L’avvocato Luca Ponti presenta suo libro al Fogolar Furlan di Roma

Cosa vuol dire essere un avvocato nell’era delle comunicazioni frenetiche e dei cambiamenti tecnologici? Vale ancora la pena studiare e intraprendere questa faticosa professione quando i clienti sono sempre stressati? Per rispondere, meglio di un saggio funziona la letteratura. Con i racconti del libro “All’avvocato si dice sempre tutto” Luca Ponti ha espresso molte delle vicende ordinarie della giustizia italiana approfondendone i risvolti psicologici più nascosti. La presentazione del volume, edito da Aragno, ha aperto la stagione di eventi sociali del Fogolâr Furlàn di Roma. L’incontro si è svolto in streaming, per permettere la partecipazione dei friulani sparsi nel mondo, ed è stato moderato dal consigliere dell’associazione Gialunca Ruotolo, avvocato a Roma, e introdotto dal presidente Francesco Pittoni. Luca Ponti, che esercita a Udine, considerato a ragione fra i “principi del foro” in Friuli. Va detto che non sempre, come del resto normale per la professione, a nostro modestissimo parere, è sulla parte “giusta” della barricata. Ponti  è specializzato in diritto commerciale societario ed è abituato a interfacciarsi con le problematiche che assillano le imprese, sia civili sia penali. Nel corso degli anni ha visto cambiare, e parecchio, la sua professione. Da qui è nata l’esigenza di raccontarne i molteplici sviluppi. Del resto, per gli studi giuridici passa una grande quantità di personaggi e vicende diverse che spingono il professionista a evolvere con i tempi. “Il fine del nostro lavoro non è cambiato: abbiamo il compito di risolvere problemi” – ha specificato Ponti che, dopo gli studi a Firenze, è tornato nella sua città – “ma le sfide per le nuove generazioni sono più complesse: occorre rispondere più velocemente che accuratamente e porsi come problem solver, mostrando carisma e capacità di comunicare”. Diversi sono anche i valori. Allo sfoggio del latino e della cultura classica recitata a memoria, l’avvocato contemporaneo preferisce accorciare le distanze con il cliente: mostra empatia, versatilità, capacità insomma di essere un po’ psicologo e un po’ manager multitasking. Come ha sottolineato Ruotolo, infatti, quando un avvocato scrive fiction “ha la possibilità di rappresentare sentimenti umani universali”: passioni e preoccupazioni, tutto ciò che si confessa al proprio legale. Per comprendere invece ciò su cui il cliente tace – e capita spesso – occorre la sensibilità e l’esperienza del professionista. Non è questo il primo libro di Ponti che, rispondendo a una domanda di Francesco Pittoni, ha specificato di aver creato anche personaggi ispirati al “mito friulano”. Il prototipo è il nonno: “Un uomo riservato e incapace di vivere senza lavorare; per lui il concedersi pochi giorni di vacanza rischiava di tradire lo spirito friulano, il ritmo vertiginoso del fare”. Con l’espediente di un alter ego letterario, dal nome giocoso di Castano Dittongo, Luca Ponti ha composto decine di storie che intrecciano vita di tribunale e rapporti familiari, incontri con clienti complicati e gialli da risolvere. Nulla di strettamente autobiografico: “Io non sono Castano, il mio personaggio è una maschera che intercetta solo una parte delle mie emozioni. A differenza di lui, mi ritengo pugnace e orientato al risultato, mi dedico a tempo pieno alle questioni di lavoro. Perciò non mi immedesimo pienamente con le vicende dei miei racconti che puntano soprattutto sulla dimensione non razionale, emotiva”. Nelle storie raccolte emergono soprattutto le evoluzioni del mondo dei tribunali e degli studi legali del nostro paese. “A differenza degli anni in cui iniziai, oggi i processi sono mediaticizzati, un avvocato deve gestire la dimensione della comunicazione, senza perdere di vista la cultura giuridica, sulla quale continuo a credere”. Sarà proprio la dimensione comunicativa o, meglio, l’incomunicazione, il tema del prossimo libro di Ponti anticipato proprio durante l’incontro. Per il Fogolar Furlan di Roma