Il governo valuta l’opzione “austriaca”, lasciapassare solo ai vaccinati e fine dei tamponi rapidi
Fra le misure allo studio di palazzo Chigi non c’è l’obbligo vaccinale ma l’ipotesi di non rilasciare più il certificato verde con i tamponi rapidi, in sostanza si guarda alle esperienze in questo senso che si stanno facendo in Austria e in alcuni Länder della Germania. Insomma si decide di introdurre un obbligo in maniera “indiretta”, scelta comprensibile visti alcuni comportamenti, ma che aprirà il campo a polemiche infinite e non solo nel campo dei novax e affini. Ancora una volta si accuserà l’esecutivo di scarsa trasparenza ma il fine giustifica i mezzi. Del resto la chiassosa minoranza non vaccinata è appunto una minoranza e la stragrande maggioranza degli italiani iniziano ad essere stufi di vedere le città ostaggio di quelle che molti definiscono mandrie di egoisti facinorosi. Il problema in realtà è che i dati del contagio lasciano pochi spazi di manovra e molte regioni finiranno subito in fascia gialla se i tre indicatori supereranno la soglia critica. Il Fvg è la prima della lista mentre vi potrebbero essere anche zone rosse per isolare i focolai e Trieste in questo caso è la candidata perfetta. La risalita rapida della curva epidemiologica spaventa il governo nazionale e palazzo Chigi per ora detta la linea per evitare misure restrittive nazionali, prese invece da altri Paesi europei che si potrebbero evitare sol se vi fosse una rapida tendenza ad intensificare la campagna vaccinale, fatto questo che per ora non pare alla portata. Questo è l’obiettivo primario ma appunto senza escludere, qualora la situazione dovesse peggiorare nelle prossime settimane, una modifica alla norma sul green pass con la stretta di cui accenniamo in apertura. La palla relativa alla curva di rischio è stata rilanciata agli scienziati, ma se i nuovi contagiati quotidiani da Covid 19 dovessero continuare ad aumentare si sta valutando l’ipotesi di rilasciare la certificazione verde soltanto a chi è vaccinato oppure ha effettuato un tampone molecolare ben più affidabile di quello rapido ma decisamente più invasivo e costoso. Il tampone molecolare naso orofaringeo consiste infatti in un’indagine capace di rilevare il genoma (RNA) del virus SARS-Cov -2 nel campione biologico attraverso il metodo RT-PCR. Questo test ha un altissimo grado di sensibilità e specificità, ossia ha un’elevata capacità di identificare gli individui positivi al virus in modo che ci sia il minor numero possibile di falsi positivi, presenti abbondantemente presenti (30%) in quello “rapido. Insomma solo il molecolare ha una elevata capacità di identificare correttamente coloro che non hanno la malattia ma l’esito di questo tampone si ottiene in tre/sei ore. Il problema riguarda in sostanza l’attendibilità dei test rapidi e dunque la possibilità che un «falso negativo» consenta alle persone di continuare a circolare e dunque a diffondere il virus. Non a caso, specificando come l’eventuale decisione finale spetti soltanto alla politica, il direttore della Prevenzione del ministero della Salute Gianni Rezza ha sottolineato: «Il vaccino protegge noi stessi e gli altri ed è una misura senz’altro più efficace del tampone, che fotografa la situazione immediata». Anche l’epidemiologo Donato Greco, membro del Cts, ha definito i tamponi antigenici l’«anello debole della catena» quindi «prima o poi si dovrà pensare di abolirli. Il tampone non protegge l’individuo che può infettarsi in qualunque momento». Il ministro Speranza spiega che la riflessione sull’uso dei tamponi è avviata ma che «i test rapidi sono previsti dal regolamento dell’Unione europea e con l’utilizzo che si fa del green pass non è facile rinunciarci», ma se l’epidemia dovesse avere una nuova impennata non è escluso che il green pass possa essere rilasciato soltanto a chi ha effettuato il molecolare o addirittura soltanto a chi è vaccinato. Una ipotesi per ora solo paventata che è legata al fatto che il green pass per lavorare e per frequentare i locali pubblici viene ritenuto dal governo lo strumento più efficace per combattere la pandemia e per questo sarà utilizzato almeno fino alla primavera con buona pace di negazionisti vari. Anzi, la richiesta che arriva dal governo alla periferia, è di potenziare i controlli visto che i dati sulle verifiche effettuate dai gestori dei locali, dalle forze dell’ordine continuano ad essere molto bassi.
Ovviamente questa la situazione preoccupa anche presidenti di regione e sindaci che per evitare un ritorno al passato e rischi di lock down si sono detti pronti a isolare i nuovi focolai con le restrizioni severe previste dalle zone rosse. Provvedimenti che in passato hanno dimostrato di essere efficaci proprio per ridurre la circolazione del virus e in particolare delle varianti ma che ovviamente creano sperequazioni territoriali pesanti. Per identificare i territori “infetti” il sistema ritenuto più sicuro è quello basato sui tre indicatori — nuovi contagi settimanali su 100mila abitanti, tasso di occupazione nelle terapie intensive e nelle aree mediche — che consente di prendere misure più restrittive a livello locale. E soprattutto evita provvedimenti di chiusura delle attività e altre restrizioni come il coprifuoco. Ecco perché il green pass soprattutto se legato al vaccino, rimane, spiegano da Roma, la misura ritenuta più efficace, che non sarà cambiata fino a quando il virus continuerà a circolare. Se la situazione dovesse però peggiorare verranno essere prese altre misure che diventeranno inevitabili se proseguiranno le manifestazioni di protesta in maniera irrispettosa delle regole, protestare è legittimo ma il rispetto delle regole obbligatori. Distanziamento e mascherine prima di tutto, ma è evidente che è proprio la disubbidienza a queste regole l’immagine che i no green pass vogliono comunicare con il rischio di un ulteriore inasprimento, fino al divieto, di cortei e manifestazioni. Evitando però che questi divieti finiscano per essere generalizzati anche nei confronti di temi diversi in cui i manifestanti non hanno ragione di non rispettare le regole di distanziamento e mascherine. Insomma che non si semplifichi le questioni vietando tutto perchè il diritto di manifestare è costituzionalmente garantito. Oggi come tutti i sabati delle ultime settimane andrà in scena, con molta probabilità, l’ennesimo tentativo di rompere le regole. In Fvg non dovrebbero però essere Trieste al centro della contesa ma Gorizia. Per questo il sindaco Ziberna ha ottenuto che il percorso dei manifestanti novax/pass sia notevolmente ridotto. In sostanza dalla stazione ferroviaria per qualche centinaio di metri fino al Parco della Rimembranza senza transitare per il centro città. Ma è facile prevedere che vi sarà il tentativo di superare queste limitazioni che oltre al percorso ristretto prevedono distanziamento e uso della mascherina ma anche l’obbligatoria presenza di un servizio di controllo da parte degli organizzatori con un addetto ogni 50 persone. I nomi degli addetti, secondo l’ordinanza del sindaco, dovranno essere comunicati alla questura. Questo potrebbe essere il primo scoglio, in quanto ambienti del “movimento” fanno sapere che questa regola viene considerata una schedatura e che nessun nominativo verrà comunicato, fattore che potrebbe far scattare direttamente il divieto.