Tante parole, tanto allarme, ma sul tetto al prezzo del gas non c’è accordo tra i ministri europei
A voler vedere il bicchiere mezzo pieno rimane uno spiraglio, i ministri dell’Energia dell’Unione europea hanno deciso di dare mandato alla Commissione europea perché metta nero su bianco entro la prossima settimana le misure di emergenza illustrate per affrontare la terribile crisi energetica, ma il provvedimento principe, il tetto al prezzo del gas resta fuori, almeno per ora dalla lista delle “cose da fare”. Il motivo non è solo che non tutti i paesi sono a favore, ma che le pressioni delle lobby dell’energia si fanno ancora sentire in maniera fortissima e ricattatoria, tanto che le posizioni dei “ventisette” sono molto variegate, legate agli interessi nazionali e al peso che gli “investitori” dell’energia hanno nei singoli paesi e nelle loro strutture bancarie e finanziarie. In sostanza c’è chi rifiuta qualsiasi intervento, chi sostiene l’idea di un tetto solo al gas russo e chi preferirebbe un tetto generalizzato su tutto il gas importato in Europa, per nave o per gasdotto. Che vorrebbe dire mettere fuori gioco soprattutto le importazioni a stelle e strisce. Fin qui la cronaca, ma in realtà per capire bene le dinamiche speculatorie bisogna analizzare il “mercato” del gas fra regole e trasparenza. Bisogna dire che i prezzi vertiginosi del gas non sono relativi, se non i minima parte ai costi di estrazione e pompaggio, ma al fatto che un manipolo di speculatori, forti dell’appoggio di migliaia di “investitori” più o meno palesi, hanno deciso di cavalcare le contraddizioni energetiche europee e lo sbilanciamento miope fatto da alcuni paesi nei confronti del mercato russo. Certo il gas di Putin era in passato il più conveniente ma oggi si pagherà il differenziale con gli interessi. Il gas è diventato l’arma più potente in mano al dittatore Putin per ricattare e strangolare le economie europee. I prezzi che stanno sconquassando l’Europa però, e questo è il paradosso, non si formano a Mosca ma nell’occidentalissima Olanda, alla Title Transfer Facility, una realtà più comunemente nota come TTF o Borsa del gas. Quando si parla di “borse” nell’immaginario collettivo si intendono quelle classiche che trattato titoli, ma in realtà le “borse” sono tante. Oltre alla citata TTF vi sono altre strutture simili che in teoria avrebbero lo scopo di far fare incontrare produttori e acquirenti, affinché possano accordarsi su prezzi e consegne dei prodotti oggetto delle loro trattative, ma che in realtà si tramutano in enti speculatori in mano a poche persone dai grandi interessi interconnessi. E’ la stortura del libero mercato, è il “capitalismo bellezza” verrebbe da dire parafrasando una celebre battuta cinematografica. Le borse in realtà sono molte, ciascuna con la propria specificità: quella di Londra per i minerali, quella di Chicago per le granaglie derrate agricole e quella di Amsterdam appunto per il gas. La loro storia è antica, risale a fine Ottocento, quando questi enti regolatori erano però frequentati soprattutto da produttori, grossisti e imprese di trasformazione. Il loro scopo era quello di emarginare, udite udite, tentativi di monopolio e speculazioni. Paradosso, oggi sono invece quelle che favoriscono le speculazioni drogando l’offerta di prodotto e i prezzi. Con il passare del tempo si sono popolate soprattutto di soggetti interessati non a vendere o comprare, ma solo ad ingaggiare scommesse a brevissimo termine sull’andamento futuro dei prezzi il tutto con movimenti virtuali di capitali. Il problema che questa attività speculativa, è diventata così ampia, se non preminente, da avere spostato il centro gravitazionale della formazione dei prezzi. Se infatti in condizioni normali i prezzi sono determinati dagli operatori di scambi reali che costringono gli speculatori al ruolo di piccoli opportunisti, quando prevale la finanza e questa è composta dallo spostamento digitale di numeri, la situazione si rovescia ed è la speculazione a determinare i prezzi e gli operatori di scambi reali devono adeguarsi o perire. Da queste dinamiche nasce l’ottovolante dei prezzi che rischia di mettere in ginocchio le attività produttive. Tornando alla vicenda del gas la borsa di Amsterdam nata nel 2003, fra l’altro su base totalmente telematica, è stata fortemente sponsorizzata dal governo olandese che voleva fare del proprio paese una piattaforma commerciale del gas a livello europeo. Operazione riuscita, approfittando di tre elementi favorevoli. L’Olanda è produttrice di gas, è crocevia di una fitta rete di gasdotti che la collega al tempo stesso a paesi produttori, come Norvegia, Russia, Gran Bretagna e a paesi consumatori, come Germania, Belgio, Francia e ultimo attore, dispone delle infrastrutture necessarie a ricevere e immagazzinare LNG, il gas liquefatto che viaggia via nave. Il problema è che in maniera miope alcuni paesi, Gemania in testa, ma soprattutto la Ue, che si preoccupa spesso della mitica lunghezza delle sardine o del calibro delle vongole, hanno lasciato fare pensando probabilmente che la situazione geopolitica fosse stabile. Errore di valutazione che oggi si paga. Sarà difficile quindi, senza una azione di “forza” che l’Olanda e i suoi alleati mollino l’osso. Sarà una partita tutta da vedere, la necessità di mettere un tetto al prezzo del gas per alcuni paesi equivale alla sopravvivenza. Sarà da aspettare metà mese per capire se la Commissione Europea riuscirà a prendere in mano la situazione, non solo mettendo il tetto al prezzo, ma promuovendo una riforma profonda del sistema delle borse, per limitare le bizzarrie dei prezzi e tagliare così gli artigli agli speculatori, che come abbiamo già avuto occasione di ricordare, non sono esseri astratti, ma hanno nomi, cognomi e cariche. Questi signori e chi li sostiene, dovrebbero capire che mettere a repentaglio la vita dei più deboli, che il principale effetto della speculazione, mette in discussione la tenuta stessa delle società, si potrebbero generare facilmente ondate di violenza. E in questo caso gli speculatori dovrebbero avere più paura dei popoli inferociti più che di una giustizia che sono riusciti spesso a drogare con il denaro. Come dire: a tirare troppo la corda questa si potrebbe spezzare.