A proposito di geo politica dal nord est ai balcani occidentali

Che la Venezia Giulia fosse negli anni d’oro dell’imperialismo italiano l’estremo lembo a nord ovest dei Balcani, non ci piove. Quando poi nel 41 occupammo la Slovenia per impedirne il controllo nazista, capimmo in breve che non avevamo le forze (e nemmeno la struttura culturale) per gestire questa concorrenza. Siamo finiti, così, in un vortice di accadimenti che portarono alla quasi totale scomparsa della presenza italiana sulla sponda orientale dell’Adriatico. Oggi, con la giornata del ricordo, celebriamo i “fasti e nefasti” di quella sconfitta con lo spirito tipico della tradizione balcanica dove ogni disastro diventa gloria imperitura.
A parte la “provincia” di Gorizia, prima linea del contatto con la slavofonia da distruggere, il resto del Friuli altro non era che retro-caserma dell’impegno balcanico e, dall’Anschluss in poi, confine preoccupante per la prevedibile neo calata dei cavalieri teutonici.
A questi pezzi di storia mi fa riandare la lettura dell’attuale numero (2/2024) della rivista di geo politica Limes dedicata ad “Una certa idea d’Italia” che al suo interno introduce una migliore funzione strategica per la nostra Regione nel quadro del “disimpegno controllato” degli Usa dal bacino “medioceanico” (Mediterraneo e connessi tra cui l’Adriatico) per affidarsi ad un nostro protagonismo di supplenza. Che proprio sull’Adriatico vede una sponda orientale da “occupare” (in senso ampio non solo di presenza militare) e da contendere a sultani, zar e celesti imperatori. In questa missione a noi, vigili sentinelle tra nord est della penisola e Balcani occidentali, viene affidato il compito di cerniera tra le due Nato europee, quella storica occidentale e la neofita orientale, ex Patto di Varsavia, possibilmente integrandoci con l’iniziativa del Trimarium di fiducia (Polonia, Romania e Croazia) diventandone il vero retro terra e retro porto strategico. L’insieme delle infrastrutture di Trieste, Capodistria e Fiume con i sistemi energetici collegati e la loro funzionalità di sub fornitura di strumenti bellici e commerciali-industriali ne fanno un focus territoriale decisivo nel possibile sistema di equilibrio (o di contesa) nel quadro della concordata riduzione dell’impegno diretto USA. A patto che le marine d’Italia e alleati-concorrenti (Turchia, Francia, Grecia) garantiscano la libertà di navigazione del Mediterraneo ed in particolare l’accesso al Canale di Otranto.
Il Friuli ridiventa quindi la classica strada verso il Norico a cui fornire le energie necessarie per non dipendere dai conflitti Baltici e può godere della stretta alleanza con gli slavi cattolici per proiettare le proprie funzioni, sperabilmente non di prima linea, verso i Balcani sud orientali e la pianura sarmatica. E per gli USA rimane comunque un luogo da “ hic manebimus optime” nell’ambito di nuove ridotte funzioni di controllo e supporto, visto che comunque Aviano e Vicenza non smobiliteranno. Nulla vieta peraltro che il nuovo amore post industriale del governatore che sta frequentando l’asse Trieste-New York produca frutti mercantili e produttivi. Anche per surrogare la non superabile crisi del sistema tedesco, di cui oggi siamo vassalli, per l’inevitabile raffreddamento degli scambi con l’estremo oriente, competitore-nemico del nostro ancora attuale numero uno. Che, pur acciaccato dalla incapacità di vincere (anche con delega) una guerra che sia una, va comunque obbedito e rispettato nei suoi desideri.
Ombre rosse e segnali di fumo all’orizzonte. Parlare di autonomia speciale o di visioni future per la Regione F-VG in riferimento a questo dipinto appare perciò piuttosto velleitario anche tenendo conto che non solo il governo attualmente in carica ma anche ogni reale possibile alternativa non se ne discostano. E’ peraltro un quadro che al suo centro ha il contenimento di una variabile impazzita, quella neo imperiale russa, la cui gestibilità e le cui eventuali cadute di pur momentanei equilibri non si riescono ad immaginare, e che quindi produce in continuazione precarietà e disorientamenti. Se poi ad essa si aggiunge il pur già più facilmente interpretabile confronto israelo-palestinese, con le infinite articolazioni che produce nell’area di riferimento ed in particolare alle ricadute sulle relazioni globali che incidono proprio sul Mediterraneo, lo spazio di interpretazione che il potere territoriale nostro può mettere in campo appare molto limitato.
Rimane allora solo un ruolo di spettatori paganti di uno spettacolo che non sappiamo nemmeno se è quello in cartellone?
Non credo sia la strada giusta. E’ opportuno che i vari nord est della penisola italica (dalle Dolomiti all’Adriatico) e i vari nord ovest dei Balcani (che a mio parere vanno perlomeno dalla Croazia-Istria alla Carinzia) trovino uno spazio comune di discussione politica ed amministrativa che si confronti con gli scenari che stanno avanzando mettendo in moto percorsi democratici e di partecipazione. A partire anche, forse prioritariamente, dalle questioni di carattere globale, quali il cambiamento climatico e le risposte energetico ambientali, un quadro comune di gestione dei flussi migratori ed i percorsi produttivi di garanzia e sostenibilità anche sociale della presenza umana in queste terre, con le loro risorse e tradizioni.
Spero di non sbagliarmi. Rispetto al passato non vedo in giro molta disponibilità a trasformare i pur presenti nazionalismi in vittime di guerre e nemmeno per contendersi i grandi destini del mondo. Tanto più che ormai i droni e i vari sistemi ibridi di combattimento riguardano più i civili che i militari di professione. Facciamone mente locale e ridiamo protagonismo ad un necessario rallentamento della storia.

Giorgio Cavallo