Il futuro dei comuni. A cosa può servire il voto regionale?

Siamo a tre settimane dal voto per le regionali in F-VG. I candidati presidenti si muovono per attivare i propri potenziali elettori. C’è un super favorito il cui cruccio esistenziale sta tutto negli equilibri della propria coalizione. C’è uno sparring-partner più pericoloso di quanto sembri perché non ha nulla da perdere. E ci sono due attori non protagonisti che sperano di portare a casa la pagnotta: non lavorano per sé ma per miracolare qualche abile candidato della propria lista qualora superino il 4% dei voti.
La Regione F-VG non è più quella di un tempo. Né sentinella della patria e della Nato, né luogo di speranza e di rinascita economica e culturale. Finanzia e/o realizza qualche opera pubblica ma è soprattutto un centro di spesa pubblica, importante per la fornitura di servizi essenziali ai cittadini e al territorio, che dipende, per norme e finanze, da un complicato rapporto con lo stato centrale e, in parte, con l’Unione Europea.
L’autonomia possibile può essere giocata con intelligenza ma ciò non è scontato: spreco e clientele sono sempre in agguato. Oggi una amministrazione si giudica per quanto riesce a fare con le energie e risorse a disposizione, attivando in continuazione sistemi di conoscenza e di reazione in gradi di valutare e correggere i processi di decisione. Per questo, grazie allo Statuto di specialità vigente in F-VG, il potere di governo e coordinamento del sistema regionale degli enti locali (Comuni) è forse oggi l’unica vera partita politica che può essere giocata. E che il prossimo quinquennio metterà alla prova, chiunque siano i soggetti politici che ne verranno incaricati.
Nel MV del 14 marzo Mattia Pertoldi cerca di mettere a confronto le posizioni dei 4 candidati Presidenti proprio sul tema della riorganizzazione di questi enti. Ne emergono tre proposte confrontabili.
Molto semplicemente per Maran (III Polo liberista Calendiano) l’efficienza di funzionamento obbliga a far sparire i soggetti sotto i 5000 abitanti e a forme di aggregazione e fusione in modo da costituire Comuni che superino i 10.000.
Per Fedriga (Lega Salvini e destre varie), dopo un quinquennio a ritmo di “laissez faire” (ogni comune ha potuto scegliere se rimanere monogamo o scegliersi i partner desiderati) sarà sufficiente reintrodurre le Provincie (quale soggetto politico eletto direttamente) affidando ad esse funzioni di amministrazione territoriale varie, di pianificazione e programmazione, oltre che di gestione per ciò che riguarda le aree vaste sovra comunali.
Per Moretuzzo (autonomista del Patto assieme a sinistre variegate), pur conservando le identità territoriali nelle loro tradizionali forme comunitarie, deve avviarsi un processo “federativo” delle amministrazioni comunali in grado non solo di accorpare la gestione dei servizi (secondo modelli di efficienza) ma anche di costruire in maniera diffusa le competenze organizzative, tecniche e amministrative in grado di gestire i temi che l’obbligo della “resilienza” comporta nella gestione del territorio e delle sue economie.
Le due proposte reali, Fedriga e Moretuzzo, sono fortemente alternative perché presuppongono due modelli diversi di Regione. Comunque centralizzata e piramidale la prima, parcellizzata e “organicamente disomogenea” la seconda. L’una non può sfuggire alla guida politica presidenziale, l’altra deve trovare modalità di negoziazione delle scelte che possono travalicare le egemonie politiche. Se oggi la scelta di una delle due strade è un fatto politico dentro la cornice statutaria, domani il cammino avrà comunque bisogno di aggiustamenti costituzionali. Non solo per le Provincie ma per un diverso equilibrio di poteri tra diversi organi istituzionali.
E’ comunque evidente che l’attuale ambiguità di collocazione degli enti locali nella Regione F-VG va superata. Dopo 10 anni di scelte incerte e dopo 5 anni in cui la drastica mortalità delle capacità amministrative dei Comuni è stata in parte occultata dall’annuncio di opere pubbliche (a lode e gloria della Giunta Regionale) spesso non realizzate. Diventa quindi dirimente lo scontro sulla resurrezione o meno delle Provincie, comunque denominate, e quindi sulla continuità del processo di centralizzazione del comando.
Il 2-3 aprile si vota per dare ad una Regione un Presidente ed un Consiglio. Negli anni il F-VG ha accentuato la sua funzione di “contributificio”. Oggi tuttavia l’interesse degli elettori nei confronti della politica di amministrazione sembra indirizzarsi soprattutto a come il pubblico riesce a rispondere alla domanda di alcuni servizi essenziali, sanità innanzitutto, istruzione, costi dell’energia. Talvolta, in particolare in situazioni di crisi, per ricordarsi le azioni nei campi dell’assistenza e del lavoro. Ma sfugge qualsiasi attenzione all’organizzazione della stessa amministrazione ed ai processi che l’accompagnano, aldilà di generiche giaculatorie sulla maledizione della burocrazia..
In un quadro di “devastazione istituzionale” dove i messaggi giungono alle orecchie dei cittadini più per stimolarne le emozioni che per attivare conoscenze, non è da sprecare l’occasione che oggi si presenta in F-VG di riflettere sui propri enti locali per potervi riaprire percorsi di democrazia e partecipazione. Qualche elemento di riflessione la stessa campagna elettorale lo propone. Spetterà poi alla “intelligenza” della politica saper tradurre il risultato non solo in termini di seggi e di pezzi di potere da distribuire ma anche di apertura di dinamiche capaci di interpretare utilmente il futuro.

Giorgio Cavallo