Suicidi di detenuti in carcere. Honsell: fatti di gravità inaudita

“Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”, diceva Voltaire. Una verità scomoda anche in Friuli. Lo segnala il consigliere regionale di Open Fvg Furio Honsell: “La notizia che alcuni giorni fa altri due detenuti hanno tentato il suicidio nella casa circondariale di Udine, meno di un mese dopo il suicidio di un giovane detenuto in isolamento, è un fatto gravissimo. Oltre all’elogio agli agenti della polizia penitenziaria che grazie alla prontezza del loro intervento hanno evitato altre due tragedie, va richiesta a gran voce a tutte le istituzioni statali, regionali e comunali un maggiore impegno. Il carcere di Udine è sovraffollato da decenni ormai, con un numero di detenuti quasi il doppio della capienza. Mancano personale di polizia, educatori e assistenza psicologica per i più fragili. Non è possibile fare ricadere su così pochi lavoratori un onere che è di tutta la comunità. È scandaloso che nella finanziaria del governo Meloni ci siano stati dei tagli proprio al sistema carcerario, quasi si volesse enfatizzare il ruolo punitivo e non quello rieducativo. Ma anche il governo regionale deve farsi carico della salute fisica e mentale dei detenuti. È compito della Regione e anche del Comune promuovere la salute di tutte le persone che a vario titolo dimorano sul proprio territorio. Occuparsi delle condizioni nelle carceri è un dovere di civiltà ma è anche una responsabilità. Il valore di una vita è sempre inestimabile.” Così si è espresso Furio Honsell di Open Sinistra FVG. E come dargli torto, se poi ai datti del carcere di Udine aggiungiamo quelli nazionali la situazione da drammatica diventa incredibile. Ad occuparsi della situazione è da molti anni l’associazione “Antigone” che pubblica periodicamente un rapporto, l’ultimo, con dati aggiornati al giugno scorso disegna una fotografia  inaccettabile per un paese civile. Eppure la strada per una giusta detenzione la indica la Costituzione all’art.27: le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Ed invece il tasso di affollamento nazionale della popolazione carceraria rende la situazione ingestibile. Secondo i dati  del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) aggiornati al 30 giugno 2022, è del 107 % ma, se si considerano i posti non disponibili, sale al 112%: in 25 carceri, poi, il tasso di affollamento supera il 150 %, con un picco del 190 % a Latina e Milano San Vittore. L’Italia si conferma, pertanto, tra i Paesi con le carceri più affollate dell’Unione Europea. Il rapporto di Antigone evidenzia anche  l’aumento della percentuale di detenuti ultrasettantenni (da 0,9% a 2%); l’aumento del numero dei bambini reclusi con le loro madri (25 sono sotto i tre anni); l’aumento delle presenze nelle carceri minorili; l’allocazione della componente straniera, solitamente in Sardegna, con le conseguenti difficoltà in termini di reinserimento. Per quanto, invece, riguarda le fattispecie di reato, i dati riportati al 30 giugno 2022 evidenziano il primato di persone detenute per reati contro il patrimonio (31.385) seguiti da quelli contro la persona (23.815), mentre si mantiene sempre molto alto il numero di persone detenute per violazione della legge sugli stupefacenti (19.056): un intervento su tale legge sarebbe auspicabile, secondo l’Associazione Antigone, proprio in funzione di una possibile riduzione della popolazione detenuta.

Custodia cautelare e ingiusta detenzione
Quanto al titolo della carcerazione, nel 29 % dei casi questo è costituito dalla custodia cautelare e, pertanto, riguarda soggetti che sono ancora in attesa di giudizio: ciò significa che vi è un considerevole ricorso alla custodia cautelare rispetto alle altre misure restrittive della libertà personale, dato preoccupante se si considera l’elevata percentuale di ingiusta detenzione: a riguardo mette conto di rilevare che nel 2021 lo Stato ha pagato a titolo di indennizzo 24.506.190 euro (nel 2020 erano stati 36.958.291) per 565 indennizzi (750 nel 2020), per una cifra media di 43.374 euro per indennizzo (nel 2020 la cifra media era stata di 49.278 euro): «24 milioni possono in effetti sembrare molti – osserva l’associazione – ma il numero degli indennizzi riconosciuti è in effetti piuttosto basso».

Attività trattamentale e carenze
Venendo alle possibilità che si aprono all’interno del carcere l’Associazione dà conto del fatto che lavori poco più di un terzo della popolazione detenuta, e che nel 2021 si siano laureati solo 19 detenuti: ciò, nonostante il lavoro e l’istruzione costituiscano un’attività trattamentale fondamentale per le persone detenute perché possono rappresentare una via d’uscita dai percorsi di criminalità. Lo staff penitenziario è sotto organico, mancano molti educatori e in alcune regioni un solo direttore gestisce due o più carceri.

Suicidi in carcere
Il dato certamente più drammatico, tuttavia, è rappresentato dall’elevato numero di suicidi, nel solo primo semestre del 2022: ben 38, il che significa oltre 1 ogni 5 giorni.

Delle 38 persone che si sono tolte la vita in carcere nel 2022, diverse si trovavano in carcere solo da poche ore. Altre erano invece destinate a lasciarlo a breve, essendo vicine al fine pena o trovandosi in procinto di uscire in misura alternativa.

Secondo gli ultimi dati del Consiglio d’Europa, l’Italia si colloca al decimo posto tra i paesi con il più alto tasso di suicidi in carcere.

Dalle storie di queste persone emerge come vi fossero alcune situazioni di probabili disagi psichici.

E del resto i numeri continuano a fotografare il carcere come “psico-patogeno” dove il disagio psichico, diagnosticato e non, è diffuso, capillare e omogeneo sul territorio nazionale

E allora non rimane che prendere coscienza del fatto che se ogni suicidio ha una storia a sé, fatta di personali sofferenze e fragilità, numeri così alti non possono non indurre ad uno sguardo d’insieme come un indicatore di malessere di un sistema che necessita profondi cambiamenti.

La strada la indica la Costituzione: le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato (art. 27).