La partecipazione, il popolo, lo scontro di classe

I cittadini, gli elettori sono sfiduciati, stanchi, disillusi. Ormai, abitualmente a oltre il 50% degli aventi diritto al voto, rinunciano, delegando il loro presente e il loro futuro, non hanno fiducia. Della politica non interessa, annoia. Neppure dei programmi TV i cui ascolti volano bassi.
E allora come si spiega l’alta partecipazione allo sciopero deciso dai sindacati CGIL-UIL, con migliaia di partecipanti nelle piazze, con tanti giovani. Oppure del rinnovamento dei 5 stelle con “l’ascolto dei bisogni” per costruire la loro riforma. Sono stati pensati 22 mila idee a cui vanno aggiunti 15 mila commenti. Dopo una valutazione e selezione hanno votato 54 su 89 mila iscritti. Un voto su proposte costruite dal basso, non cadute dall’alto, sotto dettatura. E come si giustifica l’ondata di firme che sommerge i referendum: nel settembre 2021 su eutanasia e droghe leggere 330.000 in tre giorni; negli ultimi mesi sull’autonomia 1.300.000; sulla cittadinanza 1500.000; sul lavoro organizzato dalla CGIL 4.000.000. Questa non è rassegnazione, indifferenza rispetto al loro destino. E un popolo che ha voglia di partecipare, di decidere, di difendere un’idea di futuro, di contare dal basso, con la voglia di democrazia diretta. Può essere la chiave per ridurre l’astensionismo. Un’altra lezione venuta e che va raccolta, che diminuisce sicuramente l’astensionismo, è il voto online, senza paura. Sta funzionando nella raccolta firme referendum, nella vita di ogni giorno come: prenotazioni, compere, pagamenti, sanita, lavoro, riunioni.
A nome di un popolo contro un popolo, con un altro popolo ancora che è maggioranza, che sta a guardare, non partecipa, non utilizza il proprio diritto, appalta il suo presente e futuro. Chi sono una volta identificati gli intellettuali, gli artisti, i borghesi colti, l’élite, persone che la destra le indica come di sinistra, circa 8-10%? Gli altri chi sono? donne, uomini, ragazzi, precari, operai, che non sono élite, che vivono gli stessi problemi, le stesse difficoltà, le stesse gioie, sono simili, sono il popolo per la quale è venuto il tempo di riconoscerli come artisti della propria vita. Dire che la sinistra non ha saputo governare la globalizzazione è la pura verità. Dire che questo limite è costato il voto popolare è un falso storico e aritmetico. La sinistra è popolare, la destra è populista nelle scelte welfare, nelle tasse progressive, nella sanità, nella integrazione, nelle diseguaglianze. La sinistra è cambiamento in evoluzione alla quale manca essere più coraggiosa ed energica. Davanti a quello che sta succedendo la ribellione dei giovani per far rispettare la Costituzione, che non centra con le violenze, di pochi imbecilli, sempre da condannare perché fanno sempre il gioco del sistema, la ribellione è il minimo, è la speranza nel futuro. La voglia di rivoltare l’Italia a fronte delle ingiustizie, del degrado, dell’illegalità, per costruire un futuro basato sul riconoscimento del merito alle lavoratrici e ai lavoratori, sui loro diritti, sulla riduzione delle diseguaglianze è quello che serve. E attraverso lo sciopero che i lavoratori attaccati e deboli isolatamente, affermano la loro forza e il ruolo di soggetto sociale indispensabile. Non si può aver paura dei nostri figli e di chi produce e mantiene il Paese, sono due popoli pensanti che vanno ascoltati, con cui costruire il futuro.
Siamo nel pieno di uno scontro di classe, di una conflittualità sociale mai vista, le classi dominanti, con il mandato in bianco delle destre politiche, all’attacco portato avanti sui posti di lavoro e sul sociale con tutta una serie di decisioni. Dalla flessibilità alla precarietà strutturale, dai lavoratori part-time a quelli dei servizi più sfruttati degli operai di una volta senza diritti e cittadinanza, dal ceto medio senza più identità e sicurezza diventato precario, dai bassi salari alla mancanza di prevenzione sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro. La globalizzazione ha sconfitto le vecchie classi sociali e le forze sindacali, politiche, istituzionali che li rappresentavano, ma le persone non sono sparite, sono ben piantate nella realtà. Vanno viste, lette per ridefinite le classi e una nuova cornice dentro la quale nessuno sia escluso. Le conseguenze della globalizzazione hanno travato terreno fertile nella politica di destra, con le scelte decise di tagli sul sociale: sanità, scuola, giustizia, welfare ecc. C’è ancora chi detiene i mezzi di produzione e chi presta la sua opera e il suo tempo, il capitale umano, altro che fine della conflittualità, il futuro con meno diseguaglianze va conquistato, avanti con fiducia.
Luigino Francovig