Trasmissione Report trattata come fosse un ufficio pubblico. Tar del Lazio ordina di rivelare le fonti dell’inchiesta su un avvocato vicino alla Lega
Una sentenza che farà discutere molto perchè lede fortemente il principio della libertà di stampa è stata emessa dal tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio. Nella sentenza viene ordinato alla redazione della trasmissione televisiva Report di concedere l’accesso alle fonti utilizzate per realizzare un’inchiesta giornalistica sull’avvocato Andrea Mascetti, considerato vicino alla Lega e al presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana. A ottobre 2020 Report aveva mandato in onda un servizio intitolato “Vassalli, valvassori e valvassini” che indagava sugli appalti pubblici in Lombardia e tra le altre cose citava alcune consulenze date a Mascetti da enti locali amministrati da esponenti della Lega. Nella sentenza del TAR si legge che Mascetti aveva chiesto di accedere a tutto il materiale informativo, in particolare «tutte le richieste rivolte dai giornalisti e dalla redazione di Report, tramite e-mail o con qualsiasi mezzo scritto o orale, a persone fisiche ed enti pubblici (Comuni, Province, ecc.) o privati (fondazioni, società, ecc.), per ottenere informazioni e/o documenti riguardanti la persona dell’avv. Andrea Mascetti e la sua attività professionale e culturale». Nonostante questo, nella sentenza si legge anche che Mascetti aveva chiesto di acquisire la «documentazione su cui si è fondata l’iniziativa editoriale» e non l’identità delle fonti. Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, ha detto che le fonti non saranno rivelate e ha definito la sentenza del TAR “gravissima”. «Viola la Costituzione, viola la libertà di stampa. Una sentenza miope che paragona il lavoro giornalistico a degli atti amministrativi», ha detto Ranucci. «Report non svelerà le proprie fonti, non darà gli atti a Mascetti, non lo faremo neppure da morti. Devono venire a prenderli con l’esercito». La Rai ha annunciato che ricorrerà al Consiglio di Stato contro la sentenza del TAR. Sconcerto anche dal sindacato giornalisti che hanno emesso una nota congiunta, Federazione nazionale della Stampa italiana e Usigrai. «La sentenza del Tar del Lazio che autorizza l’accesso agli atti di Report apre un precedente pericolosissimo. Rispettare le sentenze, non vuol dire non poterle criticare. E anzi sono l’occasione per chiedere nuovamente a governo e parlamento la necessità di un chiarimento urgente sulla natura giuridica della Rai». «I giornalisti che fanno informazione in Rai – aggiungono – non possono essere paragonati a funzionari della Pubblica Amministrazione. Pertanto le norme sull’accesso agli atti devono soccombere di fronte al diritto/dovere del giornalista di tutelare le proprie fonti. Altrimenti nei fatti si azzererebbe qualunque possibilità per i giornalisti Rai di fare il proprio lavoro, e ancor di più di fare giornalismo investigativo, così come nei doveri del Contratto di Servizio». La sentenza del Tar del Lazio, concludono Fnsi e Usigrai, «condanna nei fatti il giornalista Rai a essere un giornalista di serie B. Siamo certi che la Rai farà appello con urgenza in Consiglio di Stato». La sentenza è sconcertante perchè contraddice pesantemente gli orientamenti nazionali ed internazionali, infatti è unanimemente riconosciuto il fatto che giornalisti e perfino editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie. Non si tratta di scelta ma di obbligo etico e deontologico. Ma c’è di più, oltre che dalle normative italiane, il segreto professionale è tutelato soprattutto dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (legge 4 agosto 1955 n. 848) e dalle successive sentenze Goodwin, Roemen e Tillack della Corte di Strasburgo dei diritti dell’uomo. La Convenzione europea tutela espressamente le fonti dei giornalisti, stabilendo il diritto a “ricevere” notizie senza rivelarne le fonti, inoltre a rafforzare il concetto è arrivata la sentenza depositata il 6 ottobre 2020 nella causa Jecker c. Svizzera (ricorso n. 35449/14), la Corte europea dei diritti dell’uomo ha fissato un ulteriore tassello per rafforzare la libertà di stampa, questa volta attraverso la protezione della confidenzialità delle fonti. Con la pronuncia in esame, infatti, la Corte ha accolto il ricorso di una giornalista stabilendo che, in via generale, l’articolo 10 della Convenzione europea, che assicura la libertà di espressione, compresa, quindi, la libertà di stampa, include la protezione del giornalista in ogni fase della sua attività e con riguardo agli strumenti che servono a garantire l’effettivo esercizio della libertà di stampa, come la tutela della segretezza delle fonti, che svelano notizie al giornalista con garanzia dell’anonimato. Per la Corte, inoltre, gli Stati non possono obbligare un giornalista a rivelare la fonte malgrado ciò potrebbe essere utile all’autorità giudiziaria per individuare l’autore di un reato.