Tre anziani morti in solitudine a Udine in pochi giorni. L’abbandono sociale in vita e nella morte, inaccettabile vortice collaterale di una “civiltà” cinica ed egoista

C’è modo e modo di morire anche se il risultato finale non cambia, ma lasciare questo mondo in solitudine e rimanere per giorni dimenticato a decomporsi non è civilmente accettabile e dovrebbe smuovere le coscienze di tutti. Tre gli ultimi episodi accaduti nel capoluogo friulano che evidenziano quella che è una emergenza che non si può ignorare. Veniamo ai fatti. Un uomo di 62 anni è stato trovato morto nella sua abitazione di Via della Roggia. Ad allertare i soccorsi sono stati i vicini dopo aver sentito un forte odore provenire dall’interno della palazzina di via della Roggia. Appena martedì scorso, nella loro casa di via Bariglaria, erano stati trovati morti Ivan Cozianin, 77 anni, e la compagna 83enne Tatjana Bencan, una vicenda ancora più drammatica dato che dai primi accertamenti medici legali pare che l’uomo sia morto per primo mentre la donna,  invalida e allettata, sarebbe morta di stenti almeno due giorni dopo il compagno. In quel caso ad allarmare i vicini erano stati i latrati disperati del cane della coppia trovato vivo anche se in condizioni estremamente precarie per la mancanza di acqua e cibo. Questi gli ultimi episodi focalizzati solo su Udine, ma in realtà basta una rapida ricerca sul web, per scoprire che i fenomeni di morti dimenticati sono sempre di più una costante nelle nostre città. E’ evidente che la situazione dei poveri, delle persone fragili, degli anziani, e degli “ultimi” sta sempre più peggiorando all’interno del nostro paese. Motivi multifattoriali ovviamente, ma tutto si inquadra nelle pesanti modifiche sociologiche determinate dalle continue crisi economiche ma soprattutto dall’indebolimento sempre più marcato del tessuto sociale che passa anche attraverso un deteriormante dei valori “familiari” e parentali. Se aggiungiamo che la pandemia e una società sempre più egoista hanno accentuato la povertà, il bisogno e soprattutto la solitudine volontaria anche come risposta alla paura, il quadro diventa completo. Ovviamente tutto ciò è maggiormente percepibile nei centri urbani, nelle città. Udine, pur non essendo grande metropoli, non è diversa dalle altre, anzi il numero di persone che la abitano tutto sommato non altissimo se paragonato alle grandi metropoli, può essere indicata come un ottimo metro di giudizio della situazione generale. In sostanza se vi sodo problemi in città medio piccole figuriamoci cosa accade nelle metropoli. Aggiungiamo che il problema della solitudine, non è fra i primi posti, nelle sensibilità istituzionali ed il quadro è concreto. Sarebbe facile puntare il dito verso i servizi sociali dei Comuni, ma in realtà gli operatori fanno quello che possono, facendo i conti con una carenza perniciosa di personale, tempo e risorse. Quello che bisogna evidenziare è una certa sufficienza della politica che dovrebbe badare al bene collettivo, soprattutto quello di più fragili e che invece troppo spesso è “distratto” ed in altre faccende affaccendato. Come giornale possiamo solo denunciare la situazione e  per questo abbiamo deciso di intraprendere un percorso di sensibilizzazione partendo dalla denuncia dello stato delle cose e da una analisi continua (al di fuori dalla stretta cronaca)   che dal generale arrivi al particolare.

I dati demografici più recenti indicano che la popolazione del pianeta ha raggiunto gli otto miliardi di individui, mai così tanti e se a questo fenomeno si aggiunge lo straordinario, recentissimo sviluppo di tutte le forme di comunicazione si potrebbe erroneamente pensare che la “vicinanza” tra umani dovrebbe essere favorita. Ma le cose non sono proprio così. Paradossalmente, al maggiore affolamento e alle maggiori possibilità di “contatti” e di “incontri” digitali in molte delle nostre società contemporanee, ed in particolare in quelle più avanzate, si sta assistendo esattamente al fenomeno contrario. Un consistente aumento della solitudine, ovvero di quel devastante sentimento soggettivo che un individuo prova, a volte autogenera volontariamente, in qualche caso pur essendo circondato da familiari, amici o conoscenti. Questo doloroso e multiforme “paradosso” sociale, che riguarda tutte le fasce di età, ma che è particolarmente evidente ed importante nelle persone anziane, ha cause profonde e complesse. La solitudine, oggetto di studio recente, è diventata una grave “epidemia comportamentale” che investe non solo gli anziani, ma anche gli adolescenti, i giovani e gli adulti in tutte le parti del globo. Da uno studio condotto dall’Associazione di psicologi americani emerge che la solitudine e l’isolamento uccidono più dell’obesità. Le persone sole hanno un rischio supplementare di decesso del 50% in più rispetto a chi ha buone relazioni sociali. Non solo, isolamento e solitudine fanno male soprattutto al cuore e non in maniera “figurata”. Chi si isola o vive da solo infatti ha più probabilità di soffrire di patologie cardiovascolari, infarto o ictus rispetto a chi ha legami stabili e duraturi. Ed ovviamente chi vive le proprie patologie pregresse e croniche in solitudine finisce per aggravare il proprio stato fino ad arrivare ad una morte, che magari sarebbe arrivata comunque, ma in maniera più serena e umana. Ma il problema non è solo delle face più avanzate d’età che vivono il fenomeno  soprattutto quando abbandonano il lavoro. Spieghiamo meglio:  dal momento che molti dei legami della nostra vita hanno a che fare proprio con l’attività lavorativa, quando lo abbandoniamo diventiamo tutti a maggior rischio di sentirci isolati. Ma in realtà  il problema della solitudine tra gli adolescenti è grave quanto quello tra gli anziani, ed è pari a quello dell’obesità infantile di cui magari si parla molto più spesso. Istituzioni e sistema sanitario dovrebbero impegnarsi in tal senso promuovendo attività e iniziative di informazione e prevenzione o prevendo figure di sostegno psicologico in ambito scolastico/educativo. Perché in una società in cui soprattutto i giovani (ma  non solo) vivono la costante connessione con gli altri attraverso i social network, il rischio che la vita reale fatta di socialità e rapporti “analogici”, venga sostituita da una solitudine digitale è diventata un rischio importante per la salute psicofisica. I social infatti precludono la possibilità di sperimentare relazioni/contatti veri fuori dalla realtà virtuale e quindi aumentano i rischi di isolamento e distanza sociale. Insomma indagare le cause della solitudine è operazione ardua ma che diventa fondamentale venga fatto soprattutto da chi dovrebbe predisporre strumenti di assistenza che facciano superare, pur con ricette diverse, una situazione che all’estremo vede le morti solitarie, ma che più frequentemente vede un malessere diffuso che diventa infelicità di vivere.

Fabio Folisi