Il Governo Meloni ha barato sulla geografia delle coste. Conteggiati chilometri di rocce e scogli. Balneari: Stop dal Consiglio di Stato alle deroghe
Un tempo, nella cosiddetta prima Repubblica, la definizione di governo “balneare” era legata alla durata estiva dell’esecutivo utile per trovare nuovi assetti ed equilibri fra i partiti o addirittura fra le correnti interne a questi. La definizione aveva comunque una connotazione negativa, oggi potrebbe essere legata al naufragio del provvedimento sui balneari. Il Governo Meloni, genera infatti sempre più spesso provvedimenti maldestri che poi si schiantano contro la realtà, fermati sulla “battigia” dell’irrilevanza tecnico amministrativa, quando non sul tentativo di barare in stile Totò truffa. Insomma annunci ad effetto mediatico che poi non trovavo effettiva possibilità di attuazione. Gli esempi sono molti, dal ponte sullo Stretto di Messina alla favoletta elettorale compra-voti dei 100 euro nella tredicesima per lavoratori dipendenti e pensionati che poi si scopre non avere copertura (non hanno trovato nel bilancio 100 miseri milioni). Prebenda che slitterebbe al 2025 e che fra l’altro è anche stat venduta male perche 100 euro comunque non saranno perché “lordi”. Ma c’è di più, la mancetta palesemente scimmiottata da quella di Renzi, avrà una platea ristretta, non vale in sostanza per i pensionati (dovrebbero infatti avere un figlio a carico). Ma il vero colpo di scena è quello di ieri, nuova puntata nella interminabile saga sulle concessioni balneari con la bocciatura delle proroghe decise. Un brutto colpo per la credibilità del governo di Giorgia al quale, dopo gli strilli di rito contro le toghe, non resterà che cercare di mettere l’ennesima toppa, perché, diciamolo chiaro, difficilmente farà l’unica cosa che legge e buonsenso consiglierebbe, bandire finalmente le gare per l’assegnazione delle concessioni balneari smettendola di fare promesse irrealizzabili agli operatori del settore, che saranno anche suoi sodali ed elettori, ma alla fine rischiano di restare spennati come polli. Se il governo avesse utilizzato solo una frazione degli sforzi per studiare una soluzione che potesse, nella legalità, salvaguardare chi, soprattutto le imprese familiari, rischia davvero di restare con un pugno di mosche, avremmo avuto già una soluzione equa. Fra l’altro vale la pena ricordare che i “balneari” anche a fronte di incassi consistenti, hanno per decenni pagato allo Stato irrisori canoni di concessione. Si è invece cercata la soluzione all’italiana, la scorciatoia furbetta per fottere l’Europa e il tanto osannato (a parole) “mercato” regolatore. Ora il bubbone è scoppiano in faccia. Impareranno la lezione? Difficile crederlo perché non c’è nulla di peggio dell’arroganza del potere e si cercherà una toppa che sarà peggiore del buco. Per non parlare che si inizierà a meditare vendetta contro il Consiglio di Stato reo di disturbare il manovratore con le sue pretese di rispetto delle regole. Chissà, assieme al premierato in punta di “governabilità”, si cercheranno di abolire o limitare, non solo le funzioni del Presidente della Repubblica ma anche quello degli altri contrappesi come Consiglio di Stato e Corte Costituzionale e perché no, già che ci sono, anche la libera stampa.
Tornando ai balneari, è di ieri la pubblicazione della sentenza 3940/2024 emanata lo scorso 12 marzo. In sostanza la VII sezione del Consiglio di Stato ha confermato la scadenza a fine 2023 per le concessioni demaniali per le spiagge obbligando le amministrazioni locali a disapplicare ogni eventuale proroga tecnica al 31 dicembre 2024 prevista dal decreto Milleproroghe 2022 e «dare immediatamente corso alla procedura di gara per assegnare la concessione in un contesto realmente concorrenziale». Strada chiara e trasparente che metterà in difficoltà e non certo per colpa dei giudici che applicano le leggi, cittadini e amministratori locali. Ovviamente si darà la colpa all’Europa che piace quando elargisce “paccate” di miliardi ma diventa matrigna quando vuole vengano rispettate le regole. Nel dispositivo della sentenza, emanata nell’ambito del ricorso presentato dal proprietario di uno stabilimento balneare di Rapallo, i giudici amministrativi ribadiscono che la risorsa spiaggia è «scarsa», smentendo la posizione ufficiale del governo che, facendo leva sulla mappatura delle coste italiane effettuata tra il giugno e l’ottobre 2023, ne sostiene invece l’abbondanza: a essere coperto da concessioni, secondo le tabelle fornite all’esecutivo dal tavolo tecnico istituito ad hoc, sarebbe soltanto il 33% dei litorali, contro un ampio 67% di spiaggia libera. Dati respinti prima dalla Commissione europea, con una lettera inoltrata a Roma a metà novembre 2023, e adesso dal Consiglio di Stato che spiega che non si possono conteggiare centinaia di chilometri di coste rocciose scogli e litoranei dove è impossibile la balneazione. Insomma smascherata la furbata di Meloni & C, più che un governo sembra la banda Bassotti di Disneyana memoria ma certamente meno simpatica. In sostanza sulla valutazione tra scarsità e abbondanza si gioca la partita dell’applicazione dell’articolo 11 o 12 della direttiva Bolkenstein del 2006, recepita dall’Italia nel marzo 2010: nel primo caso, a fronte di risorse «non scarse» le concessioni possono avere durata illimitata; nel secondo, invece, la «scarsità di risorse naturali» impone l’obbligo di indire gare nel rispetto della normativa Ue sulla libera circolazione dei servizi. Dopo una prima messa in mora nel dicembre 2020, l’Italia resta dunque sempre più esposta a un deferimento di fronte alla Corte di Giustizia Ue con annessa maxi-multa in caso di condanna, maxi multa che ricordiamo non pagherebbero i ministri o gli operatori del settore balneare e neppure solo chi ha votato per la maggioranza meloniana, ma tutti gli italiani.