Tutta colpa di Basaglia: troppi cazzari in libertà…. verdi, neri, rossi e con la penna. Ps: testo “faticoso” da masochisti della lettura
In quanto buonisti patologici siamo sinceramente preoccupati per la salute mentale di Matteo Salvini. Quello che era un semplice cavallo di battaglia elettorale, la propaganda su migranti e clandestini, si è trasformata via via in una fissazione fuori controllo che rischia di diventare un disturbo serio di tipo ossessivo-compulsivo. Ora considerando che non siamo medici ma solo giornalisti, le nostre “diagnosi” vanno prese per quello che sono: elucubrazioni di cazzari pennivendoli che pontificano su un “cazzaro verde”, definizione del “capitano” sdoganata, come è noto, dal Tribunale di Milano con sentenza di qualche settimana fa. E’ infatti bene sapere che era stato lo stesso Matteo Salvini a querelare il direttore de Il Fatto Quotidiano Marco Travaglio per diffamazione, contestando per via giudiziaria un editoriale satirico del 6 maggio 2018 intitolato appunto ‘Il Cazzaro Verde’, in cui si dimostrava, ha raccontato Travaglio “per tabulas la sua essenza di Cazzaro Verde che fa politica a suon di supercazzole anziché lavorare”. Il risultato della querela è stato che il gip Luigi Gargiulo, ha di fatto confermato quanto già la Procura riteneva e cioè che e dare a Salvini del Cazzaro Verde esperto in supercazzole non fosse diffamazione, ma uso legittimo di “espressioni veicolate nella forma scherzosa e ironica propria della satira” che “consistono in un’ argomentazione che esplicita le ragioni di un giudizio negativo collegato agli specifici fatti riferiti e non si risolve in un’ aggressione gratuita alla sfera morale altrui”. Insomma con questo precedente non solo si è sdoganata la qualifica che in qualche modo certifica taluni comportamenti salviniani, ma si è determinato in forza di legge, un diritto di satira che esce dal pianeta vignette per tornare allo scritto la cui tradizione si perde nella notte dei tempi. Basti ricordare la grande comicità generata dalle commedie di Plauto fin dal II secolo a C. Magari avere oggi la oculata scelta del lessico di Plauto, il sapiente utilizzo di espressioni e figure tratte dal quotidiano e quella fantasiosa ricerca di situazioni che possano generare l’effetto comico, farebbe la differenza. Dinnanzi a quel maestro non c’è Crozza o Travaglio che tenga, figurarsi noi pennivendoli spiantati di provincia. Tuttavia tornare alla satira è certamente uno strumento al quale tendere perchè solo avendo la capacità di sdrammatizzare le tragedie alle quali certe politiche ci hanno e ci stanno portando, si potrà non farsi trascinare nella bolla della cattiveria e della violenza e, forse, convincere il popolo a non farsi ottusa plebe, carne morta per sondaggi. Forse grazie all’unione di parole in libertà si potrà non solo avere lo straordinario effetto dell’elemento comico che traspare da ogni gesto e da ogni parola dei personaggi in commedia, come avveniva con Plauto, ma anche trovare un filone che fra le pieghe della satira ristabilisca certe verità negate. Del resto non solo Salvini è una macchietta propagandistica che non disdegna di usare costumi (divise e felpe), perfino il bacio del crocefisso ma soprattutto la bugia per affermare false verità, ma anche gli altri personaggi della politica del terzo millennio e non solo in Italia, sono così. Toninelli, Di Maio, Di Battista, Conte, Renzi, Calenda o la Meloni lo sono, ma lo sono anche alcuni esponenti della Sinistra “doc”, come quelli che dalla politica sono passati alla marineria anziché all’ippica o gli statisti stile Trump, May o Putin. Per non parlare poi dei tanti giornalisti che non si capisce a quale titolo o merito affollino i talk show televisivi e che sono clone spesso distorto e orrido dei loro padrini di riferimento. Plauto faceva uso, per definire i suoi personaggi, di espressioni buffe e goliardiche mettendole in bocca ai vari personaggi, oggi non c’è bisogno manco di mistificare, basta riportarli virgolettati così come sono nelle loro tronfie dichiarazioni zeppe di riferimenti a temi consueti e ripetitivi, a luoghi comuni, ad incursione nelle frasi fatte del “ventennio”, perfino a tratti della loro vita quotidiana, fra Nutella, vino, porchetta, ostentando il “pelo” e qualcuno lingue in bocca ad uso di paparazzi. Il popolo, o meglio la plebe, ama identificarsi con i personaggi sulla scena e su questo che i moderni comunicatori, anche loro caricature di se stessi, fanno leva. Usare nella satira questi eccessi di vita privata non è facilissimo perchè presuppone che il pubblico sia in grado di discernere fra realtà e propaganda e di questo non siamo tanto sicuri. Vale comunque la pena provarci nella speranza che venga in aiuto Plauto come ispiratore, se non suggeritore di quel mirabile surrealismo che usava nell’esagerare i tratti dei personaggi.
La nostra preoccupazione per la salute mentale del “Cazzaro verde” va quindi interpretata in questa chiave. La sua ossessione mentale su migranti “tutti clandestini” nel vedere porti da chiudere perfino sul Carso, rischiano di tramutarsi in stimoli negativi che martellano nel cervello senza riuscire a trovare via d’uscita. Così diventa necessario personalizzare il nemico, non bastano più genericamente le Ong, il passo successivo, ben descritto da ogni Bignami di psichiatria, ci racconta che il disturbo ossessivo compulsivo diventa caratterizzato da pensieri, immagini o impulsi ricorrenti che si devono catalizzare su una persona. Chi meglio della comandante Carola poteva assolvere a questo compito? Tedesca, donna non sottomessa ed intelligente, unico difetto non nera ma almeno con le treccine rasta, troppo per essere tollerata.. la “sbruffoncella”. Elementi che innescano paure inespresse nel soggetto indebolito dalla consapevolezza della propria inadeguatezza a risolvere davvero i problemi complessi che, al di là della propaganda, prima o poi verranno fuori nella loro devastante verità. Insomma che Carola e le Ong sono colpevoli di umanità, come lo sono i nostri militari quando salvano le vite in mare. Dire che un gommone mezzo sgonfio in mare aperto non è naufragio finché le persone non sono con l’acqua alla gola, è pensiero cattivo e criminogeno. Ed ecco il rischio che ansia/disgusto “obblighino” la persona ad attuare azioni ripetitive materiali o mentali per tranquillizzarsi e sopire la coscienza che in fondo deve pur avere, e tutto diventa azione di governo perniciosa, contando sulla paura, ormai mezzo di compartecipazione nella maggioranza di governo. Compartecipazione obbligata dalla paura della perdita della poltrona da parte di chi, da odiatore seriale degli scranni, ne è diventato assiduo frequentatore tanto da aver simbioticamente colonizzato con la pelle del culo la seduta di velluto diventata così parte del corpo, insomma novelli fratelli siamesi della cadrega. Così per rincarare la dose contando nella muta rassegnazione stellata, si prende la decisione di premiarsi, novello signor Bonaventura, con un bel “milione” di multa da dare ai buoni. A beneficio di chi non ricorda, perchè troppo vecchio o troppo giovane o non abbastanza colto o semplicemente perchè appartenente alla plebe analfabeta di ritorno ossessionata solo dai Tweet o dai post di Facebook e similari, ricordiamo che il Signor Bonaventura era un personaggio immaginario dei fumetti ideato nel 1917 da Sergio Tofano e pubblicato dal Corriere dei Piccoli fino alla fine degli anni 70. Ogni storia di questo personaggio maschile, alto sempre vestito con una giacca e un cappello rossi e larghi pantaloni bianchi, quasi una divisa, iniziava con una rima baciata: «Qui comincia la sventura del Signor Bonaventura…».. qualsiasi fosse la complicata avventura nella quale incappava il nostro eroe, l’epilogo lo portava invariabilmente a ricevere una ricompensa di un milione, fattasi oggi multa. Chissà se il nostro “cazzaro verde” avrà preso davvero spunto dal signor Bonaventura per determinare il premio che nei suoi desiderata dovrebbero versargli le Ong per le loro buone azioni? Difficile dirlo, del resto la sua ossessione mentale su migranti “tutti clandestini”, nel vedere porti da chiudere perfino sul Carso, sono stimoli talmente negativi che possono martellare il cervello senza riuscire a trovare via d’uscita, generando quindi soggetti dalle sembianze infantili come il signor Bonaventura che per osmosi inversa nei filtri celebrali, diventano mostri da multare affinchè premiare come nella tradizione voluta da Sergio Tofano. Veniamo quindi dopo questa impietosa anamnesi cazzara, alla generica diagnosi finale.
Dice il saggio: Una tendenza, un’abitudine, un modo di pensare negativo fa sì che un pensiero o una varietà di pensieri alla fine tormenti la mente mettendo a rischio tutte le altre sfere della propria vita ma soprattutto quella degli altri. Ma si potrebbe anche trattare di un comportamento ossessivo compulsivo anziché un pensiero; un atteggiamento continuamente ripetuto senza che l’individuo se ne renda conto. Questo non l’assolve, ovviamente, ma lo rende patetico. Secondo molti studi, questo genere di problematica è una conseguenza di eventi accaduti nel passato che provoca nell’individuo una regressione interiore e come sappiamo l’esistenza di questo trauma è stata svelata, il furto di un pupazzetto di Zorro patito da bambino ad esempio può essere fattore scatenante, Quella improvvisa sparizione potrebbe essere stata interpretata come abbandono da parte dell’eroe buono, tanto da portare ad odiare ogni difensore di deboli e oppressi e avere generato uno stato mentale che ti rende incapace di staccarti dall’oggetto della mania, l’ossessione per i migranti e loro salvatori, impedendoti di percepire nuovi stimoli che ti guiderebbero verso nuovi obiettivi. In più ci può essere anche il fattore contagio che in genere non riguarda i disturbi della sfera mentale, a meno che, altre menti siano talmente deboli e vuote da essere facilmente influenzate e colmate dai messaggi martellanti provenienti dal capo, così, come i fuchi seguono la loro regina fino alla morte, i seguaci del disturbo compulsivo ne assumano atteggiamenti, parole e comportamenti.
Fabio Folisi