Ennesima rivolta al Cpr di Gradisca d’Isonzo. Non basta l’impegno delle forze dell’ordine. La detenzione è un errore

Nuovo tentativo di fuga al Cpr di Gradisca d’Isonzo, sventato dai baschi verdi. È accaduto domenica 15 settembre, quando alcuni degli ospiti hanno appiccato il fuoco ad un materasso e ad alcune coperte, lanciate all’indirizzo dei finanzieri in servizio nel centro: nel sedare il tentativo di rivolta e ripristinare l’ordine, oltre che per impedire la fuga dei rivoltosi, un finanziere ha riportato la frattura di due dita della mano sinistra. Incolumi gli altri agenti, il personale in servizio e gli ospiti, che sono stati fatti rientrare nell’area a loro destinata.
«Ancora una volta – commenta Armando Gallucci, segretario regionale del Sindacato Italiano Lavoratori di Finanza (Silf) – solo l’equipaggiamento ed il sangue freddo dei nostri baschi verdi hanno evitato danni più gravi alle persone e alle strutture. Si tratta del secondo ferimento di un finanziere nell’arco di pochi mesi, mentre i tentativi di fuga sono così numerosi che non fanno più neppure notizia. Una situazione che richiede risposte concrete da parte delle istituzioni», prosegue Gallucci, che giudica «inaccettabile ostinarsi a tenere aperto il Cpr senza alcuna garanzia di sicurezza per le forze dell’ordine, per gli operatori e per gli stessi ospiti», posizione quest’ultima condivisibile . Del resto, come evidenziato anche da recenti inchiesti, i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) in cui vengono detenute in Italia le persone migranti ritenute non in regola e in attesa di essere rimpatriate presentano gravissime criticità di gestione, di rispetto dei diritti e in particolare del diritto alla salute. Pessime condizioni igienico-sanitarie, presa in carico inadeguata di patologie acute e croniche e di problemi di salute mentale, abuso di psicofarmaci: le evidenze di questi e altri rischi per la salute delle persone migranti detenute nei CPR sono ormai tante. A livello internazionale, anche l’Ufficio Regionale Europeo della World Health Organization (WHO) ha evidenziato i rischi per la salute delle persone migranti della cosiddetta “detenzione amministrativa” attuata nei CPR.
I CPR (ex CIE) sono infatti strutture di detenzione “amministrativa” ove vengono reclusi i cittadini non comunitari sprovvisti sprovvisti di un regolare documento di soggiorno oppure già destinatari di un provvedimento di espulsione. Nei CPR, vengono sottoposti ad un regime di privazione della libertà personale individui che hanno violato una disposizione amministrativa, come quella del necessario possesso del permesso di soggiorno.

Questi centri “detentivi” furono istituiti nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano con il nome di C.P.T. (Centri di Permanenza Temporanea), poi denominati C.I.E. (Centri di Identificazione ed Espulsione) dalla Legge Bossi-Fini del 2002, ed infine rinominati C.P.R. (Centri di Permanenza per i Rimpatri) dalla Legge Minniti-Orlando del 2017. In realtà originariamente, la durata massima della detenzione amministrativa era fissato in 30 giorni (art. 12 Legge Turco-Napolitano); la Legge Bossi-Fini ha stabilito che, laddove si riscontrino serie difficoltà nelle procedure di accertamento dell’identità di uno straniero, il periodo di detenzione possa essere prorogato dal giudice per ulteriori 30 giorni; nel 2013 tale periodo è stato fissato fino ad un massimo di 90 giorni; il recente “Decreto Sicurezza”, con l’art. 2, ha aumentato da 90 a 180 giorni il periodo massimo di trattenimento all’interno dei C.P.R. Oggi la situazione è ancora più drammatica e vale la pena leggere quanto scriveva il  4 luglio scorso Amnesty international: “L’uso eccessivo e sistematico della detenzione amministrativa priva le persone migranti e richiedenti asilo dei loro diritti alla libertà e dignità. È quanto emerge da una nuova ricerca intitolata “Libertà e dignità: osservazioni sulla detenzione amministrativa delle persone migranti e richiedenti asilo in Italia” che denuncia come queste ultime vengano illegalmente private della loro libertà in centri di detenzione che non rispettano gli standard internazionali.
“La detenzione amministrativa dovrebbe essere una misura eccezionale e di ultima istanza. Tuttavia, nei centri che abbiamo visitato, abbiamo incontrato persone razzializzate che non avrebbero mai dovuto esservi trattenute: persone con gravi problemi di salute mentali e fisici; persone richiedenti asilo a causa del loro orientamento sessuale o attivismo politico, ma provenienti da paesi che il governo italiano ha arbitrariamente designato come ‘sicuri’; persone con responsabilità di assistenza o che fuggono da violenze di genere o sfruttamento lavorativo. Questi inutili ordini di detenzione gettano nel caos le loro vite, la loro salute e le loro famiglie”, Serena Chiodo – Ufficio campagne di Amnesty International Italia.
Nel 2023 il governo italiano ha adottato nuove misure per espandere l’uso della detenzione amministrativa nel sistema migratorio, tra le quali la costruzione di nuovi centri per il rimpatrio e l’estensione del periodo massimo di detenzione a 18 mesi e “procedure di frontiera” per le persone richiedenti asilo provenienti da “paesi sicuri”: queste ultime comportano la detenzione automatica delle persone in base alla loro nazionalità, in contrasto con il diritto internazionale, che richiede invece una valutazione individuale.
Alla luce di questi sviluppi e delle segnalazioni costanti circa le condizioni di detenzione e trattamento al di sotto degli standard, nell’aprile 2024 Amnesty International ha visitato due centri di detenzione: quello di Ponte Galeria a Roma e quello di Pian del Lago a Caltanissetta. La delegazione di Amnesty International ha incontrato persone provenienti da vari stati, tra i quali Tunisia, Iran, Georgia, Marocco, Perù, Egitto, Gambia e Cina. Il resoconto della missione dettaglia i risultati delle visite e mette in evidenza le informazioni raccolte attraverso incontri con autorità, avvocati e rappresentanti delle organizzazioni della società civile.
“L’incapacità delle autorità italiane di considerare alternative alla detenzione, unita a procedimenti legale inadeguati supervisionati da giudici di pace, sta portando a un uso sistematico e quindi abusivo del sistema di detenzione. Le leggi e le pratiche italiane non sono compatibili con le norme e gli standard internazionali e comportano violazioni non solo del diritto alla libertà, ma anche dei diritti all’asilo, al ricorso effettivo e all’assistenza legale”, ha proseguito Serena Chiodo.
Amnesty International ha inoltre riscontrato che le condizioni all’interno dei centri non sono conformi alle norme e agli standard internazionali applicabili. La detenzione amministrativa deve essere funzionale e proporzionata, non punitiva. Tuttavia, i centri visitati da Amnesty International sono apparsi estremamente restrittivi, spogli e carenti dal punto di vista igienico-sanitario.
Le persone non possono muoversi liberamente, nemmeno all’interno delle strutture. Per farlo, necessitano dell’autorizzazione e dell’accompagnamento da parte degli agenti della polizia. I mobili e la biancheria sono estremamente basilari, con materassi in lattice collocati su letti di cemento. I bagni sono in pessime condizioni, talvolta senza porte. Gli interruttori della luce vengono accesi e spenti dalle guardie e le finestre sono ermeticamente chiuse. I cellulari personali sono proibiti.
“Le persone sono costrette a trascorrere tutto il loro tempo in spazi recintati, in condizioni che per molti aspetti sono peggiori di quelle carcerarie, e viene loro negata persino la minima autonomia. Nonostante i lunghi periodi di detenzione, vi è un’assenza quasi totale di attività, che, combinata con la mancanza di informazioni sul futuro, provoca enormi danni psicologici tra le persone detenute”, ha aggiunto Serena Chiodo.
Queste condizioni violano il diritto alla dignità delle persone e devono essere migliorate dalle autorità italiane. I progetti di costruzione di nuovi centri in Italia, insieme all’introduzione di procedure di frontiera obbligatorie ai sensi del Patto dell’Unione europea su migrazione e asilo e l’imminente attuazione dell’accordo Italia-Albania, rendono ancora più urgente agire per prevenire ulteriori violazioni del diritto internazionale che interesseranno un numero crescente di persone.
“La detenzione legata alla migrazione dovrebbe essere utilizzata solo nelle circostanze più eccezionali. Quando necessaria e proporzionata, dovrebbero prima essere sempre considerate misure alternative e meno coercitive. Le persone che cercano protezione internazionale non dovrebbero essere detenute”, ha continuato Serena Chiodo.
“Nei casi eccezionali in cui la detenzione è ritenuta necessaria e proporzionata, le autorità italiane devono condurre valutazioni rigorose e regolari circa l’idoneità delle persone alla detenzione. Il governo deve anche garantire che le condizioni nei centri di detenzione rispettino la dignità umana, fornendo alloggi adeguati e sicuri e opportunità di mantenere contatti con l’esterno e di utilizzare il tempo in modo produttivo. È urgentemente necessaria una svolta significativa rispetto all’attuale approccio punitivo delle politiche di controllo della migrazione”, ha concluso Serena Chiodo.