Con le minacce di Putin torna l’incubo nucleare…. più vicino di quanto si pensi
In Italia ci sono circa 120 strutture della Nato, gestite dagli Stati Uniti o controllate dall’Italia ma in cui operano anche militari statunitensi. Ma in realtà le basi, come quelle negli altri paesi Nato, godono di extraterritorialità e non sono soggette all’ordinamento giuridico della nazione in cui si trovano. Tutto ciò che accade al loro interno è coperto da segreto, così come il numero delle forze presenti. Questo vale ancora di più per le 20 basi segrete statunitensi di cui si ha notizia mentre anche se ufficialmente non palesate è più che provata la presenza di armi nucleari. In particolare ad Aviano e Ghedi si trovano alcune bombe atomiche B61-3, B61-4 e B61-7. Fra l’altro è nota la sostituzione in corso a Ghedi e Aviano delle bombe nucleari B61 “a caduta” con le B61–12 dotate di supporto missilistico, atte a penetrare nel terreno, e la cui potenza può essere sia minore che maggiore degli ordigni di Hiroshima e Nagasaki. Bombe definite atomiche a basso impatto (si fa per dire) il cui uso è adatto al campo di battaglia. Questo aumenta per i territori che le ospitano la possibilità di diventare bersaglio di primo colpo più che di ritorsione.
La base di Aviano è usata dall’aeronautica statunitense, mentre quella di Ghedi dall’Italia. Le atomiche sono statunitensi, ma in caso di guerra possono essere “tecnicamente” lanciate anche da aerei italiani. In sostanza con la situazione che si sta determinando in Ucraina si fa più concreto l’incubo nucleare, ma in realtà in Friuli e Lombardia si convive con l’atomica da decenni anche se “ufficialmente a nostra insaputa” dato che la maggioranza dei cittadini del Friuli Venezia Giulia, così come quelli della Lombardia non sanno di convivere con un arsenale nucleare. Non tutti e soprattutto non ufficialmente anche se già da decenni IAL ANA (International Association of Lawyers Against Nuclear Arms) l’associazione internazionale di legali che operano per l’eliminazione delle armi nucleari e il rafforzamento del diritto internazionale umanitario, con status consultivo presso le Nazioni Unite strappò il velo di silenzio sul pericolo atomico che gli italiani corrono ogni giorno a causa degli ordigni nucleari custoditi nelle basi di Aviano (Pordenone) e Ghedi (Brescia). Pericolo relativo anche al fatto di essere chiaramente obiettivi strategici per un eventuale “nemico” nucleare. Fino a ieri era solo teoria “di scuola” oggi la situazione è più complessa e delicata. I sostana il profilarsi di uno scontro tra superpotenze è reso da improbabile, plausibile, in una logica folle di accettazione della guerra che rende la minaccia di distruzione atomica un argomento sempre più concreto, nominato e persino banalizzato. Ma se le minacce reciproche delle superpotenze hanno riportato alla luce le fosche dottrine della deterrenza, la presenza del nucleare statunitense in Italia resta un tabù, circondato dal segreto di Stato. In realtà è un segreto di Pulcinella perchè, che gli ordigni nucleari sono presenti in Italia, è una realtà inoppugnabile anche se difficilmente riscontrabile in atti proprio perchè la loro presenza è sostanzialmente illegale. E’ assolutamente fondamentale oggi più che ieri mostrare l’insipienza e le convenienze di un potere istituzionale (politico militare) che negli anni non ha tenuto in alcun conto la sicurezza dei cittadini, nascondendo e minimizzando la presenza a 85 chilometri da Milano, nel caso di Ghedi e a 95 chilometri da Venezia, nel caso di Aviano, del più grande arsenale atomico europeo dispiegato dagli USA. Due luoghi dove le attuali bombe nucleari B61-3 e B61-4 sono destinate a essere sostituite (forse è stato già fatto) dalle più sofisticate B61-12, dotate di quattro opzioni di potenza, fino a un massimo di 50 chilotoni ciascuna, vale a dire una potenza superiore a tre bombe di Hiroshima. Esistono studi che spiegano in punta di diritto l’illegalità della presenza su territorio italiano di almeno quaranta ordigni nucleari, in violazione del Trattato di Non Proliferazione ratificato dal nostro Paese nel 1975 e di altre norme nazionali e internazionali e non nascondono la paradossale difficoltà di ottenere una condanna in via giudiziaria e un conseguente ordine di rimozione. Quello che si sa è che tra Italia e Stati Uniti esiste un accordo segreto per la difesa nucleare, accordo che sarebbe stato rinnovato dopo il 2001 e forse “aggiornato” più recentemente. Il nome in codice sarebbe Stone Ax (Ascia di Pietra). L’accordo sarebbe stato sottoscritto dopo l’11 settembre 2001 dal governo Berlusconi. Ma quello del 2001 non sarebbe stato il primo accordo e non certo l’ultimo, probabilmente fin dagli anni 50 gli Usa imposero all’Italia repubblicana che aveva perso la guerra, bombe e segretezza. Per anni quindi la negazione dell’esistenza degli ordigni atomici è stato l’imperativo categorico anche difronte all’evidenza. Poi nel settembre 1991, dopo il crollo del muro di Berlino, con il presidente George Bush padre che aveva annunciato il ritiro di tutte le testate nucleari montate su missili o su mezzi navali presenti anche in Italia iniziarono a circolare ufficialmente i numeri. In Europa erano rimaste 1400 bombe atomiche in dotazione all’aviazione poi in dieci anni il numero venne ridotto di circa due terzi fino appunto al 2001 quando venne siglato il nuovo accordo Stone Ax, il tutto in barba al fatto che fin dai primi anni Settanta l’Italia aveva ratificato il trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Un documento che oltre ad impegnare i firmatari a interrompere la corsa agli armamenti, fissava alcuni precisi paletti. In particolare, ognuno dei paesi militarmente non nucleari, come il nostro, si impegnava «a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi». Fatta la legge trovato l’inganno, così gli ordigni sono Usa ma potrebbero diventare tricolori al bisogno se Nato ordinasse. La scelta di “ospitare” ordigni nucleari, oltre a problemi di natura relativa alla sovranità nazionale e alla collocazione geopolitica dell’Italia pone anche problemi di sicurezza. Poco spazio sulla stampa ha trovato la notizia di uno studio internazionale austro-statunitense che ha simulato le conseguenze di una catastrofe nucleare nella base aerea di Aviano. Un’esplosione nucleare, anche di tipo “accidentale” (eventualità già ammessa come possibile in uno studio del 1997 commissionato dalla stessa US Air Force che evidenziava il rischio di esplosione nucleare nel caso in cui un fulmine avesse colpito il deposito di un ordigno nella fase di smantellamento, ossia quando la testata viene smontata dal resto della bomba) provocherebbe almeno 234mila morti. La ricostruzione-choc è emersa come detto dalla ricerca congiunta austro-statunitense, i cui risultati sono stati presentati a Vienna nel 2014 nella conferenza “The Humanitarian impact of nuclear weapons” promosso dall’ufficio affari esteri del governo austriaco. Con la simulazione elaborata dal Natural Resources Defenze Council di Washington e della Zentralstalt fur metereologie und geodynamic di Vienna si puntava a prevedere gli effetti di una catastrofe nucleare che dovesse verificarsi in una delle basi militari nel Vecchio Continente. La scelta è caduta sulla base di Aviano per la sua vicinanza con l’Austria. Se la popolazione fosse debitamente avvertita e protetta, spiegano gli scienziati, si avrebbero 82mila vittime: 26mila morti per l’esplosione e 56mila feriti provocati dalle conseguenze delle radiazioni. Se invece gli abitanti non fossero protetti in alcun modo, (come è la realtà) il conto dei morti salirebbe ulteriormente: si prevederebbero 234.500 morti, per la maggior parte feriti dai micidiali effetti della nube tossica che si verrebbe a creare. Nell’esplosione atomica di Hiroshima perirono 90mila persone, mentre per l’incidente nucleare di Chernobyl l’Onu calcola circa 4000 morti. L’idea di chiedere la denuclearizzazione non è quindi sbagliata e le azioni possibili sono numerose e vanno sostenute da una larga consapevolezza. Inutile nascondere che la questione è “strategicamente” delicata alla luce delle minacce di Putin, se infatti si rendono concrete le ipotesi di Aviano e Ghedi possibili obiettivi militari, rendono attuale il concetto di deterrenza.
Ma tornando alla presenza Usa in Italia le 120 le basi Nato in Italia, sulle quali c’è almeno un controllo multinazionale, sono di diversa natura e gestione, a cui si aggiungono però 20 basi segrete degli Stati Uniti, la cui posizione non è stata resa nota per ragioni di sicurezza e che non rispondono al controllo italiano. Dopo l’ingresso di Finlandia e Svezia, l’alleanza militare della Nato ha raggiunto i 32 stati membri, di cui l’Italia è uno dei paesi fondatori, avendo firmato il Patto Atlantico nel 1949 per creare un’organizzazione di sicurezza in caso di attacco da parte dell’Unione sovietica. Dopo il periodo di distensione dovuto alla dissoluzione dell’Unione sovietica, sembrava che le basi italiane avessero perso la loro funzione, ma con l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia sono state riportate in uno stato di pre-allerta.
I tipi di basi Nato in Italia
Le basi Nato e degli Stati Uniti su suolo italiano sono di quattro tipi. Le prime furono concesse agli Stati Uniti negli anni Cinquanta e, pur essendo sotto controllo italiano, gli Stati Uniti mantengono il controllo militare su equipaggiamenti e operazioni. Poi ci sono le basi Nato gestite dall’alleanza, le basi italiane messe a disposizione della Nato e le basi a comando condiviso tra Italia, Stati Uniti e Nato.
Le più importanti, da nord a sud, sono quelle di Solbiate Olona (in provincia di Varese) e Ghedi (Brescia) in Lombardia, di Vicenza e Motta di Livenza (Treviso) in Veneto, di Aviano (in provincia di Pordenone) in Friuli Venezia Giulia, di Poggio Renatico, nel Ferrarese, in Emilia Romagna, di La Spezia in Liguria, di quella nella tenuta di Tombolo (Pisa) in Toscana (anche se si tratta di una base italiana dove operano anche militari statunitensi), di Cecchignola (Roma) e Gaeta (Latina) nel Lazio, di Mondragone (Caserta) e Napoli in Campania, di Taranto in Puglia e di Trapani Birigi e Sigonella, nel territorio del Comune di Lentini (Siracusa), in Sicilia.
Cosa fanno le basi Nato in Italia
A Sigonella si trova il comando di monitoraggio in tempo reale delle truppe a terra e da qui partono i droni di sorveglianza che oggi monitorano i confini ucraini. A Napoli hanno sede uno dei due centri di comando della Nato (mentre l’altro è nei Paesi Bassi) la base dei sommergibili statunitensi nel mediterraneo, così come il comando delle forze aeree e dei marines statunitensi.
Come già detto, oltre a queste ci sono altre 105 strutture tra centri di ricerca, depositi, poligoni di addestramento, stazioni di telecomunicazione e antenne radar sparpagliate sul territorio, più le 20 basi segrete statunitensi.