Carcere, la trasparenza è d’obbligo. Franco Corleone, garante per i diritti dei detenuti, chiede chiarezza su una morte improvvisa di un 22enne nel carcere di via Spalato a Udine
Riceviamo da Franco Corleone, garante per i diritti dei detenuti, una articolata lettera nella quale si chiede chiarezza sulla morte improvvisa di Ziad Dzhihad Krizh 22enne morto nel carcere friulano di Via Spalato 15 marzo dello scorso anno. Ci uniamo a lui per chiedere verità:
Si chiamava Ziad Dzhihad Krizh. Era un giovane detenuto di 22 anni, è morto a Udine, nel carcere di Via Spalato il 15 marzo 2020. È uno dei tanti detenuti morti in cella in questo periodo di pandemia, segnato da un peggioramento delle condizioni e anche da forti proteste e da pesanti repressioni.
Da ultimo, l’orrendo pestaggio di massa avvenuto nello stesso periodo nel carcere di Santa Maria Capua Vetere che ha finalmente scosso la società italiana e ha portato la ministra della giustizia Marta Cartabia a parlare di tradimento della Costituzione e di oltraggio alla dignità della persona dei detenuti, deve spingere tutti a cercare e a realizzare il massimo di trasparenza su quanto succede dietro le mura delle prigioni.
La morte di Ziad appare assai poco limpida e le sue cause poco chiare, tanto da essere oggetto di una inchiesta ancora aperta. Per questo ho cercato di approfondire, esaminando le relative perizie. Addentrarsi nei dettagli e negli aspetti e linguaggi tecnici e specialistici è sempre un po’ ostico, ma anche necessario per provare a capire ciò che può essere successo. Vediamoli.
L’analisi chimico-tossicologiche sui campioni biologici prelevati dal cadavere ed effettuata dal dr. Antonio Colatutto e consegnata alla Procura della Repubblica del tribunale di Udine il 10 agosto dello scorso anno, attesta che si trovano tracce solo di metadone e di benzodiazepine, assenti tracce di oppiacei, cannabis, cocaina, amfetamina, ecstasy, buprenorfina ed etanolo.
La dr.ssa Elena Torresin, Sostituto Procuratore del Tribunale di Udine, immediatamente aveva posto al prof. Carlo Moreschi, il perito nominato, una serie di quesiti assai puntuali per l’accertamento delle cause del decesso e i mezzi che l’abbiano prodotto e riguardo l’eventuale presenza di lesioni esterne e interne che abbiano nesso di causalità con la morte e la genesi delle stesse. La perizia fu depositata il 29 settembre 2020 e la dr.ssa Torresin richiese una integrazione specificando alcuni approfondimenti. In particolare, chiese se “le cause del decesso fossero riconducibili a errori diagnostici e/o terapeutici dei sanitari che lo ebbero in cura presso la Casa Circondariale di Udine, specificando, in caso affermativo, se siano state osservate le linee guida, protocolli o buone prassi applicabili al caso in esame, il titolo e il grado di colpa”, domandando, infine, di conoscere “ogni altra circostanza ritenuta necessaria o utile all’accertamento dei fatti”.
Il 12 febbraio 2021 il prof. Moreschi inviò la seconda consulenza.
Krizh venne trovato – dall’infermiere incaricato della distribuzione dei medicinali – privo di coscienza alle 7.45. Decedeva alle 8.21, dopo che gli era stato eseguito massaggio cardiaco e con defibrillatore.
La cella n. 13, che lo alloggiava, era occupata da cinque detenuti; il sesto, che avrebbe ceduto dell’hashish a Krizh, era uscito dal carcere il 7 marzo. I compagni di detenzione riferiscono che il giorno prima la vittima aveva uno stato febbrile, sopra il 37.5 gradi. Un altro detenuto attesta che alle cinque Krizh era vivo perché lo aveva sentito russare.
Vediamo il diario clinico.
La visita di primo ingresso gli viene fatta il 5 novembre 2019; da essa risulta l’autodichiarazione di consumo di diverse sostanze stupefacenti risalente a quattro mesi prima. Non è presente sindrome di astinenza e viene prescritta una terapia con Diazepam e Seroquel.
Il 26 febbraio 2020, dopo quattro mesi, viene prescritta una terapia di Diclofenac per una lombalgia cronica.
Il 1° marzo viene citata una Osservazione clinica, non si sa da chi sia stata effettuata e il paziente riferisce “uno stato di agitazione con sintomi psicotici da abuso prolungato da metanfetamine e crack. Sta usando Suboxone e Tramadolo con beneficio sulla sua condizione di dolore e agitazione. Si prescrive quindi Metadone 20 mg”. Appare anche l’indicazione di somministrazione di Rivotril mattina e pomeriggio, Lyrica mattina e pomeriggio, Rivotril, Seroquel. Dunque, un pesante cocktail di farmaci, non si capisce da chi e perché prescritti.
Il 5 marzo viene richiesta visita del Servizio per le tossicodipendenze (SerT) per una rivalutazione della terapia.
Il 14 marzo, il giorno prima della morte, Kritzh viene sottoposto a visita medica in sezione, cioè in cella con dubbio rispetto della privacy. In quella circostanza avrebbe dichiarato “di aver fatto abuso in questi giorni di sostanze stupefacenti (cannabinoidi) e altre sostanze”. Gli viene consegnata una mascherina chirurgica per prevenzione Covid.
Nella autopsia vengono segnalate varie escoriazioni compatibili con atti di autolesionismo. Per il resto non vi sono rilevazioni di patologie. È un giovane sano.
Il prof. Moreschi adduce come causa della morte una overdose di metadone. In realtà, è costretto a ipotizzare “l’assunzione contemporanea di altri farmaci e sostanze che possono agire con effetto additivo nell’aumentare il rischio di morte. Solitamente i decessi dovuti all’assunzione di metadone si verificano per arresto respiratorio spesso nel contesto di abuso di più sostanze”.
La relazione che dovrebbe rispondere agli ulteriori quesiti è invece più scarna e burocratica della precedente, ma compare l’indicazione di visite mediche non citate: il 21 novembre viene ancora modificata la terapia farmacologica con inserimento di Tavor, conferma di Seroquel e Rivotril e sospensione di Valium. Nei giorni seguenti per una lombalgia di origine misteriosa viene trattato con farmaci antinfiammatori; nel febbraio 2020 risulta una visita del medico SerT con prescrizione di Lyrica, sospensione di Seroquel sostituito con Nozinam e aumentato il Rivotril. Non si capisce se è stata prescritta anche la buprenorfina.
Con assoluta sicurezza il prof. Moreschi attesta che “non si ravvisano errori diagnostici e/o terapeutici dei sanitari. Il decesso non è correlabile alle cure prestate”.
Una sicurezza che, francamente, è difficile da condividere.
Ho allora chiesto consiglio a un amico, che è stato per molti anni direttore del Dipartimento Dipendenze della Asl di Napoli e sono emersi molti interrogativi:
1) Come mai non sono stati ricercati i metaboliti degli psicofarmaci somministrati?
2) Perché non è stato somministrato il naloxone (antagonista degli oppioidi per l’overdose) e l’anexate (antidoto per le benzodiazepine)?
3) Perché era in carico al SerT e perché era in terapia con metadone pur non facendo uso di eroina? E perché il metadone non era somministrato in infermeria?
4) Risulta che al 1° marzo Kritz avesse una terapia con Rivotril (benzodiazepina di abuso dei tossicodipendenti) Seroquel, Lyrica e Metadone. Tali farmaci possono interagire tra loro e potenziare vicendevolmente gli effetti sedatici e depressivi sul sistema centrale.
5) Al test tossicologico delle urine compare solo THC e benzodiazepine, in quello del sangue compare il metadone (tracce). Non può essere causa della morte la cannabis. Inoltre, Kritz assumeva il metadone per cui aveva una tolleranza che rende poco probabile l’ipotesi di una overdose legata questo oppioide, visti i dosaggi.
6) La valutazione delle lesioni appare assai superficiale, mentre potrebbe spiegare lo stato di depressione e confusione che viene descritto.
In definitiva, mi pare che l’ipotesi che il cocktail di farmaci prescritti abbia causato effetti deleteri non possa essere scartata. Così pure, appare una evidente confusione e contraddittorietà nelle prescrizioni scritte o in quelle di fatto e nelle visite mediche effettuate. Soprattutto di fronte a un quadro clinico precario come quello che emergeva dalla visita del 14 marzo, appare una scelta discutibile lasciare il paziente in cella e non provvedere piuttosto a un ricovero o a una sistemazione più consona con una previsione di visita notturna.
Una sola conclusione mi sento al momento di fare: il diritto alla vita e alla salute sono fondamentali e vanno tutelati (anche) per i detenuti, il cui corpo è nelle mani dello Stato, con la massima cura e attenzione. Chi lavora nel carcere deve essere messo nelle condizioni di farlo adeguatamente e occorre valutare la presenza di un medico di notte.
La perizia, con un pizzico di cinismo tautologico, ci dice che Kritz è morto perché è morto. Non basta. Può darsi che il giovane avesse invece voglia di vivere. Ora che è deceduto gli si deve almeno chiarezza e trasparenza, rigore negli accertamenti e nelle conclusioni. Perciò ho fiducia che la dott.ssa Elena Torresin deciderà con sagacia e umanità.
Franco Corleone