La lezione Wartsila. Fabbrica chiusa ma posti di lavoro salvati

Dopo mesi di lotte senza quartiere una ricca confezione del nulla fa tutti contenti. La Wartsila trasferirà la progettazione e produzione dei motori marini in Finlandia. I dipendenti che verranno licenziati troveranno un altro lavoro rinnovando le proprie competenze tecniche. Insediamenti alternativi, operanti in settori da definire, occuperanno i vuoti industriali del sito di Bagnoli della Rosandra.. Rimane la nebbia fitta sulla continuità delle attività Wartsila che rimarranno a Trieste: “services” e “ricerca&sviluppo”, si saprà più avanti.
C’è una considerazione di fondo da fare. L’impegno della “politica” sulla questione è stato reale ed ha probabilmente messo in campo tutte le carte di cui poteva disporre, ottenendo dei risultati che oggi tenta di presentare come una specie di vittoria. Ma rimane una considerazione che viene sottaciuta: nell’attuale quadro dei rapporti economici e finanziari non esiste una sovranità statale che tenga nel quadro delle regole che inquadrano le relazioni globali. A quelle regole ci si deve adeguare se non si vuole perdere le potenzialità di giocare nella partita. Esistono dei fondamenti di “libertà di impresa” che devono essere rispettati. Tra questi quello di licenziare e di rilocalizzare la produzione. Se il presidente Fedriga si reca negli USA per propagandare l’insediabilità nel nostro territorio di chi vuole investire, non può allo stesso tempo impedire alla Wartsila di spostare proprie attività in altra parte del mondo.
Se poi questa parte coincide con un territorio che militarmente appartiene oggi alla Nato (e quindi al fronte dell’Occidente e della democrazia) non possono sussistere neppure elementi di connessione con produzioni strategiche, in particolare per eventuali usi militari, che possano far scattare vincoli riconosciuti. Potrebbe anche essere richiamata l’appartenenza di Italia e Finlandia all’Unione Europea per ricordare gli ulteriori limiti che vengono posti agli atti di concorrenza se si vuole godere dei benefici del mercato unico.

Quanto realmente conta il sistema politico italiano?
La critica di fondo che va posta alla politica intervenuta sulla questione Wartsila è proprio l’aver fatto credere di poter pesare e decidere su una scelta di politica industriale privata e non, come è avvenuto, unicamente sulla amministrazione delle ricadute sociali di quella scelta. Credo sia proprio questa continua menzogna della politica organizzata a livello statale ad allontanare dalla stessa un larga parte di cittadini. I limiti alla sovranità possono far imprecare quando presentano conti da pagare (come in questo caso) ma appartengono a processi decisionali ben radicati di cui varrebbe la pena poterne disbrigliare le connessioni e valutarne l’accettabilità sulla base di “interessi generali” ben definiti. Possono talvolta essere soluzioni indispensabili per il genere umano, basti citare il cambiamento climatico, mentre in altri casi rispondono magari unicamente ad interessi dominanti di pochi. L’illusione della panacea dell’interesse nazionale stimola la propaganda e pericolosi ed aggressivi istinti: non porta certo a soluzioni.
Si parla molto dell’intervento diretto degli stati nella gestione di vere e proprie strategicità produttive. Microprocessori, tecnologie solari, idrogeno, motori vari. E anche qui mi pare ci sia notevole confusione sulle dimensioni geografiche di tale obiettivo: ritorno dello stato-impero, unità europea, sistemi continentali che si contendono egemonie anche militari. Con l’occhio ad evitare che le sconnessioni di trading facciano crollare gli indici di “sviluppo”.

Dopo la sceneggiata, quale lezione per la Regione F-VG
Sarebbe da dire, così va il mondo e non possiamo farci nulla. O forse si può cominciare ad usare meglio alcuni strumenti di cui disponiamo. Anche nel confrontarsi con le questioni del cosa e come produrre. Ho in mente tre importanti interventi che suscitano discussione: Kronospan, BAT, Metinvest-Danieli. Opportunità o minacce? Verifichiamo pure, ma sapendo che non possono essere le uniche occasioni per il territorio.
La politica, e possibilmente la democrazia, dovrà ricostruire i propri spazi e modalità di intervento per poterne venire a capo, con l’umiltà di non propagandare poteri di cui non dispone nelle sue attuali articolazioni. Per venire a noi si tratta anche di parametrare meglio quanto oggi la Regione F-VG amministra.
Dalla vicenda a me pare derivi quindi una conclusione che costituisce una piccola lezione per il modo in cui utilizziamo i fondi pubblici regionali in rapporto proprio alle economie di produzione. Avere presente principalmente il mondo produttivo nella sua faccia globale, di cui aneliamo disperatamente ad indici di crescita, sia che si parli di esportazioni che di transito e traffico di merci, ci fa mettere in secondo piano quello che in realtà dovrebbe essere l’impegno principale di una istituzione territoriale. L’occhio a quelle economie radicate nel territorio per la quasi totalità delle loro filiere e capaci di costruire quelle caratteristiche della “Età della Resilienza” di cui tutti, compreso Jeremy Rifkin, ormai auspicano l’avvento.
Economie che probabilmente difficilmente raggiungono gli indici di successo produttivo del sistema globalizzato ma che forse vanno valutate non solo per le partite economico-finanziarie, ma per gli aspetti sociali, ambientali e comunitari di cui si continua ancora a tenere conto in via subordinata.
Al momento non c’è bisogno (o possibilità) di alcun rifiuto né del capitalismo, né della globalizzazione, hanno strumenti propri molto potenti, ma semplicemente di maggiore oculatezza e visione di prospettiva nel gestire le disponibilità finanziarie di un governo pubblico territoriale.

Giorgio Cavallo