Convegno internazionale sui campi di confinamento nel XXI secolo e le responsabilità dell’Europa al Centro Balducci
Sabato 7 e domenica 8 maggio, al Centro Ernesto Balducci di Zugliano (Udine), si svolgerà il convegno internazionale dedicato ai campi di confinamento nel XXI secolo. L’evento, promosso da RiVolti ai Balcani, Associazione Centro di Accoglienza e promozione culturale E. Balducci ODV e Rete DASI FVG, in collaborazione con Articolo21, sarà in lingua italiana e inglese e potrà essere seguito, oltre che in presenza, anche online sulla pagina facebook di RiVolti ai Balcani (https://www.facebook.com/
Il convegno vuole proporre quindi una nuova chiave di lettura delle pericolose politiche messe in atto dall’Unione europea verso le migrazioni, specie quelle forzate. In tale ottica i lavori del convegno si concluderanno con l’adozione di un documento finale di raccomandazioni che, tradotto in diverse lingue, verrà diffuso a livello europeo. In sostanza lo scopo del convegno è quello di esaminare, con taglio multidisciplinare e con un confronto tra studiosi ed attivisti per la tutela dei diritti umani di diversi Paesi, un tema tanto rilevante ma sottaciuto, quando non apertamente negato: la diffusione, sempre più ampia di luoghi e strutture destinati alla “accoglienza” temporanea dei migranti forzati che a ben guardare hanno la finalità reale di contenere i migranti forzati in un spazio degradato che ne assicuri solo la minima sopravvivenza fisica, comprimendo l’esercizio dei diritti fondamentali delle persone accolte/confinate e negando loro uno status giuridico chiaro. Nei casi invece in cui sia possibile per le persone accedere ad una procedura di riconoscimento del diritto d’asilo il sistema di accoglienza/confinamento è articolato in modo da dissuadere o rendere l’accesso molto difficoltoso o quasi impossibile. L’allestimento dei campi viene presentato come una necessità dettata dall’esistenza di un contesto emergenziale ma quasi mai c’è alcuna reale situazione emergenziale che giustifichi le scelte fatte. Le strutture di accoglienza/confinamento sono volutamente collocate in aree estremamente periferiche giustificando anche tale scelta con vaghe ragioni di sicurezza o come una necessità imposta da molteplici ragioni e condizionamenti esterni anche quando non ve ne sono affatto o quando le difficoltà potrebbero essere superate. Nel caso un isolamento marcato non sia possibile o lo sia solo in parte, esso viene creato limitando ogni forma di contatto possibile delle persone “accolte” con l’esterno, ricorrendo a forme di detenzione basate su presupposti giuridici o più diffusamente sulla base di prassi e situazioni di fatto, così che la percezione dei campi, da parte della società circostante, sia quella di un luogo pericoloso abitato da persone da evitare. Nonostante siano basati su un approccio emergenziale, dunque quali realtà transitorie, questi, una volta allestiti, appaiono immobili; il decorrere del tempo non produce alcun miglioramento nelle
condizioni materiali interne perché, anche in caso di presenze ridotte, ogni campo deve rimanere al più basso livello di servizi possibile allo scopo di produrre condizioni di vita che sul lungo periodo sono intollerabili. Il campo è dunque pensato in tal senso per persone che “purtroppo” esistono ma che non dovrebbero esistere. I campi, sia nel loro allestimento sia nella loro gestione (spesso fortemente militarizzata) drenano risorse economiche elevate anche se non producono alcuna positiva ricaduta sul territorio ove si trovano, né si produce una crescita del sistema di accoglienza del Paese che ospita tali strutture; la gestione economica dei servizi interni ai campi si concentra spesso nelle mani di pochi soggetti. I campi di confinamento come sopra brevemente descritti sono strumento indispensabile di attuazione delle politiche di
“esternalizzazione” dell’Unione europea e quindi sorgono nei Paesi esterni all’Ue e prevalentemente nei Paesi ad essa confinanti. Tuttavia analizzando le scelte attuate dall’Unione per la gestione delle domande di asilo nei Paesi di primo ingresso emerge come l’Ue stia spingendo per la realizzazione di strutture di accoglienza da erigere in
aree considerate periferiche ovvero in Paesi considerati “cuscinetto” o marginali che condividono molte delle caratteristiche peculiari dei campi di confinamento. Non essendo tuttavia possibile, in questo caso, lasciare indefinita del tutto la condizione giuridica degli “accolti” la procedura di esame delle domande di asilo delle persone presenti in tali strutture avviene secondo modalità iper-accelerate e con le minime garanzie procedurali possibili. In particolare, attraverso la finzione giuridica del “non ingresso”, il migrante forzato anche se presente fisicamente dentro l’Unione europea, giuridicamente ne rimane al di fuori e alla fine del procedimento, se la domanda
di protezione è rigettata, la persona può essere allontanata con modalità quasi del tutto prive di adeguate garanzie. Obiettivo generale del convegno organizzato da RiVolti ai Balcani, Rete DASI FVG e dal Centro Ernesto Balducci, in collaborazione con Articolo 21, è dunque quello di proporre una nuova chiave di lettura delle pericolose politiche messe in atto dall’Unione europea verso le migrazioni, specie quelle forzate. Ciò senza proporre alcun paragone, che sarebbe improprio, con le tragedie dei campi di concentramento che hanno caratterizzato la storia del Novecento ma anche senza sottovalutare la gravità della situazione attuale caratterizzata da gravissime ed estese violazioni dei diritti umani fondamentali dei migranti e dei rifugiati. In tale ottica i lavori del convegno si concluderanno con l’adozione di un documento finale di raccomandazioni che, tradotto in diverse lingue, verrà diffuso a livello europeo.
Qui il link per l’iscrizione (in presenza o da remoto): https://forms.gle/
Per informazioni: rete.rivoltiaibalcani@gmail.