La Consulta ha fatto a pezzi la legge sull’Autonomia differenziata by Calderoli. Le motivazioni puntano il dito sui pericoli per la democrazia
È stata depositata negli uffici della cancelleria della Corte costituzionale la sentenza della Consulta (numero 192 del 2024) sulle questioni di costituzionalità relative alla legge sull’autonomia differenziata. Il comunicato diffuso dalla Corte lo scorso 14 novembre aveva evidenziato sette profili di illegittimità (dai Lep alle aliquote sui tributi) e cinque norme salvate a patto di darne una «lettura costituzionalmente orientata». La Corte ha accolto parzialmente i ricorsi delle quattro Regioni guidate dal centrosinistra (Campania, Puglia, Sardegna e Toscana) che hanno impugnato la legge Calderoli. I giudici hanno ritenuto “non fondata” la questione di costituzionalità dell’intera legge considerando invece “illegittime” alcune specifiche disposizioni. Da qui l’invito al Parlamento a “colmare i vuoti” che ne derivano. Ed era su quest’ultima dichiarazione che si appendevano le speraze leghiste di proseguire gli effetti della legge. In realtà le motivazioni sono una pietera tombale sul provvedimento. Se da un lato l’autonomia differenziata, insomma, non è incostituzionale in sé, perché non contrasta con principi fondamentali come l’unità della Repubblica vi sono parti secondo la Consulta inaccetabili am soprattutto il primo «profilo di incostituzionalità» investe il cuore del processo: che cosa può essere trasferito alle Regioni? Non «materie o ambiti di materie» ma solo «specifiche funzioni legislative e amministrative», cioè i singoli filoni di attività che compongono una materia, e il loro trasferimento va «giustificato, in relazione alla singola regione, alla luce del principio di sussidiarietà». Insomma secondo la Consulta alcune funzioni non vanno e non possono essere trasferite. Si legge nelle motivazioni della sentenza: «Vi sono delle materie, cui pure si riferisce l’art. 116, terzo comma della Costituzione alle quali afferiscono funzioni il cui trasferimento è in linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà. Vi sono, infatti, motivi di ordine sia giuridico che tecnico o economico, che ne precludono il trasferimento». In questo caso la Corte fa riferimento a materie in cui «predominano le regolamentazioni dell’Unione europea» come la politica commerciale comune, la tutela dell’ambiente, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia e le grandi reti di trasporto, ma anche le «norme generali sull’istruzione» che hanno una «valenza necessariamente generale ed unitaria» – le funzioni relative alla materia sulla «professioni» e i sistemi di comunicazione. In estrema sintesi secondo la Consulta l’Autonomia by Calderoli “È un rischio per la democrazia” Non ci può essere, scrivono in sostanza i giudici “il popolo delle Regioni” e il concetto del “popolo unitario”, che fa dell’Italia una Repubblica una e indivisibile, “non può evaporare” con la legge sull’Autonomia differenziata. In particolare: energia, istruzione e trasporti sono funzioni che non vanno trasferite. La Corte fa poi riferimento a materie in cui «predominano le regolamentazioni dell’Unione europea» come la politica commerciale comune, la tutela dell’ambiente, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia e le grandi reti di trasporto, ma anche le «norme generali sull’istruzione» che hanno una «valenza necessariamente generale ed unitaria» – le funzioni relative alla materia sulla «professioni» e i sistemi di comunicazione.
«ll regionalismo, spiega ancora la Consulta, corrisponde a un’esigenza insopprimibile della nostra società, come si è gradualmente strutturata anche grazie alla Costituzione. Spetta, però, solo al Parlamento il compito di comporre la complessità del pluralismo istituzionale»
Il risultato è che il provvedimento resta di fatto bloccato e lo sarà finché il Parlamento non interverrà per correggere le parti dichiarate incostituzionali cosa che allo stato sembra poco probabile. La bocciatura è selettiva ma sostanziale e tocca il cuore stesso della riforma, a partire dalla definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), ovvero quei servizi fondamentali – dalla sanità all’istruzione, dal welfare ai trasporti – che lo stato deve garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.
La Consulta mette paletti precisi sul trasferimento delle competenze alle regioni. La riforma prevedeva inizialmente la possibilità di delegare alle regioni intere aree di competenza statale (come l’istruzione o i trasporti), ma la Corte ha stabilito che potranno essere trasferite solo funzioni specifiche all’interno di queste aree. In alcune materie il trasferimento “potrà riguardare solo alcune funzioni e sarà sottoposto a un controllo rigoroso della Corte Costituzionale”, scrivono i giudici nelle motivazioni.
Energia, ambiente, commercio estero, comunicazioni e grandi reti di trasporto dovranno rimanere sotto il controllo statale. La decisione si basa sulla necessità di garantire livelli di servizio uniformi in tutto il paese: sono infatti materie che, secondo la Consulta, richiedono una gestione unitaria per assicurare gli stessi standard a tutti i cittadini. Per questo la Corte ritiene che il loro trasferimento alle regioni “è difficilmente giustificabile secondo il principio della sussidiarietà”.
Emblematico il caso della scuola, dove la Corte pone limiti netti: “non sarebbe quindi giustificabile una differenziazione che riguardi la configurazione generale dei cicli di istruzione e i programmi di base, stante l’intima connessione di questi aspetti con il mantenimento dell’identità nazionale”. La sentenza, inoltre, evidenzia come in alcune materie prevalga la regolamentazione dell’Unione Europea, mentre in altre la Costituzione riservi al Parlamento la competenza legislativa esclusiva.
La Corte nelle motivazioni boccia il meccanismo che avrebbe permesso al governo di decidere da solo, attraverso decreti, quali servizi garantire ai cittadini e con quali standard minimi. Il vizio principale, secondo la Consulta, “sta nella pretesa di dettare contemporaneamente criteri direttivi con riferimento a numerose e variegate materie”. In altre parole, secondo i giudici, non si possono stabilire con un unico provvedimento del governo gli standard minimi per settori così diversi come la sanità, la scuola o i trasporti.
La Consulta evidenzia nelle motivazioni come questa scelta sia necessaria per garantire “uno standard uniforme delle stesse prestazioni in tutto il territorio nazionale”. Solo il Parlamento, secondo la Corte, può decidere quali sono i servizi fondamentali che devono essere garantiti allo stesso modo dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. Il governo potrà intervenire solo su singoli settori specifici, e sempre dopo che il Parlamento avrà stabilito regole precise e dettagliate.
Anche la questione delle regioni speciali diventa insormontabile inciampo. In sostanza la sentenza ha dichiarato incostituzionale l’estensione automatica dell’autonomia differenziata a Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia. Queste regioni, ricorda la Consulta, hanno già proprie forme di autonomia garantite dalla Costituzione e, se vogliono ottenerne di nuove, devono seguire le procedure previste dai loro statuti speciali.