Il commercio udinese perde insegne: -17% di aziende in centro storico in dieci anni
In un contesto internazionale di perdurante difficoltà, con il conflitto in Ucraina dopo anni di pandemia, anche Udine segna una progressiva diminuzione delle insegne. Stando ai dati dell’Osservatorio sulla demografia d’impresa nelle città italiane di Confcommercio nazionale (la fotografia sul 2022 è al mese di giugno), dal 2012 al 2022 il calo è del 17% nel commercio del centro storico (da 564 a 468 imprese, -96) e del 12% nell’area non centrale (da 403 a 355, -48). Crescono, al contrario, i dati di alberghi, bar e ristoranti: nel complesso si passa da 358 a 364 (+2%) in centro storico e da 235 a 253 (+8%) fuori dal centro.
Quanto al raffronto tra il 2019 e il 2022, il periodo del coronavirus, il terziario ha sostanzialmente tenuto, ma continua comunque il trend all’ingiù: il commercia segna -29 imprese in centro storico e -1 fuori dal centro; i pubblici esercizi e la ricettività -9 imprese in centro e -5 in periferia.
«La situazione rimane di sofferenza – commenta il presidente del mandamento di Confcommercio Udine Giuseppe Pavan – visto il pesante calo del potere d’acquisto delle famiglie. La nostra associazione, tra l’altro con la promozione di un evento come lo Sbaracco, lavora per il rilancio del settore commerciale, il più in difficoltà, e ci aspettiamo molto anche dall’Adunata degli Alpini, nella convinzione che Udine possa presentarsi al meglio. Di certo, più in generale, si deve insistere nella ricerca di una nuova capacità di pianificazione, meno burocratica, per dare risposte alle esigenze contingenti e arginare la perdita di funzioni della città. Nell’anno delle elezioni è anche importante che la classe politica non pensi solo alla conta alle urne, ma abbia in testa un serio programma di rilancio».
L’Osservatorio, spiega Confcommercio nazionale, è un’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio sui cambiamenti del commercio e delle imprese nelle città italiane negli ultimi dieci anni, con particolare riguardo ai centri storici. L’ottava edizione dell’Osservatorio arriva in una fase che ha visto superare il picco della crisi dovuta alla pandemia e alla stagnazione dei consumi, ma che si confronta oggi con nuove emergenze derivanti dal caro energia, da una elevata inflazione e dal protrarsi della guerra in Ucraina. I cambiamenti nelle preferenze e nelle abitudini di acquisto e consumo, le scelte commerciali e localizzative della grande distribuzione e delle superfici specializzate, lo sviluppo del commercio online e altri fattori stanno cambiando volto alle nostre città e ai centri storici in particolare, con meno insediamenti del commercio tradizionale e più servizi e con differenti dinamiche tra le aree geografiche del Paese. L’analisi riporta i dati aggiornati sull’evoluzione commerciale nelle città dal 2012 ad oggi e riguarda i dati dei 120 comuni medio-grandi italiani (regione per regione), di cui 110 capoluoghi di provincia e 10 comuni non capoluoghi di media dimensione (escluse le città di Milano, Napoli e Roma perché multicentriche, dove non è possibile, cioè, la distinzione tra centro storico e non centro storico).