Eid al Adha, la festa del sacrificio in “diretta” dall’altra guerra dimenticata
Eid al Adha, la festa del sacrificio; la seconda più importante, probabilmente alla pari, dopo l’Eid al Fitr che segna la fine del Ramadan. Dopo gli ultimi giorni sincopati in cui le strade ed i negozi erano zeppi di persone dedicate agli acquisti come da noi nei giorni che precedono il Natale, oggi gli unici che si vedono in giro sono le squadre di ragazzini che vanno di casa in casa raccogliendo i dolcetti che ogni famiglia prepara in anticipo per loro.
Confesso con un minimo di vergogna di non essermi informato meglio e non avere preparato i dolcetti. Sarebbe stato un buon segno di educazione, di conoscenza e di rispetto delle regole locali. Ma, ahimè, ora è troppo tardi.
Bene, come dicevo, giorno di grande festa in cui le famiglie si riuniscono e, nei limiti del possibile e delle spesso risicate risorse disponibili, ci si ingozza. Ci celebra il famoso sacrificio di Ibrahim, che secondo la richiesta pervenutagli dal suo dio, avrebbe dovuto sgozzare il figlio Isaac. All’ultimo momento, provo solo ad immaginare lo stato d’animo di quel povero ragazzo ed del genitore; lo stesso dio (un tantino perfido direi) interviene poi per fermare il braccio armato di Ibrahim e per fargli invece sacrificare un caprone. Dunque oggi, ecatombe di ovini e caprini che finiranno in pentola. La tradizione impone che parte del capretto o pecora che viene sacrificata, venga destinate alla persone più povere, e qui ce ne sono parecchie…. Insomma, giornata di gran festa, ma l’umore della gente qui non e’ esattamente predisposto ai festeggiamenti. La preoccupazione per le reiterate minacce di Erdogan di aprire una nuova fase di invasione del territorio kurdo, non fa dormire sonni troppo tranquilli agli abitanti delle zone al confine con la Turchia o con le altre aree precedentemente invase ed ora sotto il controllo degli invasati componenti della varie fazioni del Syrian National Army. Nell’ultimo periodo, prima ed in seguito agli accordi che il sultano turco e’ riuscito (senza neppure eccessivi sforzi peraltro) ad ottenere dalla Nato e da Svezia e Finlandia, i movimenti di truppe e di mezzi militari da entrambe le parti e dei loro alleati, si sono intensificati tanto quanto gli attacchi con i droni dell’esercito di Ankara contro obiettivi kurdi. Mezzi blindati ed artiglieria pesante sono entrati dalla Turchia soprattutto nelle zone attorno a Menbij e a Tal Refaat, le ultime aree ad ovest dell’Eufrate sotto il controllo delle SDF (Self Defense Forces), la coalizione militare del North East Syria (NES). Ovviamente l’eventuale ennesima invasione non potrebbe lasciare indifferente nè il Governo di Damasco, né i suoi principali alleati russi, né le milizie sciite, anche loro alleate di Assad. Gli Usa, da parte loro, cercano di disinnescare il potenziale di un eventuale scontro, nonostante siano i principali, anche se indiretti, promotori di tale possibilità avendo steso il tappeto rosso sotto le richieste di Erdogan, cercando nel frattempo di salvare la faccia eliminando o catturando gli ennesimi capi dell’Isis o alcuni dei suoi, a loro dire, maggiori esponenti. Nel frattempo, anche l’alleanza implicita tra Mosca e Tel Aviv (non Gerusalemme che molti ormai, almeno ufficialmente, a torto considerano la capitale di Israele) che fino ad ora si era retta senza che la Russia muovesse un dito per evitare i continui bombardamenti israeliani in Siria, sembra presentare sempre maggiori fratture. Gli ultimi attacchi dell’aviazione israeliana contro obiettivi maggiormente legati a interessi russi e del Governo di Damasco, mettono a dura prova la resistenza e la presunta indifferenza di Mosca. I bombardamenti dell’aeroporto internazionale di Damasco che ne obbligato la temporanea chiusura e quelli nella zona di Tartus (porto in cui staziona la marina di Mosca) e di Latakia (dove i russi hanno le foro forze aeree) potrebbero rappresentare una svolta molto pericolosa ne rapporti di silenzio assenso che fino ad oggi hanno in qualche modo retto. Nel frattempo anche la sempre e a torto dmenticata area di Al Tanf risente delle turbolenze che si verificano in zone lontane ed apparentemente al di fuori delle dinamiche di quella regione, mostra insolite attività. Recentemente bombardieri russi hanno sorvolato quel territorio controllato dalla locale base Usa. Si tratta di un’area definita “the 55 km area” all’interno della quale c’è il famoso campo di Rukban, dove qualche migliaio di soggetti rimangono isolati dal resto del mondo. Salvo che dai soldati Usa, circa 200, che sono stanziati in quella base in mezzo al deserto, ma esattamente al confine giordano, iraqeno e siriano, e dove transita la strada che collega Damasco a Baghdad. Gli ospiti del campo sono generalmente parte del New Syrian Army, uno dei tanti gruppi di “ribelli” che sono da sempre stati ostili a Damasco e che ora non vogliono rientrare nelle loro località sotto il controllo governativo. In teoria gli Usa li stanno addestrando per combattere l’Isis, ma pare che all’interno di quel campo ci siano anche coloro che nella primavera del 2019 sono scappati dalle ultime roccaforti dell’Isis e lì si siano rifugiati. Sta di fatto che una delle zone in cui i seguaci del califfato sono maggiormente attivi. Sarà una coincidenza, boh. Intanto da queste parti, nel Rojava, la giornata trascorre lenta e le strade rimangono ancora vuote. La gente è impegnata a festeggiare la ricorrenza, ma già da domani la vita riprenderà nelle sue forme più consuete. Sperando che dopo il capretto, Ibrahnim (Erdogan) non ci ripensi e decida che comunque sacrificare anche Isaac, alla fine gli convenga, pur sfidando il suo dio e contando che probabilmente sarà come sempre misericordioso nei confronti dei suoi peccatori….. Docbrino