Quella sottile linea gialla
Finalmente. A quanto pare i gazawi riescono a respirare dopo due anni di incubo, di bombardamenti continui, di fame nera, di sete, di impossibilità di farsi curare e di studiare, di continui spostamenti da un’area “sicura” all’altra con l’unica sicurezza che in qualsiasi posto andassero avrebbero trovato l’esercito israeliano pronto a colpirli, di caldo infernale in estate e freddo cane in inverno. In parole povere, di una vita impossibile durante la quale una quantità (è difficile adottare questo termine asettico per contabilizzare i morti) ancora imprecisata di persone, in prevalenza donne e minori, sono stati assassinati e migliaia di loro sono stati portati a forza nelle carceri israeliane dove secondo le testimonianze dei rilasciati hanno subito ogni tipo di violenze. Sarà per qualcuno persino noioso ribadire che i 68.000 deceduti registrati dal ministero della salute palestinese sono solo quelli, appunto, accertati ma che altre migliaia, alcuni dati parlano di 200.000 morti, la gran parte dei quali sono tutt’ora sotto le macerie dei palazzi e delle case ridotti in briciole.
Intanto e secondo “il piano Trump” tutti i venti ostaggi israeliani ancora vivi sono stati liberati e consegnati alle autorità israeliane, mentre 1.700 palestinesi sono tornati più o meno a casa, un po’ a Gaza e altri in Cisgiordania. La maggior parte di loro erano stati arrestati negli ultimi due anni. Ancora migliaia di detenuti sono ad oggi ospiti delle galere israeliane in condizioni disumane come si può constatare dalle immagini agghiaccianti di Marwan Barghouti rilasciate dalle tv di Tel Aviv; buona parte di loro in condizione di “detenzione amministrativa.” Significa che non esiste alcun capo di accusa nei loro confronti e che per sei mesi rimarranno lì; se poi il giudice militare lo vorrà, saranno dimessi, altrimenti per altri sei mesi saranno trattenuti in galera. E così di sei mesi in sei mesi. Altri 150 pluricondannati detenuti nelle carceri dello Stato ebraico sono invece stati spediti in Egitto senza avere il diritto di rientrare a casa loro. Cosa faranno ancora non è chiaro, ma certo è che gli egiziani non muoiono dalla voglia di tenerseli; si vedrà.
Rimane in sospeso la questione degli ostaggi deceduti che secondo gli accordi devono essere restituiti al più presto, cioè appena saranno identificati i luoghi in cui sono stati sepolti. In questa situazione di distruzione metodica e assoluta riuscire a trovare quei posti (peraltro molti dei quali sotto il controllo di dell’esercito di Israele) è missione esageratamente complicata anche tenendo conto che lo stesso Israele, contrariamente agli accordi, non fa entrare i mezzi necessari per rimuovere le macerie sotto le quali giacciono quei corpi. Tutte le fonti maggiormente attendibili (persino Trump) affermano che i tempi di recupero saranno lunghi, settimane, forse mesi. Solo Netanyahu e complici si arrampicano sull’interpretazione di questo punto dell’accordo, sostenendo che Hamas non rispetta quanto sostenuto nel documento ma senza tener conto che esiste un paragrafo in cui risulta chiaro che potrebbero esserci problemi nel recuperare quelle salme. In ogni caso e appellandosi sostanzialmente a bugie e a meccanismi farraginosi, i 600 camion di aiuti che quotidianamente dovrebbero entrare a Gaza diventano nella migliore delle ipotesi la metà, spesso un quinto. Inoltre il valico di Rafah, principale accesso a Gaza, rimane chiuso.
Ma veniamo alla linea gialla, quella oltre la quale dovrebbe essersi ritirato l’esercito israeliano. Si tratta di una linea teorica e definita solo sulle carte, quelle che forse e solo i militari conoscono, quelli israeliani ovviamente. Vallo a spiegare a quelle decine di migliaia di palestinesi che cercano di rientrare nelle aree in cui vivevano dove è persino difficile individuare le strade in cui sorgevano le loro abitazioni. Non è che ci siano barriere o fili spinati o qualsiasi altra diavoleria a delimitare gli spazi tra le zone in cui si può transitare e quelle in cui, se per caso ti azzardi ad oltrepassarle di un centimetro, ti sparano con un drone o un carro armato come successo a Zeitoun (Gaza city). Undici persone ammazzate all’interno di un pulmino in cui una famiglia era alla ricerca di ciò che forse rimaneva delle loro proprietà. Sette minori, tre donne e un uomo che secondo Tel Aviv erano “terroristi” di Hamas. Da quando la tregua, che generalmente tiene, è iniziata, sono già state ammazzate una cinquantina di persone nella Striscia; sempre terroristi evidentemente.
Nel frattempo anche l’esercito israeliano sta restituendo i corpi dei prigionieri (non sono forse ostaggi pure quelli?) palestinesi la maggior parte dei quali non si riesce più ad indentificare a causa della decomposizione e delle evidenti torture che hanno subito durante la loro detenzione nella maggior parte dei casi illegale. Il mondo si era scandalizzato quando Hamas aveva “postato” le foto di alcuni ostaggi evidentemente ridotti alla fame. La stessa fame condivisa dalla quasi intera popolazione di Gaza. Non si scandalizza ora per le condizioni di quei corpi e dei prigionieri palestinesi restituiti per fortuna vivi secondo gli accordi previsti dalla tregua, ma in condizioni penose. Dicevo quasi tutta la popolazione di Gaza ridotta alla fame, perché come capita sempre in queste situazioni, la stragrande parte della gente non ha di che mangiare, ma una ristretta minoranza, generalmente in combutta con gli assedianti, fa soldi a palate con il mercato nero. Succedeva a Sarajevo e in mille altri posti; è la triste realtà anche in Palestina.
A proposito degli aiuti umanitari e della Flotilla, la nostra prima ministra ha sostenuto che il governo italiano è stato in grado di far arrivare migliaia di tonnellate di merci in Palestina; ci dicesse come ha fatto, perché se così fosse, molti altri potrebbero fare altrettanto e la gente di Gaza probabilmente non sarebbe ridotta in quello stato.
Ora che i guerriglieri di Hamas e delle altre milizie sono riapparse dai loro ripari, si assiste ad una resa dei conti spiccia, violenta e spietata. Anche questo fa parte della normalità di una guerra, di un assedio crudele in cui non c’è nulla, ahimè, di cui meravigliarsi se chi rappresenta in qualche modo l’autorità non si fa eccessivi problemi ad eliminare coloro (sostenuti dall’occupante) che hanno approfittato impunemente della miseria dei più per arricchirsi e che rappresentano un serio pericolo al controllo del territorio. Si può se si vuole discutere sul metodo ma non sulla legittimità di quelle azioni. Fino a prova contraria, Gaza necessità di operazioni di polizia e queste non possono essere garantite che da Hamas.
Comunque sia, questa tregua sta già mostrando tutti i suoi limiti e che Israele sta soffiando sul fuoco dall’alto della sua posizione e della superiorità militare del suo esercito. Persino Trump è riuscito a sostenere che recuperare i corpi degli ostaggi ancora sotto chissà quali macerie è impresa difficile e non sempre possibile, soprattutto nei tempi che Israele vorrebbe imporre. Certo è che abbiamo imparato a conoscere quell’individuo e la sua affidabilità.
Vedremo da qui in avanti cosa succederà, ma anche se l’esercito di Tel Aviv si ritirerà dalla linea gialla, ce n’è un’altra già pronta, quella rossa e poi ancora quella definitiva, ma che blinderà tutti i confini della Striscia. Dal suo interno e da cui non è previsto si ritirerà.
Nel frattempo e per non perdere l’abitudine, Israele continua a bombardare il sud del Libano ormai ridotto a macerie. C’è Hezbollah, sostiene. Peccato che con Hezbollah avrebbe anche firmato una tregua nel Novembre scorso senza mai peraltro rispettarla.
E la chiamano pace…
Docbrino




