Parenti serpenti
Prima di tutto, un aggiornamento sulla situazione della prigione ad Hasake. Il controllo del carcere è stato ripreso dalle forze dell’SDF supportate dall’intervento aereo della coalizione. Certo, ancora non si sa quanti, ma forse un centinaio di ex prigionieri, sono, almeno per ora, riusciti ad eludere i controlli e la cintura di sicurezza attorno alla città e vagano ancora in giro nella zona. Ovviamente il problema è tutt’altro che risolto ed una soluzione non pare sia stata individuata. Una soluzione definitiva, figuriamoci. Poi, visto che qui stiamo, parliamone. Il Kurdistan, una regione che avrebbe avuto, almeno ai bei tempi andati, le sue ragioni per divenire uno Stato alla pari di altri ma che a causa dei litigi e le cosiddette ragioni sulle quali le (ormai ex o quasi) grandi potenze dell’epoca si confrontavano, è stata smantellata e divisa in grossomodo 4 altri paesi. Turchia, Iraq, Siria e Iran, mentre una minoranza di kurdi rimaneva all’interno dell’Armenia, in accordo con il trattato raggiunto da Sykes Picot, rappresentanti di Regno Unito e di Francia, giusto un secolo fa. Lasciando perdere i criteri folli con cui l’ex impero ottomano era stato smembrato, concentriamoci un momento sui kurdi. Questi grossi gruppi, che ora vivono separati da confini internazionali, rappresentano minoranze all’interno degli Stati che li ospitano dove spesso hanno subito e subiscono tutt’oggi repressioni e vessazioni, hanno tra di loro rapporti piuttosto controversi. Uno pensa che quando si parla di kurdi si intenda un popolo con costume, lingua e tradizioni uniche; la realtà è invece parecchio diversa, a partire dalla lingua che diverge a seconda del posto in cui si trovano e dove sono sempre vissuti. Un kurdo che sta in Turchia, fatica a capire uno che invece sta nel sud del Kurdistan Iracheno, che a sua volta non capisce molto un kurdo che sta nel nord o nell’est della stessa regione. Stessa cosa per la minoranza che vive in Rojava (Kurdistan occidentale in Siria) che non capisce gli altri a partire dai suoi co-etnici che vivono in Iran. Insomma, un bel casino. Poi, come dicevamo, nel frattempo e’ passato un secolo e dunque le distanze si sono acuite. In Turchia, i kurdi subiscono sempre di più il peso della dittatura (non si sa come altro si potrebbe chiamare) e della violenta repressione di Erdogan; il partito di riferimento dei kurdi ed in qualche modo della sinistra, l’HDK (il PKK Partito dei Lavoratori Kurdo di Apo Ocalan è fuori legge e considerato terrorista), pur avendo vinto le elezioni locali in parecchi centri del sud est della Turchia a maggioranza kurda, ha dovuto cedere il governo all’AKP, il partito pigliatutto (o quasi perché’ nei maggiori centri turchi è in minoranza) del nuovo “sultano”. In Siria sono sempre stati vessati e tenuti sotto il giogo dal governo centrale saldamente e da parecchi decenni nelle mani della famiglia Assad, prima con Hafez e ora con il figlio Bashir presidenti della Repubblica; inoltre, recentemente, hanno patito anche l’invasione delle truppe di Ankara che si sono prese buona parte delle loro terre. In Iran, la musica non cambia, il governo centrale li considera come una minoranza pericolosa e da reprimere, cosa che fa piuttosto volentieri. In Iraq, la situazione è decisamente diversa; mentre sotto il regime di Sadam Hussein i kurdi hanno subito le peggiori angherie, una su tutte gli attacchi con armi chimiche che hanno provocato una strage (Halabja nel 1988), ora i kurdi locali, pur vivendo forti contrasti al loro interno (soprattutto tra il clan Barzani e quello Talabani) che hanno provocato anche profonde divisioni tra le due parti, vivono in uno stato di forte autonomia dal governo di Baghdad. Ciò non toglie che il governo centrale determini ancora un forte influenza sia politica che economica sulla regione ed in seguito ad un’insana idea soprattutto di Barzani di conseguire l’indipendenza attraverso un referendum nel 2017, si è pure ripreso Kirkuk tagliando di fatto la metà della produzione di petrolio su cui l’economia del KRG si fonda. Sempre a proposito del governo del KRG (Kurdistan Regional Government), le relazioni con il PKK turco che ha ancora le sue basi nella regione, sono sempre più tese anche perché’ l’economia del KRG e’ strettamente legata agli scambi commerciali con i turchi, vero sbocco del petrolio kurdo e da cui importano quasi tutto.
Tutto sto papocchio per arrivare al punto cruciale del discorso su cui sarebbe bene soffermarsi. I rapporti tra il KRG ed il NES (North East Syria) che potrebbero determinare il futuro almeno di queste due regioni. Per dissipare ogni dubbio, diciamo subito che forse a causa della lingua diversa, forse a causa del secolo che è trascorso dalla divisione del Kurdistan, le relazioni tra le due regioni non godono di buona salute. Anzi, recentemente hanno subito un deterioramento che ha causato la chiusura del valico tra il KRI e il NES, tra Feshkabor e Semalka. Dalla metà di Dicembre il pontone che collega le due sponde del Tigri che stabilisce il confine tra le due regioni, e’ stato bloccato dalla parte irachena a causa di continue manifestazioni che i giovani del partito che governa l’Amministrazione Autonoma del NEs (PYD) organizzavano al confine. Manifestazioni che hanno assunto anche un carattere “deciso” quando i ragazzi hanno scagliato pietre e si sono presentati con bei bastoni davanti agli Asaysh (forze di polizia) iracheni che controllavano il traffico di mezzi e persone in arrivo dal NES . Il motivo delle proteste è ufficialmente dovuto alla mancanza di risposte alla domanda dei giovani di farsi restituire I corpi di quattro combattenti delle YPG, le forze di difesa kudro siriane, che erano stati uccisi durante i bombardamenti turchi in territorio kurdo iracheno, contro il PKK (Partito dei Lavoratori Kurdo turco). E naturalmente contro l’atteggiamento come minimo “lassivo” dei kurdo iracheni nei confronti delle scorribande dell’esercito e dell’aviazione turca in KRG per colpire il PKK. In realtà le cose sono un tantino più complicate; le accuse dei giovani kurdo siriani, non si limitano solo a questo; e vanno un po’ oltre; il fatto e’ che ci sono anche motivi piu’ profondi, di carattere politico e che minacciano di procurare dolorose e profonde fratture all’interno del partito di governo in NES, come si diceva, il PYD. Insomma, problemi di non facile soluzione. Per i turchi, ma non solo, il PKK è nell’elenco delle organizzazioni terroristiche ed il PYD la sua propaggine siriana; di conseguenza, terrorista allo stesso modo. La cosiddetta “rivoluzione del Rojava” si fonda sui principi espressi da Abdullah Ocalan, detto Apo le cui immagini si trovano un po’ dappertutto (anche se meno rispetto a qualche tempo fa) nelle cittadine del NES. Apo è vissuto a lungo in Siria dove ha influenzato parecchio i capisaldi su cui, appunto, si basa l’Amministrazione Autonoma che governa di fatto il NES e che applica quei principi (almeno ci prova) nella regione. E’ ovvio che ciò provoca non pochi mal di pancia ai turchi che hanno pensato bene e in più riprese di invadere buona parte del territorio siriano in cui i kurdi sono maggioranza, ma anche, visto che c’erano, la regione ad ovest di Aleppo dove tutt’oggi sono presenti oppure, più frequentemente, governano tramite i loro alleati. Gente poco raccomandabile ed ancor meno affidabile, più che altro rimasugli di ciò che rimane di Al Qaeda (ad Idlib) e di altre decine di gruppi e gruppuscoli di fanatici integralisti islamici (nel resto dei vasti territori occupati. Gli Usa, che mantengono circa duemila militari nel NES e sono i principali (ma pure loro non troppo affidabili) alleati dei kurdi, stanno cercando un compromesso che possa ricucire i deteriorati rapporti con la Turchia e allo stesso tempo di non lasciare che i kurdi rientrino nell’area di influenza del governo di Damasco, oppure sotto la protezione della Russia. Senza contare poi che la presenza diffusa di Hezbollah e delle milizie iraniane (o filoiraniane), potrebbe rafforzare la cintura sciita vista come fumo negli occhi dagli stessi Usa, o anche dagli Emirati del Golfo e dai sauditi, ma particolarmente da Israele. La soluzione migliore sarebbe rendere la situazione del NES del tutto simile a quella del KRG; grande autonomia dal governo centrale, ottimi rapporti commerciali con la Turchia e magari alleanza stretta con il KRG formando una regione trans nazionale. Sulla carta parrebbe quasi facile, ma un progetto del genere trova ovvie e diffuse difficoltà. Di sicuro, esiste il tentativo di rafforzare il ruolo dell’altro partito del NES, il KNC (Kurdish National Council) che non condivide il legame con il PKK ed è molto più favorevole ad intraprendere rapporto stretti con il PDK (Partito Democratico Kurdo) del KRG. Partito, questo che è da sempre governato dalla famiglia Barzani che provvede a fornire al governo regionale del Kurdistan iracheno sia il presidente che il primo ministro. Va da se’ che il potere dei Barzani non si limita alla politica, ma si espande in tutti i meandri della locale economia. Qui, in NES, la situazione è, per usare un eufemismo, ingarbugliata. L’economia non esiste, qualcosa arriva dal petrolio, quel poco che l’agricoltura poteva fornire è stato messo a dura prova dagli ultimi due anni di pesante siccità che ha compromesso i raccolti di grano riducendoli drasticamente. Il lavoro o non si trova oppure è malpagato. Tutto ciò mette a dura prova la tenuta dei principi a cui l’Amministrazione Autonoma continua a far riferimento ed anche all’interno del partito di governo, le crepe cominciano ad avvertirsi. Insomma, facile dire kurdi, ma poi è necessario capire che l’immaginario di chi vede dall’esterno questa regione differisce nettamente dalla realtà in cui questo popolo vive e in cui le relazioni tra l’una e l’altra parte interagiscono. La sintesi della situazione, metaforicamente, potrebbe essere riassunta dalla chiamata alla preghiera di questo pomeriggio emessa dagli altoparlanti di una moschea vicino a casa, flebile e continuamente interrotta dal mancato funzionamento dell’impianto.