La strage continua: Stroncata nella notte da una esplosione in fabbrica la vita di un ventiduenne alla Stm di Maniago

Nella notte appena passata abbiamo perso un ragazzo, Daniel Tafa, un giovane lavoratore di appena 22 anni residente a Vajont. E’ morto a Maniago alla Stm mentre stava facendo il suo lavoro travolto da una esplosione, forse di un macchinario o più probabilmente di uno stampo, dato che l’azienda è specializzata nello stampaggio di ingranaggi industriali. Secondo una prima ricostruzione erano le due di notte quanto l’esplosione l’ha investo e le schegge l’hanno colpito alla schiena. Soccorso dai colleghi di lavoro e poi dai sanitari di automedica e ambulanza, giunti sul posto, la situazione è apparsa subito gravissima, hanno tentato di rianimarlo mentre è giunto anche l’elisoccorso. Ma per il giovane non c’è stato nulla da fare e i sanitari hanno dovuto dichiarare il decesso. Una tragedia che colpisce nel profondo anche per la giovanissima età della vittima, ma diciamolo con l’amarezza di chi per mestiere è costretto a tenere il conto di questa guerra chiamata “lavoro”. In realtà il dolore non basta non dovrebbe bastare, eppure siamo certi che dopo la prima ondata di sdegno, prevarrà la logica del più forte e alla fine anche questa è l’ennesima morte sul lavoro passerà sotto silenzio. Dall’inizio del 2025 sono oltre 60 i lavoratori che in Italia hanno perso la vita lavorando, ma difficilmente alla fine dei farraginosi procedimenti giudiziari qualcuno pagherà per davvero o almeno in maniera commisurata alla gravità degli eventi. Certo esistono anche gli incidenti visto che il rischio zero non esiste e per questo le indagini faranno il loro corso per accettare eventuali responsabilità ma la realtà è che la sicurezza è vista come un costo e in quanto tale da limitare per restare sul mercato o peggio per aumentare i profitti. Ma a quale prezzo? Certo servono più controlli, maggiore formazione e prevenzione, ma quello che manca per davvero è una cultura del lavoro diversa che rimetta al centro la dignità delle persone e il valore della loro vita, non il profitto a ogni costo. Temiamo però sia una battaglia persa perché mentre a caldo a ridosso degli event luttuosi tutti si stracciano le vesti, poi prevalgono ben altre logiche e la politica che non può tirarsi fuori dalle responsabilità continua a consentire, anzi in qualche caso promuove, il sistema degli appalti al ribasso e dei subappalti. Inutile dire che ogni morte sul lavoro rappresenta un fallimento per tutta la nostra società o almeno così dovrebbero percepirla le persone oneste, ed invece stipendi bassi, precarietà dilagante e logiche tese al profitto smodato, sono la sconfitta di tutto ciò che dovrebbe rappresentare il lavoro per le persone. Ed ecco che quasi silenziosamente, in Italia, avvengono tre morti sul lavoro al giorno riportando alla freddezza dei numeri quelle che invece sono tragedie assolute per le famiglie che perdono i loro cari e spesso anche la fonte di sostentamento. Verrebbe da chiedersi, quanto dobbiamo aspettare ancora,  quanti lavoratori o lavoratrici dovranno nel frattempo perdere la vita affinché questa strage venga affrontata con l’attenzione che merita come una vera emergenza nazionale. Purtroppo da cronisti non possiamo che prendere atto che, calato il clamore emozionale, tutto tornerà alla “normalità” perché prevarrà la logica del più forte e che quelle morti altro non sono che il tributo sacrificale sull’altare del capitalismo.