Querelle stadio Friuli rischia di finire male per i cittadini. L’udinese minaccia di andarsene e la politica immobile e inutile cerca responsabilità attuali e storiche

La vicenda dello stadio di Udine non appassiona. Da qualsiasi lato si guardi la vicenda c’è da rabbrividire per il livello complessivo della classe dirigente, sia essa politica che “sportiva” e questo vale da tempo. Del resto che quell’accordo di cessione per 99 anni da parte del Comune di Udine sembrava novità anomala era palese fin da quando fu stipulato 9 anni fa. Dubbi di opportunità più che di legittimità perchè l’immagine conta e di questo bisognava tener conto e l’idea di vincolare un bene pubblico per quasi un secolo, quando tutti gli attori degli accordi saranno passati a miglior vita, appariva già allora, per la sua durata smodata,  uno strappo insostenibile. Ma poi con le criticità che ogni attività umana italica si porta dietro la questione sembrava superata se non altro dalla realtà dei fatti. Ora però dopo la doccia fredda della ennesima delibera Anac, sembra si voglia riportare l’orologio indietro di anni, sommando errore ad errori. Infatti ora l’Udinese si dichiara pronta a lasciare la Dacia Arena alias Stadio Friuli  e a chiedere un rimborso da oltre 48 milioni di euro. I rilievi dell’Autorità Nazionale Anticorruzione in merito alla procedura di cessione del diritto di superficie dello stadio Friuli per 99 anni da parte del Comune di Udine ha portato insomma  alla dura reazione del club bianconero, che ha già annunciato ricorso nelle sedi opportune, ma ha anche paventato la possibilità di richiedere la risoluzione anticipata del contratto che dal 2013 è gestito direttamente dalla società friulana. E per dimostrare di fare sul serio ha avviato contatti con il Comune di Pasian di Prato per ridare vita al progetto di un nuovo stadio in quel comune dell’hinterland udinese, fuori dalle influenze di palazzo D’Aronco. Una reazione sanguigna alla quale pochi credono ma che alla fine, in logica “celodurista”, potrebbe portare al disastro. Ma vediamo quale è l’oggetto del contendere, in estrema sintesi per l’Anac lo stadio su cui il club ha investito resta un bene pubblico e quindi ogni passaggio e possibilità di sviluppo deve necessariamente passare dal filtro di questa qualificazione giuridica, quindi a comandare resta il Comune e non a società con tutte le lungaggini e gli impedimenti che tale logica si porta dietro e che secondo la società della famiglia Pozzo diventa un insopportabile blocco dello sviluppo delle attività complementari.
Così il provvedimento dell’Autorità anticorruzione è diventata oggetto di un braccio di ferro politico per un nuovo inquadramento istituzionale. Applicando la delibera alla lettera infatti si potrebbe arrivare a una revisione delle competenze e dei poteri poiché quanto previsto dal contratto di concessione del diritto di superficie (che ha sostituito una convenzione del 2011) non si esaurisce «con l’alienazione del diritto di superficie verso la ristrutturazione» ma comprende «anche ulteriori elementi tra cui la gestione dello Stadio, principale prestazione richiesta in sede di gara”. Sempre nella stessa delibera, l’Anac «rileva l’omesso controllo dei lavori di manutenzione annuale per un ammontare di 250mila euro annui, a carico della società, per tutta la durata del diritto di superficie» e l’inadempimento contrattuale «per la mancata presentazione di una legittima garanzia verso l’assolvimento di tutti gli obblighi relativi ai lavori di manutenzione straordinaria per un ammontare di 250mila euro annui e del pagamento del corrispettivo dilazionato a valere sul corrispettivo per la cessione del diritto di superficie». Sia il Comune che l’Udinese sono invitate a comunicare all’Autorità le determinazioni assunte per rimuovere le illegittimità o irregolarità entro 45 giorni. Ma quello di questi giorni non è il primo intervento dell’Anac sullo stadio, già il 17 giugno 2015 l’autorità si era pronunciata in merito all’iter, rilevando il mancato rispetto di «prescrizioni in tema di concessioni di lavori, stante l’assenza, in particolare, di un’analisi di convenienza economica dell’operazione da parte dell’amministrazione» e il mancato esercizio da parte del Comune di «un adeguato controllo sulla corretta esecuzione delle prestazioni demandate all’aggiudicatario». Inoltre «non è stato effettuato un confronto concorrenziale» e «la nomina a responsabile del procedimento per Udinese Calcio S.p.A. di un dirigente comunale appare connotata da profili di incompatibilità». Tale deliberazione è relativa al fascicolo 120 del 2014, sul contratto tra l’Udinese e il Comune di Udine per la ristrutturazione dell’impianto. Il documento, firmato dall’allora presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, specifica come la procedura scelta dall’amministrazione comunale sia «risultata comunque rispettosa del principio di concorrenza» e che la violazione fosse «di carattere prevalentemente formale». Ma per questa possibile violazione formale, il club non è riuscita a sviluppare appieno tutto il potenziale del nuovo impianto. Lo stadio Friuli (o Dacia Arena, ma anche sulla cessione dei namingh rights ci sono rilievi da parte dell’Anac) ristrutturato nel 2016 e sul quale il Comune di Udine ha concesso un diritto di superficie per 99 anni valeva a costo storico 6 milioni, mentre con perizia di supporto come previsto dal dal Decreto Agosto (Dl 104/20) nell’ultimo bilancio questo valore è stato aggiornato a circa 50 milioni. Lo sfruttamento dell’impianto peraltro è ancora parziale, nonostante siano pronti investimenti per oltre 10 milioni per una clinica, bar, ristoranti, strutture sportive e scolastiche da realizzare nelle aree sottostanti le tribune. Ma da due anni la procedura di autorizzazione era sospesa in attesa di risolvere la querelle amministrativa sull’assegnazione dell’impianto. L’Anac, però, paradossalmente almeno su questo punto invita il Comune a chiudere quanto prima la procedura di autorizzazione avviata in base alla legge n. 147 del 2013. Insomma un pasticciaccio italiano in piena regola sul quale pesano anche “dispetti” politici. Infatti lo Stadio di Udine viene considerato un gioiello e l’intera operazione un successo (al netto dei 99 anni francamente eccessivi) di collaborazione fra pubblico e privato additato come esempio da seguire. Se non fosse che artefice dell’operazione fu l’allora sindaco di centrosinistra Furio Honsell e che oggi con il comune in mano leghista si è fatto di tutto per minare il perfezionamento della operazione. E come se un coniuge separato decidesse di perdere volutamente il lavoro (e morire di fame) per non pagare gli alimenti al coniuge. Così ora si è a braccio di ferro con il club friulano che non ci sta e in una nota spiega: «Questa decisione giunge anche a seguito delle pretestuose e reiterate contestazioni subite in questi ultimi anni». Per questo, prosegue la nota, il club della famiglia Pozzo «chiederà il rimborso di 48.530.000 euro, somma pari alle spese sostenute per i lavori di abbattimento e ristrutturazione dell’impianto. «Se si ritiene che il problema sia l’Udinese – ha dichiarato Alberto Rigotto, direttore amministrativo del club bianconero – noi siamo pronti a togliere il disturbo. L’Udinese non andrebbe a chiedere alcun risarcimento né interesse ma solamente il rientro di quelle somme che sono state anticipate. Parliamo di circa 48,5 milioni. Crediamo che la misura sia colma nell’ambito del perdurare di questi atteggiamenti di chi sembra che non stia riconoscendo quanto è stato fatto in questi anni. Ci sono amministrazioni comunali limitrofe che hanno sempre assicurato di accoglierci a braccia aperte e noi siamo disposti a rifare degli investimenti importanti in altre località. Siamo già in contatto, come lo eravamo in altri tempi, con altri comuni per poter rifare – anche celermente – l’impianto altrove. Non si tratta di una boutade ma di ragionamenti approfonditi e già attuati in passato. Credo sia a questo punto legittimo, da parte nostra, immaginare un percorso alternativo».
In serata di oggi a completare l’ennesima puntata di questa commedia più comica che tragica, arriva una nota dell’ex sindaco di Udine Furio Honsell, oggi consigliere regionale:
“Lo Stadio dell’Udinese a Udine è il simbolo monumentale di come possa essere efficace l’intesa pubblico-privato quando entrambi hanno come obbiettivo il prestigio di un territorio. E nessun pronunciamento di chicchessia può togliere questo successo! Chiosa Hosell, l’attuale amministrazione comunale di Udine, dovrebbe quindi adoperarsi per quanto le compete, affinché l’Udinese possa completare l’opera di riqualificazione delle zone ancora a grezzo sotto le gradinate, così come previsto dalla legge Delrio, e approvato nella conferenza di servizi.
Rattrista molto invece vedere che dopo aver rallentato tale processo senza motivazione, fino quasi a fermarlo, l’attuale amministrazione a fronte di un pronunciamento dell’ANAC, che di fatto sprona il Comune proprio a perfezionare tale iter burocratico, rischia invece che l’Udinese, esasperata, si trasferisca altrove!
Se ciò avvenisse sarebbe un durissimo colpo al prestigio della città, che si dimostrerebbe incapace di ospitare una squadra di serie A, cosa che tutte le altre città di pari dimensioni non osano nemmeno sognare.
Sarebbe un pesante fallimento politico, sportivo, turistico ed economico.
La questione del nome dello stadio è una non-questione perché il nome non solo non è mutato, ma solo grazie alla ristrutturazione avvenuta nel 2015 adesso è scolpito nella pietra invece che solo sulla carta.”
“Intendiamo presentare in Consiglio Regionale una mozione che auspichi una ritrovata serenità sportiva a Udine nella soddisfazione di quanto è stato fatto e quanto ancora si può fare per portare alto nel mondo il nome del Friuli nel Calcio”.