L’amico e il nemico immaginario
Molti dei bambini e bambine provano questa esperienza, mi riferisco ovviamente al primo caso, quello dell’amico/a che fino ad una certa età si manifesta nell’immaginazione dei piccoli. Succede anche che un’esperienza del genere venga prolungata e distorta anche in età matura e che uno si convinca che quel o quella tale sono amici suoi e dunque soggetti di cui ci si può fidare. Noi europei per decenni ci siamo convinti che il migliore amico che avevamo a disposizione fosse quello che stava dall’altra parte dell’oceano Atlantico, gli USA. D’altra parte, come dimenticare che circa 170.000 dei suoi giovani sono crepati in Europa nella seconda guerra mondiale per aiutarci a sconfiggere il mostro nazista? A quanto pare e secondo la nostra interpretazione della storia, è grazie a loro se oggi viviamo in un sistema democratico, la cui reale applicazione lascia perlomeno a desiderare. E dunque sono loro e solo loro quelli da ringraziare. Il fatto che per esempio durante quel conflitto siano morti circa 25 milioni di persone (parte delle quali accoppate dai nostri militari durante la folle e disastrosa invasione di quello sterminato Paese) dell’Urss a quanto pare assume l’importanza pari ad un dettaglio. Certo, l’URSS non era un sistema democratico ed ha tenuto in ostaggio tutto l’est europeo per decenni; Stalin ne ha accoppati a milioni durante il suo folle esercizio del potere, ma sostenere che il suo attuale “successore” abbia le stesse mire, non tanto di potere, quanto di espansione, a me pare piuttosto fuori luogo. Non c’è dubbio che l’aggressione all’Ucraina sia un crimine e che la responsabilità delle centinaia di migliaia di persone, tra soldati e civili, che in questo conflitto sono morte sia da addebitare a Putin e soci. Naturalmente varrebbe la pena anche di considerare determinate responsabilità (per esempio l’incosciente volontà di espansione della Nato e di chi questa associazione a delinquere ha sempre comandato e diretto) e che soprattutto USA e UK hanno da subito sabotato le buone possibilità di un accordo che avrebbe interrotto il conflitto in tempi brevi, ma non mi pare questa la sede per affrontare un argomento del genere.
Limitiamoci per ora a considerare che la Russia odierna, che giusto per precisare non ha nulla che fare con il tanto temuto comunismo, non è sicuramente una democrazia, anzi al contrario è espressione estrema del fenomeno opposto, il liberismo oligarchico, non ha né la possibilità reale né tantomeno l’intenzione di scatenare ulteriori conflitti all’interno della nostra Europa. Non c’è dubbio che dal punto di vista economico e delle mire neocoloniali (nel loro complesso) di Mosca, l’Unione Europea rappresenti un suo antagonista e che la realizzazione del processo (attualmente una specie di utopia) di coesione reale dei Paesi che la compongono sia un serio impiccio e che più l’Europa rimane divisa, meglio è per la Russia. Almeno per questa Russia.
Il fatto è che l’elezione a presidente degli USA di un folle esagitato il cui unico interesse è quello proprio, rappresenta un ostacolo ancora maggiore all’idea di realizzazione di un’Europa realmente unita e dunque non solo competitiva nei confronti della Russia, ma soprattutto nei confronti degli Stati Uniti, del monopolio del loro potere militare ed economico, nonché della loro moneta. Ma non è certo con la pazza idea di riarmo come proposta dai vari geni della politica europea che si può risolvere un problema del genere. Sono ben altri i mezzi a disposizione per cominciare un reale percorso di alternativa allo strapotere di altri soggetti, magari cominciando ad occuparsi delle vere emergenze che il nostro continente sta attraversando. Stiamo parlando del lavoro, della sanità, dell’educazione, dell’ambiente (e dunque delle energie rinnovabili, altro che il nucleare), insomma dei diritti degli abitanti della UE. E forse proprio attraverso questa inversione dell’identificazione delle priorità si potrebbe ipotizzare un avvicinamento anche di quei Paesi europei attualmente meno liberali e governati dai fascistoidi come la Polonia, la Slovacchia, l’Ungheria, la Romania e l’Italia stessa. Forse si potrebbe persino ipotizzare un approccio più realistico e persino umano al fenomeno delle migrazioni, che sicuramente necessita di una soluzione complicata, ma che al tempo stesso risulta inevitabilmente necessario ed inevitabile, vista la situazione del nostro pianeta.
Invece no, siamo con le pezze al culo, ma dovremmo trovare le risorse ovviamente aumentando il debito che fino ad oggi ha rappresentato un ostacolo insormontabile di fronte al tentativo di dirottare fondi ai veri bisogni della nostra società. 800 miliardi di euro da destinare agli armamenti a me appaiono più un’idea di malati di mente piuttosto che un’esigenza di persone sane di cotenna. Ma tant’è. Ce lo chiede un amico e dunque come rifiutare? Mi permetto di suggerire una seria valutazione del termine “amicizia” perché mi pare che se ne confonda il significato. Uno che ci sta dando dei parassiti e che cerca di rifilarci le sue merci che spesso violano le nostre leggi in termini di sicurezza sulla salute e a prezzi (vedi il gas ad esempio) folli non mi sembra si possa considerare un amico fidato, quanto piuttosto un baro.
Naturalmente non è tutto qui; nelle università del Paese democratico per antonomasia, le università (anche le più prestigiose, come la New York University, Yale e molte altre) impongono agli studenti di ritirare le loro proteste contro il massacro in Palestina e di rinunciare al diritto di esprimere la propria opinione. Così non fosse, agli interessati non verrebbe concesso di accedere agli esami. Il modo migliore per fare della cultura un veicolo di libertà e di diritto, vero?
Quanto poi alle amicizie che frequentiamo, ci sarebbe un altro tipaccio che delle regole se ne frega altamente e delle leggi internazionali fa carta straccia. Netanyahu e i suoi accoliti, se solo fossimo un minimo credibili, a quest’ora non verrebbero accolti con tutti gli onori dalle autorità occidentali e da quelle pseudodemocratiche (neo fasciste) dell’Europa orientale, ma presi di peso e portati davanti ai tribunali internazionali che chiedono di processarli. Non contenti di avere macellato circa 70.000 palestinesi (65% donne e bambini), di avere raso al suolo la maggior parte delle abitazioni, distrutto ospedali (con i ricoverati e medici al loro interno), scuole (con i profughi che cercavano riparo in queste strutture), depositi degli aiuti umanitari, da due mesi non fanno passare nemmeno uno spillo all’interno della Striscia.
Distruggono case e spianano terreni appartenenti ai palestinesi della Cisgiordania uccidendo chi si ribella e non se ne va. Basterebbe guardare anche solo per un attimo le immagini che ancora i giornalisti sopravvissuti (il termine calza a pennello, visto che sono più di 200 i giornalisti ammazzati solo in questo anno e mezzo in Palestina) riescono a mandare in onda per chi vuole vederle e magari ritrasmettere (non è il caso delle reti nostrane) e che ci raccontano di gente ridotta a pelle e ossa. Forse somigliano troppo a quelle degli internati nei campi di concentramento e dunque disturbano le nostre coscienze. Sempre ammesso che ancora ce la abbiamo, la coscienza.
Ma ancora non basta, se ne vanno in giro a bombardare in Libano, in Siria, sulle navi della Freedom Flottilla nelle acque maltesi (senza che le autorità di quell’arcipelago obiettino), vorrebbero farlo in Iran e non è detto che prima o poi riescano a coronare questo loro desiderio. Ciò che è più vergognoso, è il silenzio dei nostri governanti che, anzi, continuano ad avere rapporti commerciali e scientifici con lo Stato di Israele, a spedire armi e a difendere l’indifendibile.
Sono veramente questi i nostri amici? Ne siamo sicuri?
Il mio mattino comincia con i servizi che Al Jazeera riesce, nonostante tutto, a mandare in onda attraverso i suoi eroici giornalisti e che non possono non provocare rabbia e dolore. 30-40, a volte di più, persone assassinate durante la notte, giorno dopo giorno, le file delle persone che non hanno più niente che spingono e si schiacciano contro le barriere che le separano dall’agognato, quando va bene e per chi ci riesce, magro pasto giornaliero mentre circa 3.500 camion attendono al valico con l’Egitto di poter entrare e dare supporto a chi, tutti, ne ha estremo bisogno. Le immagini dei bimbi (non solo loro) denutriti con le loro facce e arti di cui rimangono solo le ossa e un po’ di pelle, delle tende bombardate da droni, aerei, artiglieria, di ciò che rimane degli ospedali ridotti in macerie, delle pile di sacchi bianchi o neri che contengono i corpi delle vittime più recenti che non si sa nemmeno dove seppellire. Come si fa a sopportare questo orrendo spettacolo? Sarà per questo che nei nostri giornali e nelle tv non si vedono, per non disturbare le persone che a quell’ora fanno colazione…
Unica nota lieta, il premio Tiziano Terzani che quest’anno nell’ambito della rassegna udinese “Vicino Lontano” verrà assegnato proprio alla memoria dei giornalisti ammazzati a Gaza e in Cisgiordania. A ritirarlo ci saranno un paio di loro che collaborano con Al Jazeera. Almeno c’è qualcuno che vuole vedere, capire e condannare. Complimenti e grazie a chi ha avuto il coraggio di organizzare questo evento.
Docbrino