Intollerabile giustificare violenza e sessismo sui social. Siamo ben oltre l’ingenuo “rutto libero” tanto caro a Fantozzi
Insulti sessisti e non solo sui social, c’è da meravigliarsi di chi si meraviglia. Dire che siamo alla scoperta dell’acqua calda è ormai una banalità, perchè che Facebook & c siano luoghi pericolosi da frequentare non è un opinione, ma una realtà, ma da questo a giustificare insulti e minacce ce ne passa. Le iscrizioni ai “social” lievitano, ma lievita meno, purtroppo, la consapevolezza che Facebook sia specchio peggiore della realtà che riflette. Ma allora perchè starci dentro? Non nascondiamo che il quesito è legittimo e che la risposta non è eguale per tutti. Libertà innanzi tutto, ma nella consapevolezza che deve valere il principio che in un paese civile, comprese le sue propaggini “digitali”, non possono esserci zone franche dove violenza verbale e calunnie sono la norma e non l’eccezione . Scambiare la libertà di parola per l’evoluzione perversa del salvifico ed ingenuo “rutto libero” di fantozziana memoria, sarà liberatorio ma non può essere fatto ammorbando la vita altrui. In realtà stare su Facebook per molti è un modo inconsapevole di affermare la supremazia della propria tribù “selezionando” in primis gli “amici” perchè alla fine ci fidiamo di ciò che ci raccontano gli altri, ma solo se la pensano come noi, sennò peste li colga. Ma usare la tastiera come una clava per vendette politiche, per colpire l’avversario “così impara a stare zitto” non può essere regola di convivenza manco sui social e non deve più restare impunito. Certo la soluzione non può essere solo quella poliziesca, ma non si può neppure sempre lasciar perdere e stendere un velo pietoso di silenzio. Ci sono infatti terreni, come quelli sessisti e che ledono la dignità delle persone, delicatissimi, entrarvi a gamba tesa vuol dire fare spesso lo sgambetto al codice penale. Fatti per i quali bisognerebbe richiamare la procedibilità d’ufficio, che come è noto dovrebbe scattare nel momento in cui giunge la notizia del crimine e non solo per querela. Capiamo bene che questo non è semplice e che le Procure sono oberate, ma il principio del “penalmente rilevante” dovrebbe valere anche nel web anche se non sei un personaggio famoso. Più facile a dirsi che a farsi, ovviamente. Quello che almeno servirebbe è uno scatto collettivo, rispondendo a squallida gogna, isolando chi dell’insulto fa il suo verbo e non certo cercando con loro un improbabile dialogo, perchè cercare di redimere chi di essere redento non ha nessuna voglia, è battaglia inutile e in più serve solo a solleticare l’ego di chi sa benissimo di essere un mascalzone, ma di questo se ne bea, crogiolandosi per di più dell’attenzione ricevuta e della propagazione virale del proprio odio. Del resto è comportamento studiato in etologia, che ci racconta che il cane è talvolta contento di ricevere bastonate pur di ottenere l’attenzione del padrone. Inutile quindi dialogare con umanoidi che in quanto teoricamente senzienti non hanno neppure la dignità dell’animale che certe cose almeno le compie per istinto e non certo per calcolo. Ma altrettanto censurabile è chi, pur nella consapevolezza del proprio ruolo di rappresentanza generale trova giustificazioni perchè gli odiatori di turno sono a lui sodali politicamente. E’ il caso del sindaco di Udine Piero Fontanini che anziché prendere fermamente le distanze dai post sessisti e intollerabilmente violenti contro la consigliera dem udinese Monica Paviotti, ha pensato bene di contrattaccare spiegando che se le dichiarazioni non sono vere, il rischio di ricevere insulti c’è sempre. Insomma un “te la sei andata a cercare”. Uno strano modo di intendere la convivenza civile da parte di un primo cittadino che, in questo caso, si è fatto ultimo. Perchè la sua affermazione scivolosa non si può non interpretare come un invito ad infangare chi esprime una propria opinione “difforme” dalle sue verità. Ma quale sarebbe stata la fake veicolata dalla Paviotti? La consigliera comunale sarebbe rea di aver postato un proprio comunicato stampa che riguardava il tema della sicurezza in città e che metteva in correlazione i diversi episodi di violenza accaduti in città recentemente con l’inefficacia dei decreti sicurezza voluti da Salvini. Il risultato di questa legittima e per altro condivisa posizione da milioni di persone, è stato che la Paviotti è diventata oggetto di pesanti insulti sul web. Ovviamente essendo donna gli insulti sono subito trascesi nel più bieco sessismo. Ma volendo commentare in maniera più pungente le parole giustificative del sindaco è evidente che attraverso la volontà di difendere il proprio “capitano” rischia di avvallare una inaccettabile visione del ruolo della donna in politica. Una visione che, pur non volendo attribuirla direttamente al sindaco, sembra proprio affondare le sue radici nel ventennio, quando per consolidare il proprio regime improntato sull’autoritarismo della verità rivelata, il Benito, adottò una politica anti-femminile, che impose alla donna l’esclusivo ruolo di madre-casalinga facendo della maternità, oggetto di pubblica esaltazione, a sostegno della forza nazionalista dello Stato. Insomma le donne, intese come portatrici di interessi familiari furono così escluse da tutto ciò, che aveva attinenza con la sfera pubblica e probabilmente qualche omenut verde o nero di oggi ancora ci spera.
Fabio Folisi