Un’altra città: “Chi fa politica deve tenere in considerazione l’interlocuzione con la cooperazione sociale”

Nel primo incontro di Aprile del programma nel programma della rete civica Un’Altra Città, in vista delle amministrative, che auspicabilmente si terranno nell’ultimo trimestre 2021, si è deciso di dare spazio alla cooperazione sociale.

E’ stato chiesto, allo scopo di riflettere su punti di forza, aspetti deboli e peculiarità di questa, a Giancarlo Carena (Presidente Cna-Trieste) di coordinare il dibattito tra Stefania Grimaldi (Responsabile Area Sviluppo della Cooperativa La collina), Dario Parisini (Presidente di ConfCooperative Trieste) e le cooperatrice e i cooperatori presenti.

La cooperazione sociale, a Trieste, affonda le sue radici nell’esperienza Basagliana a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta da cui nacque nel Novembre 1972 la prima, la Cooperativa Lavoratori Uniti “Franco Basaglia”

Solo vent’anni più tardi una Legge ne normerà l’operato: la legge 381 del 1991 che disciplina appunto le cooperative sociali, che da quasi cinquant’anni sono attive in diversi ambiti del tessuto sociale cittadino e che si impegnano affinchè sia garantito a tutte e tutti il diritto a non essere lasciato indietro.

E’ chiaro che lo stato di pandemia in cui ci troviamo sta esasperando le disuguaglianze sociali, con un numero crescente di lavoratori espulsi dai propri posti di lavoro. Lavoratori espulsi che saranno gli esclusi di domani. Anche per rispondere ai bisogni sociali di queste persone operano le cooperative sociali, di cui ha riferito nell’incontro di approfondimento Dario Parisini che ha offerto, in apertura, un inquadramento riguardante le dimensioni quantitative.

Ad oggi sul territorio triestino siamo di fronte a 46 espressioni della cooperazione, tra realtà di tipo A, di tipo B e consorzi.

A cosa si riferiscono le sigle A e B? Allo spazio di azione e all’utenza a cui si rivolgono: se quelle di tipo A sono specializzate nei servizi alla persona (anziani, disabili, minori,…), quelle sotto la definizione di tipo B sono attive nell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati.

Se approfondiamo, molte sono le cooperative di tipo “misto” e la portata della cooperazione si attesta sui 2300 soci- lavoratori (più 100 soggetti che sono dipendenti a pieno titolo delle cooperative); per un fatturato annuo di 83 milioni di euro ca.

Bisogna tenere in considerazione, sempre, come sottolineato da Stefania Grimaldi la natura imprenditoriale della cooperazione sociale.

Le cooperative sono imprese. In quest’ottica la visione e il valore economico della cooperazione come fare impresa per il bene comune (art.1 legge sulle cooperative)

Occorre assumere quindi una visione di tipo imprenditoriale, sfatando anche un falso mito per cui si ritiene che queste realtà si basino su un fare improvvisato in cui ci si arrangia in nome di una finalità sociale.

Realtà che hanno come nucleo centrale, di mandato normativo e statutario, la creazione di opportunità lavorative per i soggetti svantaggiati già in precedenza nominati.

L’elemento che qualifica l’esperienza triestina, inoltre, è la capacità di realizzare fino in fondo la messa tra parentesi della malattia di cui Franco Basaglia ha messo le basi con la demolizione dell’istituzione totale.

Occorre quindi creare uno spazio in cui, per i soggetti con cui si viene a operare, possa compiersi la scommessa nell’assumere una progettualità personale di vita.

Progettualità che passa attraverso la quotidianità (che si attua sia nella formazione che nella capacità di produzione in ambito lavorativo).

Perché “la persona è potenziale, talento latente o sotto traccia”

La pandemia in cui ci si è trovati catapultati non ha fatto che sottolineare un assunto: un determinato modello economico non è più percorribile; per questo motivo occorrerebbe prendere a modello la capacità della cooperazione di reinventarsi, di trasformare i momenti di crisi nell’opportunità di costruire un mondo diverso.

Aspetto riferito anche da Nicoletta Neami, rientrata a Settembre dopo il periodo di maternità e trovatasi in una situazione di lavoro in qualche maniera modificata dalla pandemia ma di normalità grazie alla capacità di adattamento dell’ambiente cooperativo.

Tenendo presente la difficoltà della cooperazione di comunicare all’esterno le proprie peculiarità e sottlineando il rapporto stretto che dovrebbe esserci tra cooperazione e Pubblica Amministrazione: cosa può fare un’amministrazione di più e meglio nei confronti della cooperazione sociale?

L’amministrazione comunale potrebbe sostenerla fornendo non solo le risorse più adeguate ma fornendo attenzione in primis; in secondo luogo proponendosi nel ruolo di partnership al fianco di essa nella co- programmazione e co- progettazione degli interventi più necessari.

L’amministrazione ha infatti molti strumenti, anche giuridici, atti a favorire una politica di inclusione e promozione di servizi e attività sul territorio attraverso la collaborazione con la cooperazione sociale. Strumenti che però, al momento, non vengono utilizzati.

Occorre affermare la scelta di un nuovo modello di sviluppo, tenendo conto dell’aiuto imprescindibile della cooperazione sociale, che molto può dare, dire e fare.

Dall’incontro sono emerse inoltre molteplici voci di coloro che operano in primo piano in queste realtà, che hanno sottolineato alcuni punti di forza e alcune debolezze dell’ambito in cui operano.

C’è chi, come Arturo Cannarozzo ha rilevato la possibilità, da cui si dovrebbe trarre ispirazione, di valorizzare elementi diversi a seconda del periodo.

Inventare quindi progetti specifici che offrano risposte a situazioni contingenti specifiche e adattati alla realtà specifica di ogni singolo individuo (vedasi il progetto “Palinsesto per l’inclusione”)

C’è chi come Margherita Bono ha invece sottolineato la peculiarità della cooperazione di agire nello spazio della diversità e della valorizzazione della stessa.

Le cooperative, come ad esempio la Sartoria Sociale Lister, in rappresentanza della quale è intervenuto Pino Rosati possono essere luogo di riferimento e raccolta di saperi che attraverso esse possono essere reintrodotti nella comunità.