Il sabato “fascista”
Dunque pare che ci siamo; l’accordo di tregua (definirlo di pace sarebbe davvero eccessivo) sembra si stia per realizzare e da lunedì si dovrebbe iniziare con lo scambio di prigionieri. Forse, e per evidenziare quanto le parole contino, bisognerebbe partire proprio dalla definizione delle persone che potrebbero beneficiare dell’accordo per riconquistare la libertà. Da una parte si definiscono prigionieri, mentre dall’altra sono ostaggi. Come se ci fosse davvero una differenza tra una situazione e l’altra, secondo la diffusa opinione dei media i prigionieri sono trattenuti dalla parte buona ed esiste una valida ragione che causa la loro cattività, mentre gli ostaggi sono detenuti senza alcuna ragione dai cattivi. Fosse davvero così, non si capirebbe perché migliaia di palestinesi sono ospiti delle galere israeliane senza alcuna accusa specifica, mentre nei confronti di coloro che sono impropriamente stati arrestati si pratica normalmente la tortura e molti ci lasciano la pelle. Ne sa qualcosa il direttore dell’ospedale ospedale Kamal Adwan di Beit Lahiya, Hussam Abu Safiya, arrestato non si capisce bene per quale motivo e secondo le testimonianze di altri carcerati sottoposto a tortura; tanto quanto altri medici che hanno subito la stessa sorte. Lasciamo stare le centinaia di minori palestinesi che per avere magari tirato un sasso contro i carri armati israeliani sono stati sbattuti in cella. Serviranno tutti per formare le liste di quelli che verranno scambiati con i prigionieri israeliani. Sia chiaro che entrambe le parti che infliggono queste pene ad essere umani non possono che essere condannati, ma a quanto pare e secondo le opinioni di molti, i palestinesi non sono da considerare umani.
Ma passando oltre, questa tregua, che peraltro deve ancora passare il vaglio del parlamento di Tel Aviv, si reggerà su un equilibrio perlomeno instabile; troppe sono le condizioni ancora nebulose e poche le assicurazioni che Netanyahu e i suoi ministri trogloditi possono garantire alla sostenibilità del cessate il fuoco. In ogni caso da qualche parte bisogna cominciare anche se poi non si sa dove si andrà a parare. Certo, nel frattempo, pare che le forze armate israeliane non siano state informate della firma degli accordi; nella sola giornata di ieri sono almeno 87 i morti ammazzati palestinesi e i bombardamenti sembrano addirittura essere aumentati di intensità. Che significato possa avere scannare quasi un centinaio di civili dopo essere arrivati ad un accordo di tregua, rimane un mistero. Ora, di mezzo ci sarà il fine settimana ed in particolare il Sabbath durante il quale tutte le attività israeliane dovrebbero essere sospese. Evidentemente fare a pezzi dei disgraziati che non hanno più niente non rientra nella definizione di attività. Il sabato fascista che doveva essere dedicato all’attività fisica e di dimostrazione di fedeltà al regime pare aver fatto scuola anche tra i politici e le forze armate israeliane. Magari non sarà attività fisica, ma comunque un buon addestramento.
Vedremo se lunedì i complicati termini dell’accordo cominceranno ad essere rispettati; le recenti dichiarazioni di Netanyahu & C. non sembrano rassicurare granché. L’importante per quel governo e per la maggioranza della popolazione israeliana è riportare a casa gli ostaggi o ciò che di loro rimane. In seguito si potrà riprendere a massacrare i palestinesi e cercare di finire il lavoro in atto da circa 15 mesi. Se ci è voluto tutto questo tempo per arrivare ad un’intesa che riproduce anche nei dettagli quanto proposto già dal Novembre scorso (e poi riproposto in altre occasioni), è davvero difficile riuscire ad immaginare come le varie fasi dell’accordo potranno essere rispettate. Israele si è sempre dimostrato refrattario (per usare un eufemismo) ad accettare condizioni e risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e fidarsi di questo che è tra i peggiori governi dalla sua nascita, risulta un azzardo.
Ci sono ancora troppe ombre su come e da chi verrà gestita la questione, a partire dall’entrata e distribuzioni degli aiuti umanitari che sono essenziali almeno per portare un minimo di conforto a chi da più di un anno vive in condizioni disumane. Per capire cosa significhi sopportare, come fa la stragrande maggioranza dei Gazawi, una situazione di esistenza in continua fuga dai bombardamenti per poi ritrovarsi nelle stesse condizioni nonostante le “garanzie” fornite dalle truppe occupanti, forse bisognerebbe avere conosciuto, ed esserci entrati, qualche campo profughi dove la vita degli ospiti dipende totalmente dagli aiuti delle organizzazioni umanitarie. Quando ovviamente tali aiuti riescono ad arrivare e quel poco che riesce a passare non viene bombardato e distrutto.
Fino a quando poi, IDF continuerà a controllare e gestire tuti i valici attraverso cui gli aiuti dovranno passare e ad occupare tutti i confini con l’esterno? Cosa significano le zone di cuscinetto che dovrebbero garantire la sicurezza dello stato ebraico? Quando potranno rientrare nel nord di Gaza quello che rimane dei suoi abitati in quel nulla che rimane delle loro case che da lì è stata cacciata? Nell’accordo si parla di Gaza, ma cosa ne sarà della Cisgiordania che magari non avrà subito la stessa distruzione di Gaza, ma dove un migliaio dei suoi abitanti sono stati assassinati dall’esercito e dai coloni fanatici che impropriamente vivono nelle colonie illegali e continuano a rubare terre e proprietà palestinesi? Corre voce di un segreto accordo con il nuovo presidente degli Usa che avrebbe dato via libera all’annessione di quelle terre ad Israele come nella sua passata amministrazione aveva fatto con il Golan. Con quale diritto il presidente di uno Stato possa decidere unilateralmente le sorti di altri milioni di persone, non si capisce proprio, ma tant’è, il mondo pare funzioni così.. altro che due Stati, due Nazioni!
Da capire inoltre, chi eventualmente governerà quel che rimane della Palestina; Abu Mazen e la sua amministrazione ha del tutto perso qualsiasi credibilità, Hamas nonostante rappresenti ancora probabilmente la stragrande maggioranza in Gaza (ma nel frattempo si è creato spazio anche in Cisgiordania) difficilmente potrà essere accettato come elemento di governo. Dunque? Ci sarebbe una possibilità di far convergere su una persona i favori di gran parte dei palestinesi, ma Marwan Barghuti non pare essere nella lista dei prigionieri che verranno scambiati nelle varie fasi dell’accordo. Eppure la sua persona potrebbe veramente essere di garanzia per entrambe le parti, a patto naturalmente che Israele accetti di rispettare almeno parte delle sentenze del sopra citato Consiglio di Sicurezza dell’ONU. In alternativa, si continuerà ad andare avanti come prima, in attesa che la situazione precipiti di nuovo e si torni punto a capo.
Ultima cosa, la ricostruzione. Di disastri e distruzioni mi è capitato di vederne parecchi, il più recente e scioccante è stato imbattermi nella distruzione di Raqqa, nel NES (North East Syria). All’epoca le Nazioni Unite avevano stimato il livello di distruzione di quella città con l’85% di abitazioni distrutte o pesantemente lesionate. La situazione di Gaza, almeno dalle immagini non potendo avere una verifica diretta come ai tempi di Raqqa, appare addirittura peggiore. Eppure già a poca distanza dalla liberazione dell’ex capitale del califfato, la gente cominciava a tornare nei pochi spazi che erano rimasti in qualche modo vivibili. La città si stava ripopolando giorno dopo giorno, le rovine ad essere tolte dalle strade, con tutti i rischi che ciò comportava. L’assenza di acqua potabile, di energia elettrica la distruzione metodica non impediva alla gente di ritornare. Ecco, è chiaro che ci sarà bisogno di tutto, ma se diamo davvero la possibilità seppur minima alla gente di rientrare in ciò che rimane del loro territorio, il miracolo potrà ripetersi.
Ma intanto domani è sabato e se in Israele le attività verranno interrotte, probabilmente a Gaza continuerà il macello almeno fino all’inizio della tregua. In fin dei conti sempre di addestramento si tratta.