sempre più per erodere identità e spazi al Friuli e dalla presenza della città di Trieste nel suo ruolo di capoluogo regionale, mentre avrebbe dovuto invece avere un ruolo a sè stante, con un suo territorio ben definito e separato dalla Regione Friuli, con la divisione amministrativa della regione in due provincie autonome, “Friuli e Trieste”, a somiglianza del “Trentino-Alto Adige”. Una prima risposta dovrebbe essere il dibattito in vista delle prossime elezioni comunali di Udine, sperando che i programmi dei candidati vadano oltre l’ombelico della città e tendano a dare sostanza a quel ruolo di capitale simbolica del Friuli, spesso citato ma sempre più eroso da acronimi e particolarismi, nell’interesse di tutto il territorio, dal Livenza al Timavo, non per eludere o umiliare le altre voci del Friuli, ma per rappresentarle, oggi che il policentrismo sembra non pagare e la forza di una capitale, pur simbolica, serve a tutto il territorio. Per tutto il Friuli, invece, sarebbe necessario che i temi della crisi friulana e dell’autonomia amministrativa ritornassero con forza e con prospettive concrete nel dibattito politico, all’interno di ciascun partito o movimento.

Paolo Fontanelli